Ricordiamo Sandro (2)


 

Tanti uomini e donne passano la loro vita al lavoro, dentro un reparto o un ufficio, in inverno entrano al mattino ed escono la sera che è buio. Se va bene, vedono il cielo durante le pausa mensa e sanno se c’è il sole o piove.

Sandro ha passato così più di venticinque anni, come diceva a tutti quelli che hanno lavorato con lui “a remare in fondo alla stiva, mentre sul ponte di comando i dirigenti fanno i piani…”

Nel suo reparto i fabbri lavoravano in coppia e lui, che ha cominciato a lavorare da adulto, ha dovuto imparare tutto. Non era facile alla sua età fare il garzone di un altro.

Secondo quanto recita il CCNL, era un operaio “diligente nello svolgimento delle mansioni assegnategli”; la definizione aziendale era: “di buon comando”.

Ma tanto era diligente nel fare il suo lavoro come operaio, tanto era intransigente nel farsi rispettare come uomo. Lo pretendeva, per sé e per tutti, dai compagni di lavoro e, soprattutto, dall’azienda, dirigenti, ingegneri o capi, chiunque fossero.

Ci teneva a diventare un operaio capace, un buon fabbro, come era stato suo padre.

Però non aveva dubbi sul fatto che la condizione operaia e del lavoro sia una condizione di sfruttamento, che consuma la vita di uomini e donne per il profitto di pochi.

Perciò teneva ancora di più a costruire “il gruppo” con i suoi compagni di reparto.

La sua passione e la sua ossessione era la costruzione della dimensione collettiva degli operai, il “soggetto collettivo”, come unico modo serio di affrontare e di uscire dall’oppressione del lavoro quotidiano.

Non amava la ricerca delle soluzioni individuali alla miseria della condizione operaia. E non perdeva occasione per affermare il suo disprezzo per chi approfittava del sindacato o della politica per cavarsi fuori da essa. Come tanti operai, aveva chiaro il bisogno di fare sindacato in fabbrica, ma non aveva riverenze per il sindacato. E il sindacato non vedeva di buon occhio l’azione autonoma degli operai.

Si rivolgeva a tutti, nessuno escluso, raccoglieva il racconto dei fatti e lo scriveva su volantini che facevano il giro della fabbrica. Cronache dal basso si chiamavano.

Era esigente con se stesso più che con gli altri. Ma era schietto nella sua passionalità. Diventava amico di quelli tra noi più strani, solitari, randagi. Come lui era strano per molti…

Non distingueva il suo tempo dentro e fuori il lavoro, era e si sentiva sempre un compagno. Era solo e coltivava le amicizie con cura. Aveva un grande affetto per i figli degli amici che lo consideravano un nonno in più.

Lavorare con lui significava parlare di tutto, come capita a chi consuma il suo tempo lavorando. Si ragionava, si scherzava, ci si incazzava…

Aveva un temperamento passionale, si incazzava quando qualcuno accettava passivamente le cose e a volte era veemente nella sua rabbia, più per ciò che subivano gli altri che per quello che facevano a lui. Non l’ho mai sentito lamentarsi per tutte le ritorsioni dell’azienda contro di lui (cassa integrazione ecc.), che non sono state poche.

Non si è lamentato nemmeno per gli infortuni gravi che ha subito. Ha avuto rotta la schiena e una frattura al ginocchio che gli chiuse la possibilità di fare camminate, come gli piaceva tanto.

Ha animato il sindacato di base, lavorando con compagni provenienti da tutta la sinistra, portando sempre un punto di vista operaio, dal basso, di chi sta nella stiva…

DANILO FERRATI operaio
compagno di lavoro di Sandro


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