Ricordiamo Sandro (1)


 

Nato a Milano nell’estate 1942, cresce nella prima periferia della città, dove sua madre gestisce una latteria; suo padre è operaio alla Breda di Sesto San Giovanni.

Nei suoi sogni ci sta l’immagine del prete e dell’eroico missionario che va in Africa per annunciare Gesù, disposto ad affrontare il rischio di essere divorato dai leoni.

Un maestro che irride alla sua fede ottiene come risultato un Sandro determinato ad entrare in seminario a 11 anni, dove soffre pesantemente la lontananza dalla famiglia (normalissimo a 11 anni…), per non parlare delle punizioni che il vicerettore gli affligge ogni volta che si rifiuta di mangiare quei cibi così diversi dalla meravigliosa cucina mantovana della mamma.

Undici anni dopo, verso la fine del percorso seminaristico, ottiene di andare in Francia a vivere un anno come operaio in una fabbrica tessile attorno a Lione, ospite di una piccola comunità di Piccoli Fratelli di Gesù. Concluso poi il percorso degli studi teologici, viene ordinato prete nel 1967 e mandato nella periferia di Quarto Oggiaro, assistente del nuovo oratorio nella altrettanto nuova parrocchia della Resurrezione. Con l’arcivescovo Card. Giovanni Colombo aveva prima concordato che, dopo alcuni anni di servizio con i ragazzi e i giovani in parrocchia, sarebbe tornato a condividere la vita degli operai. Per questo, compiuti gli 8 anni di presenza a Quarto Oggiaro, Sandro avverte il Cardinale della sua decisione di ritornare in condizione operaia: dopo poche settimane di lavoro come magazziniere, gli si presenta l’occasione di entrare in una fabbrica storica della classe operaia milanese, la Breda Termomeccanica di Sesto San Giovanni: la stessa fabbrica dove suo padre aveva faticato per 40 anni! Siamo nel 1975.

In Breda Sandro ci resterà fino alla pensione (2002): prima delegato in uno dei reparti più pesanti, poi animatore-catalizzatore (se posso dire così) delle energie di lotta dei suoi compagni di lavoro. Per compiere quest’opera trova un negozietto in via Oslavia, a mezzo chilometro dalla fabbrica, dove dopo il lavoro si incontra con gli operai dell’Ansaldo (la nuova denominazione che nel frattempo ha assunto la Breda Termomeccanica) e delle altre grandi fabbriche attorno a Milano. La sua profonda ammirazione di alcuni “compagni-lottatori” dell’Alfa Romeo di Arese (chi li ha conosciuti può confermare quanto i due nomi tra virgolette siano appropriati), si trasforma in “congiura-assieme” contro il peggioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche, fino a costituire uno tra i primi sindacati di base, lo SLAI COBAS, protagonista delle prime lotte sorte fuori dell’ambito del sindacalismo confederale. Allo Slai Sandro dedica le sue migliori energie intellettive, senza mai “rubare” al lavoro nulla delle sue energie fisiche. Vittima di due gravi infortuni, rifiuta comunque di alleggerire la fatica da operaio, finendo per svolgere senza sconti la mansione del molatore anche per 8 ore al giorno.

Un paio di anni dopo l’inizio della sua vita da operaio, nel 1977, con il sottoscritto e con don Cesare Sommariva diamo vita a una comunità di preti operai, ospitata dai cistercensi all’interno dell’abbazia di Chiaravalle: la comunità San Paolo (così ci ha voluto denominare il Card. Colombo, parlando di noi con fiducia e speranza al nuovo consiglio presbiterale diocesano).

Nel 1980 otteniamo di trasferirci al quartiere Stella di Cologno Monzese, assumendoci la cura pastorale dei circa 2 mila abitanti del quartiere. Troviamo casa in affitto al quarto piano di un palazzo; al piano terra dello stesso celebriamo – sempre insieme – l’Eucarestia nella cappellina realizzata anni prima in un negozio del quartiere da una piccola comunità di padri Scalabriniani.

I (pochi) frequentatori della “nostra” messa domenicale non dimenticano certamente il Sandro-predicatore, una domenica ogni tre, quando toccava a lui presiedere l’Eucaristia.

Memorabile invece per noi tre l’arrivo in quartiere in forma privata del nuovo arcivescovo Carlo Maria Martini, nel 1981. Continueremo poi a incontrarlo a “casa sua” una sera intera ogni anno, fino a quando gli sarà diagnosticato il Parkinson.

Arriva poi nel 1994 il trasferimento provvisorio a Mazzo di Rho, quando Cesare (da tempo operaio siderurgico in prepensionamento) va Fidei Donum nel Salvador della guerra di liberazione, mentre io vado più velocemente nel Rwanda della guerra (guerra e basta!). Sandro non molla né la fabbrica, (neppure quando per rappresaglia è ripetutamente buttato fuori in cassa integrazione), né la lotta nel “suo” Slai Cobas.

In seguito, nel 1996, ci spostiamo a Peschiera Borromeo nella casa canonica di Mirazzano, a vivere come comunità monastica aperta a chiunque avesse bisogno di “prendere fiato” fisicamente, intellettivamente o spiritualmente. Intanto Sandro continua il lavoro all’Ansaldo e l’impegno con lo Slai Cobas anche oltre il suo pensionamento…

Sandro in visita a don Mario Colnaghi, ospite in una RSA di Rho

Nell’anno 2008, Cesare chiude la sua vita, dopo 5 anni di malattia. Sandro sta covando da qualche anno una forma di malattia degenerativa che durante i funerali di Cesare si manifesta visibile a tanti. Poche settimane dopo sceglie di ritirarsi nel suo negozietto in via Oslavia. Successivamente le sorelle, che lo hanno sempre seguito con attenzione, lo convincono a trasferirsi in quella che era l’abitazione dei suoi genitori, nella zona di Milano dei primi anni della sua vita.

La malattia peggiora; non riconosce più né le persone né le parole: lo dice in uno dei suoi ultimi scritti (attorno al 2012) ai preti operai della Lombardia:

Cari miei, io oggi non ci sono perché mi sento il dovere di andare a Milano al Coordinamento Nazionale del sindacato di base che ho collaborato a nascere.
Anche lì avrò la difficoltà di comprensione e di intervento come con voi. Ma porto lì il mio corpo per affiancarmi a tutti quelli che si danno da fare.
La mia testa sta aumentando la sua miseria. Non capisco più nomi, parole e frasi raffinate.
Il mio pesante percorso operaio mi ha forse massacrato oltre il corpo anche la testa.
In questa condizione sono ormai in una situazione molto depressiva. Passo le giornate chiuso da solo in una singola stanza in via Oslavia come se fosse il mio carcere.
Sentirei ormai di ridurmi almeno a fare azioni di affiancamento ai poveri, ai massacrati, ai solitari, ai tristi di vita. Ma purtroppo riesco a fare poche cose.
La conclusione finale della mia vita è quindi molto umiliante […]
Vi confesso che non sento il desiderio di continuare a lungo la mia vita ormai sconfortata […]

Sandro se n’è andato il 27 marzo 2017, colpito da un’imprevedibile polmonite; dopo anni di Alzheimer tremendo, di cui purtroppo lui spesso aveva coscienza.

Luigi Consonni


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