Convegno di Bergamo / 2 giugno 2018
MEMORIE PER UN FUTURO 
Interventi e risonanze (5)


 

Sì, le nostre radici profonde le abbiamo tutti nel continente africano ed è importante saperlo perché: “non si può comprendere a pieno il significato dei processi di globalizzazione economica e culturale contemporanei senza una loro collocazione nel tempo profondo della planetarizzazione della specie umana. Essi sono infatti, l’esito ultimo (assai imprevedibile) di una lunga storia di migrazioni, di colonizzazione, di derive e di ibridazioni” (Pievani).

Un mio amico 25 anni fa scriveva dal Salvador: “il fatto totalmente nuovo è che le umanità, che abitano la terra, sono diventate vicine l’una all’altra, anzi, in crescente misura, l’una interna all’altra, e sono tutte insieme sotto incombenti minacce che toccano la specie umana come tale”. E’ questa la realtà che si sta imponendo sotto i nostri occhi e con la quale occorre fare i conti.

Chi parla di invasione dimentica che siamo stati noi i primi a invadere non con barconi colabrodo, ma con navi da guerra e cannoni. La “dittatura del presente” ci impedisce di ricordare che, l’intera Africa fino a metà del secolo scorso, era occupata e dominata dai Paesi europei, quell’Europa che ora innalza barriere protettive contro l’invasione. L’unico territorio ancora libero, all’inizio della prima guerra mondiale era l’Etiopia, quello che l’Italia andò a conquistare, utilizzando anche gas tossici, nell’imminenza della seconda guerra mondiale.

Africa vuol dire 400 anni di schiavitù e 200 anni di colonizzazione. Molto del benessere europeo dipende da quello che è stato asportato, meglio rapinato, dall’Africa. E ancor oggi è così.

Il presidente francese Mitterand ammetteva: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E il suo successore Chirac nel marzo del 2008, ribadiva: «Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21° secolo”

L’Africa è il continente più ricco del mondo per risorse naturali, il più soffocato dagli interessi dei debiti internazionali, il più depredato dagli affari delle multinazionali e tra i più colpiti dai cambiamenti climatici provocati dai paesi ricchi. È il continente più ferito dal colonialismo e dal neocolonialismo, ma percorso anche da migliaia di storie di resistenza, di ricerca di libertà.

Nel nostro mondo globalizzato c’è “la libertà per cui tutto può andare dappertutto; ma questa libertà di muoversi per tutti i luoghi e in tutte le direzioni, l’abbiamo istituita e riservata solo alle cose: al capitale, alle merci, alle fabbriche depurate dagli operai, alle manifatture, ai servizi, ai call center, ma non l’abbiamo data alle persone” (La Valle)

Il mese scorso qui a Mantova c’è stata la bellissima iniziativa: “la mostra dei minerali clandestini”. Sono: “coltan, oro, zinco, uranio, tungsteno, cobalto e tanti altri ancora”. Provengono da “Miniere illegali, trasporti illegali, autorità corrotte, compratori senza licenza d’esportazione; e soprattutto, veri e propri eserciti di mercenari a guardia della illegalità”. Alla mostra abbiamo imparato dagli africani che questi minerali finiscono come componenti nei nostri smartphone, e in altri strumenti ad alta tecnologia, nelle batterie che servono per le auto elettriche. Oltre ai gravi danni ambientali i lavori estrattivi sono molto pericolosi. A mani nude si trattano materiali radioattivi. Anche i bambini e le donne vengono impiegati, senza alcun rispetto dei diritti dei lavoratori. Da noi il reato di clandestinità colpisce solo gli esseri umani, mentre libero transito è riservato ai minerali illegali. Il libretto della mostra si apre con questo salmo laico di Erri De Luca:

L’Africa è l’utero della specie umana.
L’Africa è la miniera prima.
schiavi, oro, diamanti, petrolio.
L’Africa è la più grande valanga di accuse
al resto del mondo.
L’Africa ci chiamerà in giudizio.
La sua sentenza sarà mite e spietata,
dichiararci tutti maledetti figli suoi”.

Roberto Fiorini


Share This