10 giugno 2017 / Bergamo
TERRA E POPOLI. FUTURO PROSSIMO
Interventi e risonanze (1)


 

Tento alcuni pensieri e ricordi che sono frutto della mia esperienza di vita in Salvador dal 1988 al 1995, gli ultimi anni della guerra di liberazione e i primi faticosi anni di pace.
Siamo partiti, Cesare Sommariva, Andrea Marini e io, su richiesta delle comunità di base del Salvador in occasione del rientro di comunità di profughi dall’Honduras in seguito all’accordo del governo salvadoregno e l’ACNUR (l’agenzia dell’ONU per i profughi).
Per la maggioranza del tempo ho vissuto nella zona di Nombre de Jesus, dipartimento di Chalatenango nel Nord est del paese, a poche ore di cammino dal confine con l’Honduras, e zona in parte sotto il controllo dell’esercito di liberazione.

Quando sei in una terra “conquistata” e colonizzata, devi cercare di cogliere e conoscere la “cultura” che dà identità a chi vive su quella terra. Identità culturale che è frutto della storia secolare di quella terra e del popolo che la abita.

El Salvador, terra di conquista e colonizzata dalla Spagna.

Un ricordo: il 12 ottobre 1992 si celebrò il cinquecentenario della “scoperta” dell’America.
Nella piazza della capitale San Salvador, piazza che accoglie il Palacio Nacional e la Cattedrale, il governo, le istituzioni politiche con la presenza degli ambasciatori di vari paesi, celebrarono solennemente l’anniversario. Furono offerti omaggi floreali ai monumenti a Cristoforo Colombo e alla regina Isabel di Spagna, statue di marmo di Carrara di fronte al Palacio Nacional.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, sempre davanti alle medesime statue, ebbe luogo la memoria della “conquista” da parte di “nativi” nei loro costumi tradizionali, che lanciarono frecce contro le immagini di Colombo e di Isabel.

L’America, il Salvador non furono scoperti, ma conquistati: “conquista” e “scoperta” sono due letture molto diverse della storia di queste terre e dei loro popoli, letture drammaticamente diverse.
Nel 1524 la prima spedizione militare spagnola, guidata da Pedro de Alvaredo, entra in una terra fertile, suolo vulcanico (in Salvador ci sono 14 vulcani), clima favorevole, ricca associazione di fauna e flora con grande varietà di zone ecologiche naturali.

I gruppi indigeni nel loro processo di esplorazione avevano creato una filosofia relativa a significato e obiettivi dell’uomo; filosofia che inseriva l’uomo dentro l’unità dell’ambiente.
Gli spagnoli riconobbero questa abilità del nativo a esplorare l’ambiente naturale e tentarono di organizzare questa abilità per scopi commerciali ed economici. Ma non furono capaci di apprezzare le idee mistiche che il nativo aveva evoluto insieme ai risultati più evidenti.

Chiaramente il fanatismo religioso che era stato il principale motivo per la conquista, ha impedito di avvertire l’importanza delle credenze dei nativi. Perseguendo i loro scopi missionari di conquista, gli spagnoli distrussero i segni esterni della religione indigena: i suoi templi, i sacerdoti, gli idoli.
Tentando di organizzare la popolazione conquistata per i propri interessi, provocarono grandi difficoltà agli obiettivi degli indigeni, sostituendo progressivamente il linguaggio, i costumi, l’organizzazione economica e le loro gerarchie sociali.

Ma a misura che distruggevano i segni esterni della sua cultura, il contadino nativo si afferrò ancora di più alle sue antiche credenze, alla relazione intima con il suo ambiente fisico e continuò a usare la terra nelle forme che credeva proteggessero e favorissero le sue credenze.
Mentre si creavano e si applicavano nuove valorizzazioni del suolo, della terra, lui continuò a trovare soddisfazione e ragione di essere sotto la protezione del maiz nella terra che effettivamente considerava come proprietà comune dell’uomo e non dell’individuo.

L’impatto della conquista spagnola fu enorme: tutte le innovazioni dei conquistatori erano estranee e invariabilmente ostili all’indio e, sebbene gli spagnoli implicati nella conquista e nella successiva colonizzazione di El Salvador non superarono la quantità di alcune centinaia, la loro influenza sulla terra e sulla gente che aveva “scoperto” fu profonda.
Lo spagnolo scoprì attraverso la conquista la possibilità di guadagno personale che offriva una terra fertile e i suoi abitanti e considerò questi due aspetti in termini di sfruttamento.
Si misero in atto processi che sconvolsero e ridistribuirono la popolazione nativa e introdussero forme nuove dell’uso e della proprietà della terra.

Ho riportato fin qui alcune pagine del testo “El Salvador, la tierra y el hombre” per cogliere le radici, le origini di un fenomeno storico quale è stata la conquista delle terre dell’America Centrale e le tragiche conseguenze nella storia successiva e tuttora attuale di uno dei paesi più piccoli, più poveri e più violenti del Centro America.

In un testo che descrive i costumi di vita dei nativi in Centro America viene raccontato come avveniva e forse in parte avviene ancora la semina del maiz.
Il campesino non usa l’aratro per seminare il maiz perché il terreno utilizzato ha poco humus. Il terreno migliore è per altre culture: caffè e frutta per l’esportazione.
Per seminare il maiz si serve di un attrezzo di metallo, una lama legata a un bastone, con cui apre un buco nel terreno. Poi chiede perdono alla “Pacha Mama”, la Madre Terra, per la ferita che le provoca, ma – dice – “ho bisogno di nutrire la mia famiglia”.
E getta nel piccolo scavo tre semi di maiz e dice: “uno para los dioses, uno para los pajaros y uno para el hombre” (uno per gli dei, uno per gli uccelli e uno per l’uomo).
So per certo, per esperienza personale, che ancora oggi chi semina maiz getta ancora tre semi.

Questa ultima nota mi sembra molto efficace per descrivere la concezione unitaria, globale che l’antico indio centramericano viveva, come parte integrante e integrata del mondo.
Cultura che verrà drammaticamente e violentemente ferita, per non dire distrutta, dai colonizzatori conquistatori.

Oggi il Salvador è uno dei paesi più poveri dell’America Latina, il più deforestato (resta il 3% di foreste), reduce di una guerra di liberazione durata più di 10 anni. Guerra che ha provocato 80-90 mila vittime, di cui l’80% civili. Fu guerra di liberazione da un regime secolare di dominio dei grandi proprietari terrieri (le famose 14 famiglie) con un alleato quale l’esercito integrato nel sistema economico e con l’appoggio – “esterno”, ma sempre direttamente coinvolto – del governo. degli Stati Uniti,che definivano l’America Centrale “el jardin trajero”: l’orto, il giardino di casa.

Bruno Ambrosini


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