Nord / Sud in Italia e nel mondo


Terza parte

La prima parte è pubblicata nel numero 14 di PRETIOPERAI (qui);
la seconda parte nel numero 15 (qui).


Il prezzo
della sequela pagato con l’offerta della vita:

Non temo lo spettro della morte
né lamento l’olocausto feroce
cui è stato strappato anche il luogo del riposo.
Non importa se i miei figli
mia moglie, i miei amici e parenti
non mi vedranno esalare l’ultimo respiro,
perché essi conoscono il tipo di morte
diabolicamente escogitato dall’autorità costituita
morte che attende coloro che lottano
perché la giustizia divina regni su questa terra.
(da una poesia di Tranquilino Cabarubias, responsabile laico assassinato)


La ToS (Theology of Struggle – Teologia della lotta) dà alla gente la forza di prendere la croce, ma a differenza del passato quando era simbolo di rassegnazione, la croce è vista oggi come simbolo di lotta. Il nucleo centrale della prassi è sollecitare la gente a prendere in mano il proprio destino. Nel prendere la croce essi entrano nella lotta storica con passione più intensa. La chiamata di Gesù è chiara: servite il popolo. Anche il prezzo della sequela è altrettanto chiaro: siate pronti a portare la vostra croce. Questa è la sfida del Vangelo.
Negli anni della legge marziale scegliere di stare con i poveri significava la possibilità di affrontare lo stesso destino dei poveri, soggetti a privazioni e a sfruttamento: vessazione, persecuzione e anche martirio. Il regime di Marcos, nel quadro della campagna anti-insurrezionale, perseguitò gli elementi progressisti delle chiese. A subire l’urto di questa campagna furono i membri e i responsabili delle Comunità Cristiane di Base. Migliaia di loro furono maltrattati, arrestati, torturati e giustiziati sommariamente.
Cabarubias era un responsabile laico di una comunità cristiana di base a Buenavista, Agusan del Norte. Venne assassinato il 9/10/1983 a causa del suo impegno per la giustizia. “L’unica ragione di vita di Trank era servire il popolo. Ma cominciarono a sospettare di lui ed egli aveva continui contrasti con le autorità. Trank divenne una grossa minaccia per i suoi nemici e si guadagnò l’ira dei militari” (
Virginia Fabella, MM., «L’alto costo dell’impegno», relazione tenuta alla Organizzazione Nazionale delle religiose delle Filippine, 1984).
Attingendo a modelli biblici di fede e di lotta, un numero rilevante di cristiani nelle Filippine hanno scelto di partecipare alla lotta facendo esplicito riferimento a motivi di fede. Alcuni han già dato la vita. Mi viene in mente per esempio Kaloy Tayag che mise insieme un piccolo gruppo agli inizi degli anni ‘70 per fare insieme una riflessione teologica sul rapporto fra fede e lotta nel contesto delle Filippine. Kaloy scomparve il pomeriggio del 17 agosto 1976 e non se ne è saputo mai più niente.
Penso a Puri Pedro, che fu trovata morta nella stanza d’ospedale dopo un’ora di interrogatorio da parte dei membri dell’esercito. Penso anche ai due responsabili per la liturgia in zone rurali (kaabags) che furono portati via a forza dalle loro case a Katalunan Grande, Davao City, un mattino del 1980 all’alba. I loro corpi massacrati e trapassati dai proiettili ricomparvero più tardi, quello stesso giorno, nella camera ardente locale.
Costoro e innumerevoli “martiri anonimi” nelle zone rurali e nelle città, nelle prigioni e nelle case di tortura, sono una testimonianza della vitalità di un coinvolgimento motivato dalla fede nella lotta per la trasformazione sociale delle Filippine.
Più vicino a noi ci sono P. Rudy Romano, Tullio Favali Nilo Valerio, il pastore Glicerio Olbes e i leader laici Alex Garsales e Herman Muleta. Per molti credenti ancora alle prese con la paura e l’insicurezza, questi cristiani ricchi di fede che hanno interiorizzato i valori del Vangelo sono i santi di oggi da imitare.
L’accettare la croce non significa immobilismo, al contrario essa porta una libertà interiore che aiuta i credenti ad affrontare i rischi. Abbiamo bisogno di ascoltare le parole del Signore percepiamo le conseguenze di una lotta prolungata:

Come hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi”. Sarete messi in prigione e vi porteranno davanti a re e governatori per la vostra fedeltà a Cristo. Sarete traditi anche da parenti e amici e sarete odiati da molti per via del Suo nome. Vi bandiranno dalle chiese e quelli che vi uccideranno, o cercheranno di farlo, penseranno di assolvere a un dovere religioso.
Questo è il destino dei poveri. Ma allo stesso modo che, essendo attivi in solidarietà attiva con i poveri vi dovete aspettare lo stesso destino, così dovete aspettarvi anche la loro stessa ricompensa: beati voi perchè vostro è il Regno dei cieli
(Virginia Fabella, op. cit.). .

Pronunciate da quelli che ci hanno preceduto su questo cammino, queste parole porteranno conforto:

appena il primo raggio di trionfo
irrompe
venite a visitare le nostre tombe
e contemplate i fiori
che danzano al vento
ricolmi di allegria
petali sparsi e foglie ondeggianti
espressione di uno spirito che esulta
e dà un senso; lode sublime
ed esultanza
alla causa e allo scopo della nostra morte.”
(Anonimo)

L’evoluzione di un modello ecclesiale consono ai nostri tempi

Ma perchè la chiesa che Tu hai chiamato all’esistenza
in questo mondo è diventata la dura roccia
di una istituzione?
Ha ammassato enormi capitali e i più piccoli
dei nostri fratelli sono dimenticati.
Perchè è piena di forma, o Signore,
ma vuota di contenuti?
Moltiplica tristi celebrazioni,
operazioni efficienti,
rapporti malleabili.
Oh, il suo cuore è inaridito
neppure un velo di poesia
abita in essa.
Signore, perdonami per queste cose che
mi bruciano dentro.
(Fr. Jeremias Aquino)

I cristiani impegnati sono perseguitati non solo dal regime ma anche dalla chiesa. Dice Sr. Virginia Fabella: “E’ comprensibile che uno stato si comporti così col pretesto di ‘proteggere gli interessi nazionali’, ma lascia totalmente perplessi il fatto che la persecuzione venga dalla Chiesa o dalle nostre stesse congregazioni religiose.”
Nessuno nega le tensioni interne alla chiesa soprattutto dopo il nuovo orientamento pastorale del Vaticano II. Quando preti e religiosi uscirono dai conventi per andare verso i poveri, giunse l’avvertimento: non vi lasciate coinvolgere dalla politica! Dopo EDSA (la rivoluzione del Febbraio 1986) e il coinvolgimento diretto della Chiesa istituzionale nella politica partigiana l’avvenimento divenne: non lasciatevi coinvolgere in programmi iniziati dai marxisti che si sono infiltrati nella chiesa.
Non c’è nulla di nuovo in questo, tranne che l’avvertimento è oggi più forte. Dal momento che il coinvolgimento nella politica non costituisce più problema, il demonio incarnato è diventata “quella ideologia anti-Dio”, il comunismo.
All’inizio delle tensioni i problemi riguardavano i progetti di azione sociale, l’organizzazione di comunità cristiane di base orientate ad un rinnovamento liturgico e alla formazione di responsabili laici, i programmi di coscientizzazione e di organizzazione di comunità. Fra le istituzioni ecclesiali all’avanguardia c’erano il Segretario Nazionale di Azione Sociale (NASSA), il Segretario della Conferenza Pastorale Mindanao-Sulu (MSPCS), la Commissione Episcopale per i Tribali (ECTF) e le Commissioni di lavoro sotto l’Associazione dei Superiori Religiosi Maggiori (AMRSP). Costoro risentirono maggiormente delle tensioni. Alcuni furono uccisi o obbligati a dare le dimissioni o subirono pressioni per ritornare a una maggiore docilità.
La risposta delle persone di chiesa più avanzate fu all’inizio una resistenza aggressiva. Quelli che non vollero sottostare alle pressioni si volsero a gruppi impegnati o decisero di entrare in clandestinità. Preti e suore lasciarono i conventi per impegnarsi più direttamente nel lavoro politico. Alcuni di coloro che restarono indietro cercarono di resistere ancora un poco, ma alla fine dovettero arrendersi.
Tuttavia altri continuarono la loro lotta all’interno della chiesa, assumendo il ruolo di “profeti in loco”. Resi forti dal Vangelo, essi credono che faccia parte di una più ampia lotta il combattere per liberare la chiesa dalle pastoie istituzionali che l’hanno resa insensibile alla condizione miserevole del popolo. Essi trovano conforto in molti documenti ufficiali della chiesa, da quelli del Vaticano Il alle encicliche sociali, e pregano che le autorità prendano più sul serio le loro stesse parole.
È forse a causa della Teologia della lotta che c’è maggiore disponibilità tra la gente di chiesa progressista a prestare attenzione a questa lotta interna (però potrebbe anche essere che questa gente sia invecchiata e si sia addolcita). Questa disponibilità è particolarmente importante a livello organizzativo. C’è bisogno di maggior pazienza, più attenzione alle caratteristiche tipiche di una classe media insicura, più diplomazia e tatto.
Queste cose riecheggiano nella canzone che segue:

La chiesa non è solo l’edificio
la chiesa non è il tempio dei pagani
la chiesa è il popolo.
Cristo è nato povero
il suo cuore e la sua anima
sono stati plasmati dai lavoratori
fortificati dai frutti della terra.
Egli uscì sul mare a pescare.
Fece quanto poté per studiare
insegnò senza ricevere salario
fu accusato di essere un sovversivo
fu arrestato, divenne prigioniero politico.
Si immedesimò nella vita delle masse.
Se questo è quanto desiderate,
restate pure nel tempio
mentre noi siamo col diavolo
con il suo bastone, armi e munizioni
stiamo vivendo il nostro Esodo
e voi siete con noi?
Siete con noi, gente di chiesa?
(Ollie Castor)

In mezzo a noi sta emergendo un nuovo modello ecclesiale, adatto ai nostri tempi. Prendendo a modello la chiesa profetica e a servizio degli altri, la chiesa acquista nuova vita e una forma nuova pur mantenendo al suo interno tutti gli elementi tradizionali, nella speranza di riscoprire la comune chiamata come cristiani oggi. Per il fatto che essa si evolve fra cristiani che celebrano questa fede in mezzo alla lotta, essa include membri della chiesa della gente, della chiesa popolare. Questo fatto minaccia l’autorità ecclesiastica costituita ma è fonte di ispirazione per quelli della base.
Il coinvolgimento nella lotta del popolo e la teologia che emerge in questo processo ha dato a molti cristiani l’opportunità di capire di più l’ecumenismo insieme all’idea che la chiesa è davvero universale e cattolica. I cristiani di diverse denominazioni si sono presi per mano non per motivi di dottrina o di dogma, ma per via della prassi. Là dove le loro teologie si scontravano in passato, oggi le teologie come la teologia della lotta uniscono più che dividere. La maggior parte dei programmi ecclesiali, attività liturgiche creative sono diventate ecumeniche. Non si può negare che la condivisione della fede è molto più ricca quando si ritrovano insieme cattolici, protestanti,
aglipayan (Chiesa Cattolica Filippina Indipendente, fondata nel 1902 da un sacerdote cattolico, P. Gregorio Aglipay. ).
A Mindanao hanno luogo incontri interconfessionali fra cristiani e musulmani. Grazie alla partecipazione alla lotta del popolo, i cristiani impegnati capiscono meglio la cattolicità della chiesa. Essa è universale. Al di qua e al di là degli oceani ci sono cristiani, nel primo come nel terzo mondo, che vogliono collegarsi in una rete di rapporti vivificanti con quanti condividono gli stessi sogni e aspirazioni. La solidarietà è divenuta il ponte che permette ai cristiani di tutto il mondo di riscoprire la grande forza che deriva dall’essere uno nello Spirito.
Grazie a questa rete di cristiani impegnati nel campo della giustizia, della pace, dei diritti umani e in progetti di sviluppo sociale, i lavoratori delle Filippine hanno stabilito alleanze con i lavoratori dell’Australia, le comunità tribali di qui hanno amici in Nuova Zelanda, gli studenti hanno rapporti con quelli della California. Lo stesso vale per le organizzazioni di donne, contadini, gruppi antinucleari, insegnanti e altri settori.
Fra i gruppi di solidarietà più attivi che hanno aiutato a rovesciare la dittatura di Marcos e che continuano a sostenere le nostre cause ci sono gruppi ecclesiali all’estero.
I poveri della base da parte loro hanno contribuito a dare forza a quelli di altri paesi.
Questo è avvenuto mediante viaggi di denuncia e di esperienza, che sono stati guidati da gruppi ecclesiali. Quando dei cristiani di altri paesi vengono a contatto con la vita del nostro popolo, essi cominciano a scoprire i Filippini che hanno dei nomi e dei volti precisi. Ad eccezione di alcuni, essi scoprono anche il volto di Cristo e, coinvolti in questo processo di arricchimento, vedono rafforzarsi il loro impegno.

Il volto di Cristo in altri aspetti della teologia della lotta

«Pensai di dipingere una crocifissione, con una mano aperta e l’altra chiusa a pugno. Fui influenzato da un poster che qualcuno aveva dipinto prima della legge marziale, di una mano aperta, che chiedeva l’elemosina e che gradualmente si chiudeva a pugno. Questo fu uno dei primi posters che feci a Camp Olivas.
Pensavo a come la gente è all’inizio: una mano aperta, nella richiesta di qualche aiuto da quelli che sono in alto, ma con i pugni serrati l’uno contro l’altro per accaparrarsi le briciole che cadono dalle mani dei potenti. Al termine del processo organizzativo, i pugni chiusi sono rivolti contro l’obbiettivo vero, verso l’alto. Le mani aperte sono di uomini che si accolgono come compagni in una lotta comune.
Tornando alla croce. Il sangue che scorreva dalle mani inchiodate mi riportò alla mente il messaggio dei cristiani perseguitati: “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. Il passo successivo fu naturale: far diventare il sangue che scorreva bandiere rosse».
(Edicio de la Torre)

Come si vede Cristo è molto importante. I documenti di Medellin e di Puebla dichiarano categoricamente che si può vedere il volto di Cristo nel volto dei poveri, spodestati e oppressi. Il modo con cui si guarda a Cristo ha un peso sulla fede di una persona, così come sul suo modo di esprimersi. Quelli che limitano la loro fede a un Cristo che è “mite e umile”, che ascoltano il “debole Bambino” non potranno mai captare il senso della pittura di Edicio de la Torre.
Questo è molto probabilmente vero per i carismatici che cantano con gioia “Gesù è la via, la verità e la vita, il suo vessillo su di me è l’amore!”, ma che non riescono a cogliere la verità delle violazioni dei diritti umani e lo spettro della morte nelle armi nucleari ammassate nelle basi militari USA. Anche quelli che guardano a Gesù povero e sono disposti a fare l’elemosina ai poveri (“purché non entrino in sciopero”) faranno difficoltà ad apprezzare il Cristo della teologia della lotta.
In termini cristologici, che tipo di volto umano di Cristo ci occorre oggi nella situazione filippina? È il volto “grazioso” del culto del Santo Bambino? Quello “dolce” del Sacro Cuore? Quello “rassegnato” del Nazareno? Dov’è il Gesù di Nazareth che chiamava “beati” i poveri e scagliava i suoi “guai” contro i ricchi? L’uomo che si arrabbiò e fece roteare la frusta nel tempio? Che denunciò le autorità e infranse perfino le leggi e consuetudini? Il profeta che non era accetto nella sua stessa patria? Il Cristo che fu crocefisso per motivi politici, fallito nella vita ma vincitore nella morte?
(Riflessioni di Suor Asunciòn Martinez, ICM).
Oggi, come nei giorni della rivoluzione alla fine del 1800, la
Pasyon (rappresentazione sacra della Passione) è stato il mezzo principale per proiettare il Cristo incarnato nella lotta dei filippini oppressi. Per i motivi enumerati da Ileto in Pasyon and Revolution, i credenti fra i nostri antenati ai tempi degli Spagnoli, unirono la loro fede alla loro vita nella Pasyon. Inventarono un atto sacro della passione là dove la loro fede nella passione, morte e resurrezione di Cristo si mescolava alle loro sofferenze, lotte e vittorie auspicate.
Prima della legge marziale gruppi teatrali, primo fra tutti il PETA (Philippine Educational Theatre Association), ricercarono in modo creativo questa eredità che proveniva dalla cultura e dalla fede. Fu una vera fortuna, perché durante la legge marziale, quando il solo modo di predicare in certe zone era attraverso il teatro e i canti, le rappresentazioni sacre della Passione furono fatte in tutto il paese.
In queste sacre rappresentazioni Cristo era l’animatore dei lavoratori, che veniva ucciso senza debito processo per le attività di organizzazione di sindacati. Era il leader contadino che veniva torturato e brutalmente assassinato a causa del suo coinvolgimento nella lotta per una vera riforma agraria. Era il popolo filippino crocifisso con i tre chiodi che simboleggiavano i tre problemi basilari del paese: feudalesimo, imperialismo, capitalismo burocrate.
Attraverso dipinti, rappresentazioni, canti e poesia, il popolo acquisì una concezione più profonda del mistero pasquale. Col tempo, le immagini e i simboli cambiarono. Ed è la sfida della teologia della lotta di rendere ulteriormente articolata questa cristologia.

L’impatto creativo della prospettiva femminista

«Ora sono giunta al mio 75° compleanno; dopo un viaggio lungo e tortuoso intessuto di speranze e paure, pieno di apprensione e dubbi, una storia di alti e bassi, di passi avanti e indietro, di deviazioni e ritorni, posso finalmente celebrare il mio 75° anniversario, la nascita di una nuova, anche se tarda, primavera nella mia vita e nella vita del mio popolo. In questa corrente mi sento sicura. È in questo corso impetuoso di una umanità che prega, spera e lotta che io ritrovo il Cristo dei miei anni giovanili, presente in modo attivo, che guida le forze della libertà verso il regno di Pace che va emergendo trionfale. Alla fine di queste riflessioni voglio cantare il mio inno di gioia; mi sono resa conto che il coinvolgimento col mio popolo in lotta è adesione al Cristo liberatore. È l’inizio della mia personale liberazione dalla meschinità, dagli interessi acquisiti, dalle paure, dai dubbi e dalla disperazione. La mia ultima e più durevole intuizione è che niente potrà impedirmi di portare a termine il mio impegno verso Dio e verso il Popolo».
(Suor Asunciòn Martinez – in Sr. Lydia Lascano, ICM, «The Filipine Women and the Christ Evenu, Kalinangan (marzo 1986), p. 28).

La storia di suor Asunciòn non può che essere la storia di una donna. È la storia di una religiosa filippina, la storia di Maria, la storia della nostra “Madre Filippina”. Donna, Maria, Madre Filippina sono tutte parti integranti di una teologia che abbraccia le donne anziché sospingerle ai margini, che permette che le loro voci si odano nelle chiese anziché farle tacere, che libera gli uomini da una lettura della storia della salvezza maschilista e sciovinista anziché rafforzare la secolare soggezione delle donne nella società e nelle chiese.
Le donne sono messe ai margini sia nella società che nelle chiese. Anche la religione è servita da strumento per perpetuare il mito che Dio può essere solo Padre (e non Madre), che la guida della Chiesa debba restare nelle mani degli uomini, che Maria era una donna sottomessa e timorosa, che i ruoli delle donne nella chiesa devono essere limitati a quelli meno importanti.
Questa soggezione delle donne attraverso un patriarcato ufficialmente riconosciuto e benedetto dalla religione è stata insegnata come una sorta di “spiritualità” alle donne filippine, spiritualità che fino ai nostri giorni viene sostenuta da molte donne e uomini sia nelle campagne che nelle città. Le persone con questa “spiritualità” tendono a bloccare il processo della emancipazione della donna e la comune causa per la liberazione della nazione da ogni forma di dominio. In tal senso, le donne filippine attive nella lotta per la liberazione delle donne dal patriarcato e da ogni forma di discriminazione stanno soffrendo i dolori del parto per uscire da queste pastoie che tengono prigioniere molte donne in ogni classe sociale. Le donne attiviste sono le prime a sostenere che “il posto della donna è nella lotta”.
Non si può negare il grande contributo dato dalle donne filippine, sia come donne che come cristiane, per promuovere le lotte del popolo. Più di qualsiasi altro gruppo all’interno della Chiesa cattolica, sono state le religiose che hanno spinto verso un impegno maggiore nel promuovere la vita. Dall’organizzazione delle Missionarie Rurali alle Commissioni di Lavoro di AMRSP, le linee di frontiera sono state sostenute da suore. I programmi per la difesa dei diritti umani, salute, educazione alternativa, organizzazione di comunità di base, formazione di leader laici, sono state portate a compimento da suore meglio che da altri.
Nelle barricate durante i primi anni della legge marziale, le suore formavano il cerchio esterno per proteggere i laici. Da allora in poi il velo e l’abito religioso diventarono una normale presenza nelle manifestazioni e in altre mobilitazioni di massa. Tutti i murales che illustrano un raduno multisettoriale hanno sempre una suora che forma una catena con i contadini, i lavoratori e altre persone appartenenti a settori oppressi. Il film «Suor Stella L.» ha reso omaggio alla madre
“sa lansangan” (suora delle strade).
Le donne filippine hanno dimostrato di essere uguali agli uomini nel portare avanti la lotta. Esse sono presenti ovunque come organizzatrici di sindacati, educatrici, operatrici nel settore della salute, artiste, tutrici dell’ordine durante le marce. Molte sono state imprigionate, alcune violentate. Molte hanno dato la vita per la lotta.
Tenendo conto di questa realtà, sarebbe un’ingiustizia se una teologia che emerge dalla lotta del popolo non avesse una prospettiva femminista. Dopo tutto, qualunque teologia che non riesca a trasmettere la vita non ha ragione di essere in una lotta che persegue una pienezza di vita per coloro che si trovano continuamente ad affrontare la morte.

Una teologia che celebra la festa

«Perché i filippini ridono e scherzano tanto?
Perfino nel mezzo di gravi sofferenze, crisi e lotta?
Ora sappiamo,
il Nostro Popolo sa come gioire e lodare.
Sappiamo come
fare festa!
Il fulcro della nostra celebrazione
è il nostro comune
coinvolgimento
per una lotta comune e l’uno per l’altro
la nostra “gratitudine” per essere intensamente presi
nelle dure fatiche del nostro popolo.
Così noi non facciamo repliche.
Noi esprimiamo attivamente la nostra
hilaritas

il nostro comune coraggio nell’affermare
la nostra libertà di essere,
la nostra viva fiducia
che ciò che stiamo facendo ora
proietterà nel Futuro
la storia del nostro popolo.
Dopo tutto,
noi non risolviamo soltanto problemi.
Noi, anche senza volerlo,
stiamo incarnando una verità.
(Kalinangan – Dic. 1984)

C’è gioia nella nostra lotta, c’è anche speranza. Tenete presente che i corsi di seminari non sono completi senza canti. La canzone potrebbe essere, per esempio, sul canottaggio, o un canto preso a prestito dai carismatici, o una lirica nazionalista cantata su melodie di antiche canzoni per bambini. Ci sono canti per le presentazioni, per liberarsi dalla noia, per rompere il ghiaccio.
Sono tutti simili nel senso che servono a liberare il fanciullo che è dentro di noi e che gode la semplice gioia dell’essere insieme. Nonostante l’amarezza della povertà e dell’oppressione, la gente trova il tempo di sorridere o di scoppiare in una risata. Essa lotta, ma celebra le vittorie, anche se sono piccole. Per quanto un filippino diventi rivoluzionario non riesce a scuotersi di dosso lo spirito della
“fiesta”.
L’emergere della teologia della lotta è motivo di festa perché essa è, come dice il vescovo Labayen, davvero “uno dei più grandi segni di speranza”.

Per questo non esitiamo
a seguire le orme dei martiri.
Guardate mai indietro per lamentare
gli anni perduti della vita
pietre lanciate nel mare agitato?
Guardate come gli alberi adornano il cielo
come questo splendore di foglie
è offerto alla terra con tanta profusione
e tuttavia niente va perduto.
Come i fiori
non sono mai avari dei loro colori,
Tutto, tutto è gioia e dono.
Anche i semi
sono sparsi a profusione e la terra
è tanto più ricca.
Non contate i giorni e gli anni
mai
né i canti e le lacrime
ci appartengono tutti per essere donati.
(Orlando Tizon)

KARL GASPAR, CSsR

(già detenuto politico, è Redentorista e membro di EATWOT, l’Associazione Ecumenica dei teologi del Terzo Mondo)


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