Le condizioni di lavoro

 

Fedeltà alla situazione

Sono entrato in fabbrica per condividere per sempre la condizione umana della gente di Ostiano che quotidianamente fatica per guadagnarsi un salario mensile necessario per campare e mandare avanti la casa dignitosamente.
E anche oggi sto con gli uomini e le donne, giovani e adulti, che sono costretti a cercarsi o farsi un posto di lavoro per vivere.
La condizione di operaio, dipendente, salariato, determina una lettura particolare della realtà, dei soggetti che interagiscono sui palco sociale, e porta a prospettare soluzioni concrete direttamente conseguenti alla situazione esistenziale che si vive.


Dalla fabbrica alla cooperativa

L’idea di costituire una cooperativa di produzione era sorta tra una decina di operai del Belvedere alcuni mesi prima che la vicenda aziendale precipitasse: e precisamente quando la società aveva ufficialmente annunciato che a fine anno avrebbe chiuso come SpA per riaprire come nuova ditta, riassorbendo però solo due terzi del personale.
La scelta cooperativistica era nata al termine di vari incontri: si voleva evitare lo “scontro tra poveri” per un posto di lavoro. Sembrava una soluzione certamente costosa per chi l’adottava, ma meno drammatica per la nostra realtà operaia, così provata e sfilacciata dopo due anni di amministrazione controllata e di cassa integrazione (CIG) senza salario a fine mese!
Alla fine dell’86, di fronte alla decisa volontà della Società di porre l’azienda in liquidazione, il progetto di costituire una cooperativa è risultato l’unica soluzione praticabile per evitare l’annullamento di una realtà produttiva ad Ostiano (paese già scarso di risorse occupazionali).
E così siamo partiti decisi in 20 persone: l’idea per noi era matura, ne avevamo vagliato ripetutamente i rischi e definito i criteri per camminare come collettivo in questa nuova esperienza di lavoro.


Motivazioni

a) avere un posto di lavoro; uno di noi diceva che in questa Italia succede che il diritto al lavoro, sancito dalla Costituzione, uno se Io deve conquistare anche rischiando di tasca propria;
b) la prospettiva di vivere da assistiti (disoccupazione o CIG) non ci attirava: chi ha provato la CIG — senza prospettive — sa quanto sia pesante dal lato umano vivere quotidianamente in condizioni precarie;
c) progettare una realtà produttiva che un domani avrebbe potuto essere punto di riferimento per altri lavoratori;
d) questo modo diverso di essere insieme come lavoratori avrebbe favorito la nostra crescita come collettivo verso un modo nuovo di stare sul lavoro: il primato doveva essere della persona e non del profitto.
Separare intellettualmente l’uomo dall’operaio non è sempre facile: tuttavia dare la priorità all’uno anziché all’altro non è di secondaria importanza nelle scelte operative che le situazioni concrete richiedono (orario di lavoro, rispetto della professionalità, attenzione alle condizioni personali).


Attualmente

La cooperativa è formata da 23 soci: 8 donne e 15 uomini. Riusciamo a gestirci la produzione (le commesse di lavoro ci sono fornite da un’azienda commerciale); mensilmente ci distribuiamo un salario contrattuale di 3° livello dei calzaturieri; il primo bilancio trimestrale è lievemente in attivo.


Riflessioni finali

L’improvviso e drastico cambiamento della situazione lavorativa ha posto nella non facile condizione di dover decidere e subito: cosa fare? Avviare una lotta di difesa globale dell’occupazione precedente? Ma con quali prospettive? Tutti sapevamo che l’azienda ormai non poteva più reggere!
Più di una volta in quei giorni ho pensato, senza poesia, al passo del Vangelo di Luca 14,28: “Se uno di voi decide di costruire una casa, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare la spesa per vedere se ha soldi abbastanza per portare a termine i lavori”.
La scelta cooperativistica per noi non è stato un “gioco al ribasso”. Tale decisione è scaturita dopo lunghe ed estenuanti assemblee per valutare insieme il pro e il contro di una lotta ad oltranza (occupare la fabbrica). Ma con chi l’avremmo fatta? Molti compagni hanno cominciato subito a cercare soluzioni lavorative alternative; inoltre i “padroni” si erano tutti defilati; e da ultimo il sindacato non ci credeva.
Gli ultimi due anni poi ci avevano frantumato nella capacità di resistere come collettivo: come CdF abbiamo assistito al lento ritorno a caso di molti compagni.

La vita spesso ti pone davanti a dei bivi senza ritorno: bisogna decidere subito! Cerchi allora di ricompattare un minimo di collettivo per decidere insieme la direzione da prendere; raccogli in fretta il minimo indispensabile e ti metti in cammino con chi ci sta.
Sarà poi il rapporto quotidiano di “compagni di viaggio”, vissuto nella sincerità delle piccole o grandi cose, che permetterà di orientare giorno dopo giorno il cammino.
So che non è la soluzione migliore e desiderata: ma quanti progetti con i miei compagni di lavoro e di vita in questi anni abbiamo dovuto modificare per cause non volute da noi. E’ senz’altro un cammino povero e duro: ma finora stiamo bene insieme.
Personalmente, questa scelta mi permette di continuare a mantenermi col salario guadagnato da lavoro manuale e di condividere la vita quotidiana della gente ancora più intensamente di prima; inoltre l’esperienza condotta avanti collettivamente mi offre ogni giorno occasioni di confronto e di valutazione sul nostro futuro: pensare e discutere del proprio domani in 20 persone
è già una grossa conquista… da non lasciar perdere.
E’ faticoso: ma ne vale la pena!

Gianni Alessandria


 

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