Ricordiamo Sandro (3)
La cosa migliore è dare a lui la parola. Lui stesso si è presentato come una parabola viva. E noi l’abbiamo vissuto così e così è rimasto nel nostro ricordo. E’ la sua connessione strettissima con il mondo della fabbrica. Sandro non ha solo fatto il lavoro da operaio, ma è diventato operaio. Una modificazione antropologica lo ha investito nel profondo dell’anima e del corpo. E’ lui a descriverla:
“Dopo 10 anni mi sta capitando che dal “fare” l’operaio, sto “diventando” operaio.
E mi si sta sgretolando tra le mani la “crisalide” dentro cui ero attrezzato a custodire e nutrire la mia “anima”.
E sento la paura di “perderla”.
…Chi non perde la sua “vita” per me, non è degno di me.
Il farsi prossimo della condizione operaia è il punto di arrivo di tutto il mio cammino religioso: in esso si conclude e sembra esaurire tutto il suo contenuto.
Dio l’ho sempre sentito come uno che mi spingeva da dietro, mai come uno che mi apparisse chiaro davanti.
Davanti ho sempre avuto le aggrovigliate situazioni e le pesanti condizioni in cui la spinta mi buttava”.
Riporto una sua sintesi creativa della parabola del Samaritano inverata e trasformata dalla sua vita quotidiana: colui che scende da cavallo subisce la stessa sorte di colui che era stato malmenato. Non era uno solo, ma tanti, tanti… e lui è diventato uno di loro e come loro.
Vatti a fidare delle parabole
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico
e si imbatté nei ladri, i quali
lo spogliarono,
lo percossero
e se ne andarono lasciandolo
mezzo morto”.
Io sacerdote,
scendevo per caso dalla medesima via…
“mi mossi a pietà
mi fermai
scesi da cavallo
mi feci a lui vicino” (era il 25 settembre 1975)
Come da copione – pensavo –
“verserò sulle sue ferite olio e vino
gliele fascerò
lo farò salire sul mio cavallo
e lo condurrò da qualcuno che possa aver cura di lui”.
Ma appena sceso da cavallo
e fattomi a lui vicino,
i ladroni che lo avevano così mal ridotto
sono saltati addosso anche a me,
mi hanno spogliato,
mi hanno caricato di percosse
lasciando anche me mezzo morto, assieme a lui.
Da 22 anni mi trovo qui:
ad ogni tentativo di rialzarci assieme
i ladroni ci ripiombano addosso
ci riempiono di nuove percosse…
E non c’è più nessuno che ha cura di noi.
Intanto sulla strada che ci passa accanto
il traffico si è fatto più intenso:
è tutto un via vai
di gente che discute sull’aumento delle vittime dei ladroni,
di sacerdoti che si recano al tempio per pregare per gli aggrediti…
Talvolta ho la sensazione che loro,
i ladroni che ci hanno ridotto così,
siano tranquillamente mescolati a questa folla
di sacerdoti, leviti e buoni samaritani.
E che, da lontano,
vedendo anche me così conciato,
sogghignino segretamente.
In un’altra parabola, tratta dalla vita di fabbrica, che ha narrato a noi P.O. riuniti nel Convegno del 1989, ci presentava la menzogna che avvolgeva e, dobbiamo dire, tuttora avvolge il mondo del lavoro. Ad esso, nella sua verità, non solo non è concessa alcuna visibilità sui media, ma viene stravolta e rovesciata nel suo contrario. Lo spazio disponibile non consente di riportare anche la spiegazione di Sandro, ma credo che da sé questa parabola sia molto eloquente. Suo è il titolo dato al suo intervento in quella lontana assemblea.
Una parabola
“È un episodio avvenuto nella fabbrica in cui io lavoro.
Tre fabbri stanno lavorando al premontaggio di un grosso componente per centrale a carbone. Un lavoro che impone condizioni di lavoro particolarmente penose.
Arrivano alcuni dirigenti aziendali con una équipe di fotografi.
I lavoratori, sporchi e sudati, vengono fatti uscire dal pezzo: si chiede loro di ripulire il posto da tutti gli elementi di disturbo: via scale, tiranti, mole, saldatrici, mazze, cannelli…
Da ultimo vengono fatti spostare anche loro e vengono sostituiti da tre giovani indossatori, freschi e contenti, con tute nuove fiammanti. Si accendono i fari… e si fotografa la menzogna.
In qualche parte del mondo qualcuno sta guardando i patinati dépliants dell’Ansaldo che reclamizzano il prodotto e ingannano il mondo sul modo di produrre.
Ma io che in quell’angolo di reparto in cui si è consumata la menzogna c’ero e ho visto, non ho avuto alcun dubbio su cosa era doveroso fare”.
Nonostante la durezza quotidiana sostenuta in 26 anni di fabbrica con annessi due pesanti infortuni subiti sul lavoro, la più grande sofferenza lo investì negli ultimi anni della sua vita. Era come che si fosse adempiuta una sua profezia su di sé che ci aveva confidato in anni precedenti quando andava a visitare don Mario Colnaghi più anziano di noi, per molti anni preteoperaio alla Pirelli. Colpito da un ictus, ha trascorso in un geriatrico l’ultima parte della sua vita. Sandro ci diceva che in lui intravedeva il suo destino futuro. Nei nostri periodici e regolari incontri dei PO della Lombardia assistevamo impotenti al suo progressivo declino mentale, alla riduzione del suo vocabolario, all’oscuramento della memoria. E anche alla consapevolezza sua di quanto stava vivendo. Un futuro buio. Alla fine degli incontri ci rimproverava per il nostro linguaggio troppo difficile…
Spesso ci raccontava ancora una volta la sua storia:
“Rimasi in Breda Termomeccanica per ventisei anni. Svolgevo il ruolo di fabbro-saldo-carpentiere. Era il ruolo lavorativo più pesante della mia fabbrica. […] L’Azienda mi ha più volte proposto di avanzare in forme di lavoro più raffinate: ma io mi sono sempre rifiutato perché volevo condividere sempre la condizione degli operai più pesantemente massacrati.
Nonostante il mio pesante lavoro, mi buttai nell’innescare tra i miei compagni la necessità di far nascere una autorganizzazione di base.
Il lavoro mi aggredì profondamente. Mi sentivo sempre molto stanco e affaticato. Ho subito quattro infortuni i cui più gravi furono la rottura della vertebra e il massacro di un ginocchio. Poi, con gli esami che ci hanno fatto per esposti all’amianto, mi hanno trovato le placche pleuriche ai polmoni. Andai quindi in pensione nel 2002 con cinque anni di anticipo per l’amianto.
La mia vita è stata un collocamento radicale nella stiva dell’umanità. Da questa profonda umiltà io ho sempre più guardato e giudicato criticamente le cose che mi venivano imposte dall’alto: sia dalle gerarchie politiche-padronali sia da quelle religiose-sacrali. Entrambe erano burocraticamente sul ponte della nave dell’umanità mentre io ero con tutti quelli nella stiva”.
Chiudo con un mio messaggio inviato a Sandro dopo aver di nuovo ricevuto la narrazione della sua parabola.
Caro Sandro,
ti ringrazio per la semplicità e la fiducia con cui ti rivolgi a noi e quindi anche a me.
Io porto nel cuore tutto quello che abbiamo vissuto insieme nei tanti anni nei quali ci siamo sempre incontrati. Ho sempre portato in me una stima altissima per te.
Ti faccio una confessione: quando guardo papà nella sua malattia, nell’impossibilità di parlare, la mia memoria si riempie delle tante cose che abbiamo condiviso, gli parlo come sempre. Porto tutta la nostra storia e lo accolgo pienamente. Per me è sempre lui.
Credimi: mi fa soffrire sentire e vedere il tuo dolore. Non posso certo attenuarlo o dire parole di consolazione che so inefficaci. Vorrei dirti che ti sono vicino così come sei. E spero che i nostri incontri ti possano dare la certezza che sei con noi, che sei uno di noi. Le tante cose che ci hai testimoniato ci hanno davvero aiutati a crescere e a tener vivo sempre il senso delle nostre scelte di vita. Vorrei anche dirti che certamente il tuo Gesù ti ama e che non ti abbandona ora che stai vivendo il lavoro più duro di tutta la tua vita.
Caro Sandro, ci vediamo sabato; desidero davvero rivederti e stare un po’ insieme.
Un caro abbraccio. Roberto.
Roberto Fiorini

Giugno 2005: pretioperai lombardi si incontrano a Viboldone: Angelo Reginato, Gianni Alessandria, Sandro Artioli, Luisito Bianchi, Roberto Fiorini, Bruno Ambrosini, Giorgio Bersani, Mario Signorelli