Frammenti di vita (3)
Al mattino le idee sono più limpide soprattutto se si è riposato durante la notte. Il riposo è essenziale, se è disturbato rimaniamo tali durante il giorno che la maggior parte risolve con uno o più caffè. Inizio la mia giornata con la meditazione camminata lungo un percorso nel bosco e questo per me è un momento molto intenso. Il buon giorno si vede dal mattino.
Vedo il sole che sorge da dietro la montagna e mi soffermo a guardarlo per qualche secondo. Noto subito poi il colore delle nuvole: “Rosso di mattina, la pioggia si avvicina”
Il richiamo è immediato al nostro maestro falegname di Nazareth :
“Quando si fa sera, voi dite : tempo buono, perché il cielo è rosso., e al mattino “oggi temporale, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque giudicare l’aspetto del cielo e non riuscite capire i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera ricerca un segno. Ma non le sarà dato alcun segno se non il segno di Giona” (Mt 16, 1-4).
Camminando per il bosco in questo periodo tra l’inverno e la primavera noto delle sorprese. La terra è in movimento, movimento che nasce da un lavorio silenzioso durato qualche mese. Stanno spuntando delle violette di tre colori diversi: viola scuro, violetto chiaro e bianco. Madre natura è molto fantasiosa. I primi anni della mia presenza non si vedevano questi fiori perché il terreno era avvolto dalle erbacce e dai rovi. Pulendo di anno in anno hanno incominciato a farsi vedere, ora formano un tappeto splendido che fa tutt’uno con l’edera.
Lo spuntare di questi fiori avviene dopo un periodo di pausa, la natura ama questo modo di fare, non è esplosiva perché alla fine si autodistrugge. L’inverno è il tempo della pausa, del lavoro sotterraneo, dell’assestamento.
Per qualsiasi progetto c’è bisogno di un lavoro sotterraneo, di un silenzio come se nulla si muovesse. Avviene per ogni espressione di vita relativa agli uomini, agli animali e alla natura. Questo tempo “sotterraneo” rafforza le radici, che si assestano. E’ lo stesso discorso del seme di cui parla il Vangelo. Se esso cade sulla strada gli uccelli lo mangiano e se anche rimanesse sulla strada esso non può radicarsi.
Parliamo molto in questi ultimi tempi di riforma, politica, sociale, religiosa e spesse volte la si aspetta dall’alto, ma se essa non ha radici, non può attecchire. Una volta le riforme diventavano canoni, obblighi, era l’unica maniera di farle osservare. O ci stavi, oppure eri considerato eretico. Dopo anni quelle riforme fanno acqua da tutte le parti. Sono come un albero che se non si spoglia delle sue foglie piano piano si secca. Esso ad ogni stagione ha bisogno di ringiovanire, di cambiare foglie, altrimenti non porta frutto.
Il tempo del “sotterraneo” è il tempo del pensare, dell’esperimentare, del discernimento, del prendere coscienza della causa-effetto, del sogno che diventa realtà esperimentandolo, come in un laboratorio. E qui mi vengono in mente alcuni versi di Thomas Borge:
L’uomo che non è capace di sognare
è un povero diavolo.
L’uomo che è capace di sognare
e di trasformare i sogni in realtà
è un rivoluzionario.
L’uomo che è capace di amare
e di fare dell’amore
uno strumento per il cambiamento
è anch’egli un rivoluzionario.
Il rivoluzionario quindi è un sognatore,
è un amante e un poeta,
perché non si può essere rivoluzionari
senza lacrime negli occhi
e senza tenerezza nelle mani.
Oggi, come sempre ci sono problemi enormi che mettono in discussione la sopravvivenza del pianeta soprattutto per il riscaldamento globale. Ce ne rendiamo conto in questi ultimi mesi che non piove e corriamo il rischio della desertificazione del nostro territorio. L’origine di questi problemi non è recente, negli ultimi cinquant’anni abbiamo costruito da tutte le parti, abbiamo consumato e continuiamo a farlo le risorse. Manifestare è importante e bisogna essere cocciuti. La manifestazione che dura un giorno e poi noi continuiamo a fare come prima è come polvere gettata al vento. Le manifestazioni non devono dire: dobbiamo fare così, ma siano la dimostrazione di un vissuto: noi stiamo facendo così.
Manifestare col telefonino in mano e preoccuparsi di fotografare i nostri volti per dimostrare che ci siamo senza parlare e interloquire con chi sta camminando con noi non è un bel messaggio. Nello stesso tempo contribuiamo a consumare le risorse del pianeta. Continuare a riempire i carrelli della spesa perché il frigorifero sia stracolmo noi stiamo facendo il gioco delle grosse multinazionali. Continuare ad usare l’auto anche per andare al bar contribuiamo alla crescita dell’inquinamento. I pullman e gli autobus pubblici spesse volte sono semivuoti. Perché? E’ più facile utilizzare l’auto.
Camminando lungo il percorso i miei piedi calpestano le foglie degli alberi. Una volta mi divertivo a toglierle dai sentieri e dal prato, e questo ha causato qualche smottamento del terreno. Ora le lascio perché diventeranno terriccio e poi proteggono altre erbe che sono utili.
Infatti, ora che si stanno sfaldando noto molte piantine di tarassaco, vigorose, al contrario di quelle esposte al freddo. La natura utilizza tutto.
Tutto questo mi fa capire che non si butta via nulla, l’esperienza vissuta, la saggezza di tante persone e movimenti che ora non esistono più, ma il loro concime rimane. Da quel concime possono spuntare nuovi germogli. Anche le esperienze negative che aprono gli occhi e fanno capire che quella strada non va ripercorsa perché porta ad un vicolo cieco o ad un precipizio.
I vecchi latini parlavano di “historia, magistra vitae”.
L’atteggiamento di oggi è quello di eliminare tutto e buttare tutto alla discarica.
Per le innovazioni nel campo della medicina e della scienza prima di diventare patrimonio comune ci son voluti anni di prove, di esperimenti. Contrariamente a quanto avviene nel campo del sociale, del politico. Quello che domina è il tutto e subito. Le idee di qualcuno vanno sul mercato e sproloquiate con dei continui bla bla bla, senza discernimento, in funzione del raccogliere consensi, che poi nel giro di poco spariscono.
L’esperienza delle prime comunità cristiane confermano questo modo di porre il cambiamento:
“Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera … Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio o godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At.2,42-47).
Una proposta che nasce da un modo di vivere concreto tanto da diventare punto di riferimento per altri, senza propaganda e sbandieramenti vari. Pertanto se si vuole essere credibili è necessaria la coerenza.
Dopo questi pensieri ritorno sul mio cammino e passo davanti all’orto, che i ragazzi ospiti mi hanno risistemato e impostato in maniera diversa, con un cultura sinergica, riutilizzando le foglie e la paglia. I semi messi in una terra coperta dalle foglie per mantenerla umida. I primi a nascere sono stati i piselli che sono esplosi in una maniera incredibile, senza concimi.
La gente che passa di lì si ferma incuriosita vedendo tutta questa paglia e queste file di mucchi di terra. Il nuovo attira, soprattutto se fatto con passione.
Questo mi fa ricordare che il seme va protetto con l’esperienza, con l’energia acquisita. Noi preti operai nel nostro piccolo abbiamo acquisito esperienza con il nostro vissuto, sull’esempio di altre persone. Oggi possiamo considerarci foglie secche, non da buttare alla discarica, ma che servono invece ad alimentare i nuovi semi che stanno nascendo nella nostra società. Lo stesso dicasi di ogni altra esperienza significativa dei decenni scorsi, delle lotte per una società più equa, alimentate dall’impegno di persone che hanno pagato anche con la loro vita.
I progetti alternativi in campo sociale, politico ed ecclesiale, culturale nascono non per essere in contrapposizione con altre visuali. Se così fosse perderebbero tutta la loro credibilità e la loro forza. Si fa così perché è bello, perché piace, dà soddisfazione. Il tutto non nel rumore, ma nella coerenza
Le idee e i progetti diventano patrimonio comune perché sono già un vissuto, un’esperienza.
Lee Kwang Su, della Corea, direbbe:
Non dite che siamo pochi
e che l’impegno è grande per noi.
Dite forse che due o tre ciuffi di nubi
sono pochi in un angolo di cielo d’estate?
In un momento si stendono ovunque.
Guizzano i lampi, scoppiano i tuoni.
piove su tutto.
Non dite che siamo pochi.
Dite solamente che siamo.
Mario Signorelli