“DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE…”
NELLA CONDIZIONE OPERAIA:
VANGELO O EVANGELIZZAZIONE?

Convegno nazionale 1992


 

«Tutti saranno istruiti da Dio;
chiunque ascolti l’insegnamento del Padre, giungerà a me».
(Gv 6, 45)

«Vidi un solitario in una landa arida;
non era né eretico, né ortodosso;

non aveva ricchezze, né religione,
né Dio, né verità, né legge, né certezze.
Chi avrà questo coraggio in questo tempo di fine?».
(Omar Khayyam)

All’ingresso della Cattedrale di Lucca è disegnato un labirinto.
Questa immagine del labirinto è adatta ad esprimere il brivido che ci ha attraversato quando abbiamo tentato di immettere nei fatti del tempo che viviamo i nostri percorsi di preti operai, le dinamiche che all’esterno e all’interno del nostro gruppo ci hanno portato a Salsoniaggiore 2.
Abbiamo avvertito i limiti di una relazione scritta, perché chi lo faceva non era fuori, ma dentro, sballottato e rimesso in gioco come tutti; e dentro con l’ostinazione di non chiudere gli occhi, ma di voler continuare a pensare, a cercare ancora, a fare memoria.
La stessa sensazione l’avevamo provata a Seul.

Viviamo il tempo della caduta dei muri. È vero: ma altre barriere, enormi, si innalzano sempre di più, fra le speranze di giustizia e la loro realizzazione, fra la libertà ottenuta e le liberazioni ancora necessarie, fra il bisogno di indipendenza e di autonomia e chi ha il potere di prendere decisioni che condizionano la vita ed il futuro di milioni di persone: i numeri dei rapporti dell’ONU o della Banca mondiale documentano quanto siano alti questi muri e le loro conseguenze.
I muri cadono, nel “vecchio mondo”, ma sulle loro rovine si innalza il nuovo idolo, il “Grande Mercato”, deciso, come i signori che l’hanno preceduto, ad estendere su tutto il mondo il proprio dominio, nascondendo con le grandi menzogne il grido e il sangue delle vittime destinate al sacrificio.
La guerra del Golfo è la pietra rotolata sulla tomba. Vince – e non solo vince, ma ha anche ragione – chi è più forte e può dominare economicamente e militarmente.
Ai vincitori si potrebbe applicare la prima legge del Primo Libro delle leggi dei Re delle Indie: «A nostro Signore è piaciuto darci la signoria su questo mondo…».
Ora, come allora, 500 anni fa!

Nella Chiesa sembrano dimenticati i tempi in cui aveva con umiltà chiesto al mondo “che cosa ti aspetti da me?” e sembra essere tornata ad essere sicura di tutto, a non attendere consigli da nessuno, a non saper aspettare che il mondo manifesti le sue esigenze.
Ma rimane la coscienza che, non solo per i russi e per gli albanesi, ma per tutti questa sia una stagione di liberazione. È una nota di fondo che accompagna la nostra speranza, che dà fiducia e allegria. Una nota che non si sente nei governi e tra i potenti della terra, ma che risuona in singoli, gruppi, movimenti, che esprimono una tendenza di segno opposto a quella della “fine della storia”.
Nascono nuove convergenze, nuove alleanze che danno concretezza al famoso appello di Einstein: “Ci rivolgiamo a voi come esseri umani ad esseri umani; ricordatevi della vostra comune appartenenza al genere umano e dimenticate tutto il resto”.
A dispetto di tutte le divisioni che attraversano l’umanità ci sembra di intravedere la nascita di quell’uomo planetario così caro a padre Balducci.
Ci sono luoghi apparentemente fuori gioco in cui forse si gioca molto di più di quello che appare. Basilea e Seul sono stati momenti di grande importanza, forse fra i più importanti a cui la Cristianità abbia assistito da secoli. Ma non molti se ne sono accorti.
Un altro sarà a settembre prossimo, nella diocesi di Santa Maria, nel Sud del Brasile, dove ci sarà l’ottavo incontro delle comunità di base del Brasile e dell’America Latina..
Anche la chiesa italiana è liberata dalla caduta dei muri; nuovi e inediti uditori sono in attesa di una Parola, non insegnata, ma trasmessa, come la fiamma a cui abbiamo acceso le nostre la notte del sabato santo. Gli uomini e le donne che hanno riempito il duomo di Firenze al funerale di padre Balducci, quello di Milano per Turoldo, o il capannone del mercato del pesce per Sirio lo testimoniano.

In questa grande storia, parlare di qualcosa di “così storicamente minuscolo, così specificatamente europeo, così particolarmente ecclesiastico” come l’esperienza dei pretioperai, è come parlare delle briciole nel piatto.
Ma allora, come mai in tutti i nostri scritti traspare la coscienza di essere in una posizione privilegiata, non unica certo, ma in uno dei posti giusti per accogliere le sfide del tempo e persino tentare delle risposte?
Proviamo a darne una spiegazione (il filo di Arianna).
Il Vangelo consiglia una particolare attenzione “affinché nulla si perda”.
Il profeta Maometto usava ripulire il piatto con le dita dicendo: “quello che resta per ultimo del cibo è quello che ha più benedizione”. E si leccava le dita finché erano rosse.
La rivelazione cristiana del nome segreto di Dio – “Io sono il pane… chi mangia di questo pane vive la vera vita” (Gv. 6, 51) – è il rovesciamento dell’onnipotenza divina immaginata dall’uomo potente; l’onnipotenza del pane non è il potere di fare tutto, ma la capacità di alimentare solamente la vita.
Di questo pane ci siamo nutriti in questi lunghi anni durante i quali ci siamo spogliati delle nostre piccole onnipotenze.
Nel nostro tempo Dio ci ammaestra che non esistono assoluti, e che l’imponderabile, il diverso, il vuoto sono presenti in tutte le forme dell’esperienza umana.
Distaccarci dai nostri assoluti ci mette in una situazione difficile, spesso drammatica, dove ogni gesto richiede di essere pensato, inventato, non avendo più alcun punto assoluto di riferimento, né il conforto di una legge codificata, o comunque accettata.
E proprio perché è un’azione disancorata dai modelli, dalle ideologie, dai principi assoluti, richiede una responsabilità più grande, un’adesione più attenta e rispettosa alla vita e alle sue espressioni.
Non è questo che indica il Maestro nell’episodio dell’adultera?
Non è questo che nella nostra vita abbiamo sperimentato quando l’esserci dentro è stato più importante di ciò che dicevamo o facevamo, perché proprio questa fedeltà e condivisione aprivano nuovi orizzonti, “antichi sogni nuovi”?
Non è questo che ci viene richiesto oggi, a chi, come noi, non accetta l’idolo imperante, a chi come noi pensa che l’impegno per la giustizia e la pace non sia un fatto opzionale ma una condizione di fedeltà, a chi come noi è cosciente che nella lotta contro la disuguaglianza strutturale in questo villaggio-mondo, occorre investire un eccesso di intelligenza organizzata e di immaginazione?

Siamo briciole nel piatto, avanzi, ma proprio l’essere questo ci pone in una situazione privilegiata. Non perché siamo puri, ma perché non suscitiamo né invidia né desiderio; e proprio perché non possiamo proporci come modelli, possiamo accogliere le diversità tra di noi, e trovare amici, compagni di viaggio in chi come noi e meglio di noi, si ostina a opporsi, a fare resistenza, a dire di no alle strutture di dominio, a credere nell’uomo, a volere la sua liberazione, la sua promozione solidale, la sua dignità responsabile.
Anche nel piccolo orto delle nostre chiese locali, nei piccoli tavoli del quotidiano, nelle realtà popolari di un quartiere, o di un borgo, si aprono spazi per versare il vino spremuto dai pretioperai, non perché lo hanno addolcito, ma perché anni di presenza hanno reso meno rigido l’incontro,
Nei molti percorsi di questo labirinto le convergenze non sono poche.
Dal nostro vissuto e dalla diversità del nostro vissuto qualcosa può essere detto, basta che la parola non si allontani da chi la dice e non si riduca a un discorso sui contenuti e sui risultati da ottenere.
Anche tra noi non dobbiamo portare “né borse, né bisacce, né calzari”. L’evangelizzazione dolce vale anche nei nostri rapporti.
Non abbiamo un cammino già segnato. Abbiamo un orizzonte che insieme ad altri condividiamo. Siamo tasselli di un mosaico che si va componendo.

 La segreteria
Renzo Fanfani, Tony Melloni, Luigi Sonnenfeld


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