Chiesa ed evangelizzazione
Una comunità di Pretioperai del Prado, della periferia di Parigi, vive nell’Eucaristia la propria missione
La comunità di Boulogne Billancourt è nata dalla volontà del Prado di Francia, nel 1970, di creare alcune comunità pradosiane in ambiente operaio, con lo scopo di condividere il più possibile la vita dei deboli e di collaborare all’evangelizzazione del mondo operaio. Già all’inizio abbiamo sentito la necessità di condividere la vita di lavoro di coloro a cui eravamo stati inviati.
Questa comunità si è in parte rinnovata: Jean Pierre è infatti arrivato nel 1976.
Siamo tre preti operai:
– Louis, 68 anni è oggi in pensione. Continua a partecipare alle attività del suo sindacato. Ha anche la responsabilità pastorale di una comunità cristiana di immigrati spagnoli ed è assistente di un gruppo di Action Catholique Ouvrière.
– Jean Pierre, 43 anni, lavora come tecnico in una casa editrice dove i licenziamenti sono all’ordine del giorno. Per due anni è stato segretario permanente del suo sindacato. Oggi è segretario del Comitato di fabbrica. Inoltre collabora ad Amnesty International e ad un’associazione di solidarietà con il Libano.
– Michele, 49 anni, lavora in una società nazionale che ripara i reattori degli aerei. Per sei anni è stato segretario del Comitato di fabbrica. Attualmente è delegato del personale in un ambiente dove i conflitti sindacali sono molto duri.
La nostra comunità non è uniforme, ci sono soprattutto differenze di “teologie” in senso lato. Gli uni mettono soprattutto l’accento sull’assoluto del Vangelo e danno quasi l’impressione dl sottovalutare i valori del mondo; gli altri insistono talmente sulla secolarità che è difficile talvolta scoprire l’originalità del Vangelo.
La nostra comunità inoltre riflette le contraddizioni del mondo operaio in Francia. Non apparteniamo tutti alla stessa organizzazione sindacale e le divisioni del mondo operaio si fanno sentire all’interno della nostra comunità. Non è comunque una questione di persone, perché esiste fra noi una reale fraternità.
Nel corso degli anni inoltre abbiamo progressivamente scoperto che queste differenze potevano trasformarsi in speranza. Abbiamo infatti la convinzione che la nostra situazione va al di là delle nostre tre persone. In un mondo in cui il fanatismo e l’intolleranza guadagnano terreno, noi abbiamo la pretesa di pensare che quello che noi viviamo in comunità, in una maniera molto modesta, quasi ridicola, può essere foriero di una Buona Notizia nel seno della Chiesa per i poveri d’oggi. È una testimonianza di Chiesa.
L’Eucaristia vissuta come speranza
Molte volte dei compagni di lavoro ci chiedono: «Come fate a vivere insieme e a capirvi, pur essendo di sindacati diversi?». Noi ci troviamo spesso in imbarazzo a rispondere, perché la risposta non rientra nelle spiegazioni intellettuali e razionali. Essa si rifà al nostro impegno di seguire Gesù Cristo e avremmo voglia di dire: «Venite a partecipare all’Eucaristia che celebriamo ogni sera. Non possiamo darvi delle spiegazioni teoriche, perché bisogna mettersi insieme all’ascolto della stessa Parola. È una realtà che noi viviamo e che ci supera».
È in effetti nell’Eucaristia che viviamo l’intuizione che vi è qualcosa di più grande dei nostri progetti e dei nostri impegni. Questo qualcosa che ci anima, o piuttosto, questo Qualcuno è portatore di un dinamismo per l’avvenire e per i poveri. Questo Qualcuno ci spinge ad uscire da noi stessi.
Facciamo tutto il possibile per celebrare ogni sera al ritorno dal lavoro. È per noi una priorità vitale anche se talvolta la forza dell’abitudine e lo stimolo degli altri componenti della comunità è molto utile.
Abbiamo la fortuna di aver potuto sistemare nella cantina della nostra casa un piccolo oratorio. Questo luogo di preghiera, a qualche centinaio di metri dalle officine Renault, può sembrare insignificante e ridicolo. Non è redditizio a livello di strategia missionaria, né efficace di fronte al lavoro da compiere. Spesso, dopo una giornata colma di attività, ci capita ancora di stupirci di ciò che facciamo: che cosa vuol dire per i nostri compagni di lavoro riunirci per una mezz’ora alla fine della giornata per questo gesto affidato da Cristo ai suoi discepoli e portato avanti per secoli dai cristiani? E tuttavia pensiamo alla frase di Antonio Chevrier: «Date spazio per prima all’interiorità…»
Pensiamo anche alle parole di P. Ancel che, qualche settimana prima di morire, diceva a Luigi: «I PO sono più che mai necessari alla Chiesa. Come i monaci. Tu capisci, i PO non hanno niente più che l’essenziale: l’Eucaristia e la condivisione della vita dei poveri».
All’Eucaristia arriviamo con i pesi della giornata… Abbiamo la testa ancora piena delle preoccupazioni del giorno: alcune discussioni, un lavoro più o meno interessante, un sentimento banale, i compagni di lavoro… Ci sono delle sere di collera, di scoraggiamento. di fronte al cinismo dei padroni, l’impotenza a reagire, l’individualismo di certi salariati, la stanchezza dopo una riunione difficile e burrascosa. C’è talvolta il disgusto davanti alle polemiche fra sindacati.
Bisognerebbe parlare anche dell’angoscia di fronte ai licenziamenti, della mancanza di sicurezza mantenuta dai padroni, della precarietà, della flessibilità degli orari di lavoro. Bisogna sempre ricominciare…
Per fortuna ci sono talvolta dei giorni più luminosi, con la testimonianza di amicizia dei militanti dopo una manifestazione riuscita, un successo ottenuto, una discussione costruttiva, e anche dopo le sconfitte vissute in solidarietà, con coraggio, senza rassegnazione.
Spesso bisogna fare il vuoto, mettersi semplicemente nell’atteggiamento di discepoli alla sequela di Cristo. Il rito della riconciliazione all’inizio dell’Eucaristia ci ricorda che non bisogna guardare verso il passato, ma verso l’avvenire. Abbiamo sperimentato fra noi la forza rivoluzionaria del perdono che apre un orizzonte nuovo, un avvenire per ogni uomo. Ma questo è facile da dire. C’è bisogno della forza dello Spirito di Cristo per perdonare.
La lettura dei testi della Scrittura, dopo una giornata stressante, appare il più delle volte come insolita, extraterrestre, provocatoria. E tuttavia sentiamo confusamente la necessità di ritrovarci insieme in un atteggiamento di discepoli che ascoltano la stessa Parola. Dobbiamo accettare dl essere spogliati delle nostre certezze, dei nostri modi di vedere. Sappiamo che questo gesto produrrà presto o tardi del nuovo, anche se non possiamo dire come…
Ripensiamo alla frase del vero discepolo: «Quando due anime illuminate dallo Spirito Santo ascoltano la Parola di Dio e la capiscono, si forma in queste due anime una comunione di spirito molto intima di cui Dio è il principio e il punto centrale.
Dopo la lettura dei testi della Scrittura ci prendiamo un lungo tempo di silenzio. Pensiamo all’atteggiamento di Maria che conservava e meditava tutti questi avvenimenti nel suo cuore.
Tempo di vuoto, perché spesso non abbiamo voglia di pensare e neppure di meditare; bisogna essere là, semplicemente, con gli amici della comunità, gratuitamente.
Tempo di oscurità, perché spesso noi non cogliamo il senso dell’istante vissuto. Tempo di abbandono alla Parola e del superamento delle nostre miserie. Tempo di presenza, là dove due o tre sono riuniti… Noi misuriamo lo scarto che esiste fra ciò che viviamo e la Parola della Scrittura. Abbiamo l’impressione di vivere in due mondi differenti fra i quali è difficile trovare un legame. Bisogna che accettiamo questa tensione. Ma chi dunque agisce in noi e ci mette in movimento?
Dopo il silenzio ci prendiamo il tempo della condivisione, senza pretesa di meditare la Parola. Varia molto dai giorni e dai testi, ma noi ci ritroviamo la verità. E la grande libertà. Talvolta l’uno o l’altro non ha niente da dire, se non che è stanco o che ha pensato ad altro. Cerchiamo semplicemente di condividere, in un atteggiamento di discepoli di Cristo. di ascoltare l’altro…
Il fatto di ascoltare l’altro con tutto ciò che porta, le sue responsabilità, i suoi impegni, i suoi compagni di lavoro, la sua meditazione della Parola, trasforma impercettibilmente il nostro sguardo e il nostro comportamento. Siamo responsabili gli uni gli altri del ministero dei nostri fratelli. Non sono più solamente tre preti che si ritrovano insieme, ma una comunità che compie un ministero di Chiesa, e l’Eucaristia simbolizza e attualizza questa comunione al servizio dei più sfruttati.
Nell’Eucaristia abbiamo il presentimento di vivere, in anticipo, già da adesso, una realtà di fraternità, che evidentemente è lontana dall’essere realizzata nel mondo, ma crediamo che questa fraternità sarà possibile domani. I lavoratori aspirano profondamente all’unità, alla dignità, alla giustizia, alla pace, e vogliamo credere già da adesso, attraverso le nostre contraddizioni, alla speranza delle beatitudini annunciate da Cristo: «Felici gli operatori di pace». Le opposizioni diventano differenze all’interno di uno stesso cammino.
In questa cena simbolica lasciataci da Cristo, noi attendiamo il giorno in cui tutti gli uomini si ritroveranno fratelli attorno a una stessa tavola e figli di uno stesso Padre. Un giorno in cui non ci saranno più né ricchi né poveri, in cui non ci saranno più lacrime, in cui nessun bambino avrà fame…
Abbiamo tutti sperimentato come l’Eucaristia vissuta nel mondo stesso, anche se segretamente, è un atto di speranza e ci obbliga a credere alle possibilità di cambiare il futuro già da adesso. Attraverso la banalità del quotidiano, l’Eucaristia trasfigura i1 nostro orizzonte. Non è per la nostra santificazione personale che facciamo questo gesto, ma in nome della Chiesa come annunciatrice di una Buona Notizia, anche se questa espressione è spesso sprecata e sembra disusata. Questo fa parte integrante del nostro ministero di preti operai.
Spesso abbiamo fatto esperienza del buio, dello scoraggiamento. Bisogna sempre ripartire, ricostruire. Non si vede alcun risultato. Abbiamo una sensazione di impotenza. E tuttavia crediamo che al termine di questa notte, una risurrezione è possibile anche nella situazione più disperata. Non possiamo accettare la disperazione diffusa, né il fatalismo contro il dominio del denaro, la legge della giungla. È ciò che ci permette di avanzare e di progredire.
Alcune costanti
Riflettendo sui nostri atteggiamenti di preti operai diversamente impegnati, osserviamo alcune costanti.
Abbiamo regolarmente rifiutato la discussione di fondo sulle ideologie, i programmi sindacali e politici. Pensiamo che non sta a una comunità di preti giudicare il valore delle analisi sindacali e politiche. Quello che ci riunisce è la missione che abbiamo ricevuto insieme dalla Chiesa. È la stessa responsabilità missionaria, e questo oltrepassa tutto il resto.
Non pensiamo che i programmi delle nostre rispettive organizzazioni esauriscano totalmente la nostra visione del mondo e dell’uomo. Il nostro attaccamento a Cristo ci aiuta a vedere più lontano, più in profondo e più in là.
- A vedere più lontano, perché il Vangelo ci dice che tutti gli uomini sono chiamati a questo regno annunciato da Gesù, dove ognuno si ritroverà fratello.
- A vedere più in profondo, perché le persone non si limitano a una visione ideologica, sindacale o politica della vita.
- A vedere più in là, perché il Vangelo ci dà forse una sensibilità particolare per gli esclusi, gli emarginati.
L’incontro con l’ateismo
La maggioranza dei nostri compagni di lavoro e di sindacato non è cristiana. Con le nuove generazioni questo fenomeno di differenza e di distanza di fronte al cristianesimo è ancora più forte, perché la maggioranza del giovani non è più catechizzata. Noi crediamo tuttavia che il Vangelo vissuto comunitariamente in mezzo alla gente può essere una straordinaria fonte di progresso per l’oggi e il domani. In una società dove la corsa al profitto e la padronanza delle tecniche giudicano l’uomo per la sua capacità di produrre e per il suo denaro, il Vangelo può continuare a sollevare una immensa speranza per tutti, ma soprattutto per i poveri, gli esclusi, i militanti che assumono dei rischi e lottano per un mondo migliore.
Quello che cerchiamo di vivere giorno per giorno vorrebbe essere un semplice segno anticipatore dl questa Chiesa che annuncia il Regno.
Vivere la Chiesa
Noi viviamo la Chiesa a parecchi livelli: in comunità innanzitutto, che è per noi una cellula dl Chiesa riunita attorno all’Eucaristia.
La comunità ci supera. Non è solo la somma di tre individui. È una realtà che è stata voluta dalla Chiesa, tramite il Prado, ed è per noi uno stimolo. La vita vissuta in fraternità all’interno della comunità fa parte del nostro ministero, come segno di una Buona Notizia. I1 nostro ministero non ha significato agli occhi dei nostri compagni se non è legato a tutta una Chiesa.
La Chiesa noi la viviamo anche con altri cristiani:
– fra preti operai della regione. L’abitudine acquisita al Prado di confrontarci comunitariamente sull’essenziale del nostro ministero e sulla preghiera, ci aiuta nella nostra riflessione comune. Dobbiamo sottolineare che i1 dialogo con il nostro vescovo si approfondisce sempre di più.
– Fra preti di Boulogne. Ci riuniamo regolarmente e i rapporti sono molto fraterni. Ci rifiutiamo di considerarci gli “specialisti” dell’evangelizzazione del mondo operaio, perché è tutta la Chiesa che deve esserne segno. La questione dell’opzione preferenziale per i poveri resta con loro sempre aperta.
Ma la Chiesa è anche la comunità cristiana di spagnoli di Boulogne, l’équipe d’ACO…
La Chiesa sono alcune decine di cristiani del mondo operaio di Boulogne che si riuniscono insieme ogni trimestre per celebrare l’Eucaristia e comunicare. È un piccolo inizio di missione operaia che vorrebbe essere in dialogo con le altre comunità di cristiani nelle parrocchie.
La Chiesa è un lungo cammino con alcuni cristiani dell’officina. Apparentemente tutto questo sembra così ridicolo come la nostra Eucaristia quotidiana. È tuttavia una promessa d’avvenire, un altro modo di vivere la Chiesa e i rapporti preti-laici.
La Chiesa per noi è anche il Prado, la famiglia spirituale e i legami che abbiamo. Fra preti operai del Prado della regione di Parigi ci troviamo ogni trimestre ed è per noi un tempo molto importante in cui è riservato molto spazio al silenzio e allo studio del Vangelo.
La Chiesa, infine, la viviamo attraverso i nostri compagni di lavoro, che spesso hanno della Chiesa un’immagine molto negativa. Anche qui è necessario uno sguardo di fede. I compagni ci obbligano ad essere solidali con la nostra Chiesa gerarchica con tutti i suoi limiti e le sue pesantezze. Dobbiamo fare un atto di fede nella Chiesa; tuttavia queste reazioni così violente contro la Chiesa non sono forse il segno di un’attesa delusa?
In conclusione
Ciò che viviamo è molto modesto, ma non avremmo potuto viverlo senza il Prado.
È per noi un richiamo a rinnovarci e desideriamo sinceramente che dei giovani abbiano anche loro la fortuna, diciamo la grazia, di vivere a loro modo, un tipo di ministero come il nostro. Desidereremmo comunicare un po’ della nostra passione per il mondo e per i1 Cristo. Insieme ci auguriamo che il Prado prenda delle iniziative molto concrete per annunciare la Buona Notizia presso i più deboli.
Pretioperai del Prado
Parigi
Testimonianza presentata all’Assemblea Internazionale 1989 dell’équipe di Boulogne Billancourt
(da “Seguire Cristo più da vicino”, n°6, 1989)