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Ai nostri vescovi e ai nostri fratelli nella fede
Noi Cappellani delle Carceri della Regione Lombardia, riuniti a Milano il 25 gennaio 1993 nel nostro programmato raduno, abbiamo avvertito come nostro grave dovere di coscienza, in quanto mandati dai nostri Vescovi ad evangelizzare nel mondo del penale, partecipare con il nostro contributo alla comprensione più profonda della realtà “Vita”, che quest’anno si analizza nel contesto del tema “Nascere e morire oggi”. Per questo abbiamo deciso di inviare a Voi, nostri Vescovi, e a voi fratelli e sorelle nella fede questa nostra riflessione a mo’ di appello proprio in occasione della XV Giornata per la Vita.
1. Partendo dal messaggio inviato dal Consiglio Episcopale Permanente proprio per questa giornata, “Ripartire dal rispetto della vita per rinnovare la società”, in cui si dice che “il rispetto della vita deve essere totale” noi ci chiediamo e chiediamo a Voi come mai non venga indicata tra gli atti contrari alla vita cristianamente e moralmente inaccettabili quali l’aborto, l’eutanasia, la guerra, anche la pena di morte, che è omicidio dato come castigo ad un uomo da parte di altri uomini.
Ci domandiamo come si possa accettare da una visione cristiana della vita proprio il principio teorico stesso della pena di morte: esso non può essere giustificato né dal diritto naturale della legittima difesa, né dal diritto della difesa del bene comune, che è tipico motivo addotto dai despoti e dagli Stati totalitari per giustificare i loro omicidi.
2. A noi sembra che l’accettazione teorica della pena di morte sia anche conseguenza dell’accettazione ‘tout court’ del principio che la violazione delle leggi dello Stato, proprio per la difesa dei cittadini e del bene comune, sia da punirsi, da parte della legittima autorità, con l’applicazione di pene proporzionate alla gravità del reato.
Ci chiediamo se sia nel vero bene, cioè sia rispettoso del diritto alla Vita, Vita che è anche realizzazione dell’uomo e rispetto della dignità umana, l’amministrazione della giustizia come castigo – pena, che, anche se solo retributiva, di fatto certamente è afflittiva e vendicativa.
Ci chiediamo se sia cristiano il principio di punizione e di castigo, che, potendo accettare la pena di morte – il massimo male – non può non accettare la pena delle mutilazioni fisiche, dei condizionamenti gravi psicologici, della tortura, magari più graditi delle lunghe pene e quasi certamente della morte stessa.
Una pena che abbia come fine il far soffrire, il distruggere, anche con violenze psicologiche, non è ingiusta come il reato che è tale perché sempre distruggitore e violento?
È possibile voler ristabilire l’ordine, la giustizia, con atti o strutture che in sé non sono né ordinati né giusti?
Perché non applicare il valore della solidarietà anche nel mondo del penale?
Perché non pensare ad una amministrazione della Giustizia che non dia pene, ma obblighi alla ricostruzione del distrutto, alla riparazione del danno, all’eliminazione delle concause che portano al delitto?
Così mirando non alla distruzione dell’uomo colpevole. ma anche al suo ricuperarsi, vengono rispettati il diritto alla vita e la dignità della persona.
3. Di conseguenza ci chiediamo se il Carcere. strumento della pena e del castigo, sia accettabile in sé e in che misura da chi vuol rispettare la Vita e la dignità della persona umana; se non sia invece accettabile come strumento estremo, non della pena e del castigo, ma della legittima difesa.
4. Entrando ora nel concreto della nostra realtà, ci chiediamo se siano accettabili da chi vuol difendere la totalità della vita dell’uomo, la dignità della persona e la sua libertà democratica nello stato, quelle leggi che esigono la ‘probatio diabolica’, che ammettono la retroattività, che sembrano favorire in modo esagerato la ‘collaborazione’; che sembrano voler permettere che lo Stato italiano si trasformi in Stato di Polizia; che sembrano non rispettare i ruoli e gli ambiti dei diversi poteri dello Stato: leggi che si potrebbero accettare forse come eccezionali.
Come possiamo dire che i cristiani rispettano la Vita e dignità della persona umana, quando accettano delle leggi che troncano il cammino di reinserimento validamente avviato di detenuti da molti anni rinchiusi in carcere, e ormai di fatto esclusi dalla malavita, con togliere loro benefici di legge giustamente acquisiti e promessi, e isolandoli ingiustificatamente o impedendoli in non pochi diritti fondamentali dell’uomo?
Come possiamo in quanto cristiani supinamente accettare il carcere quando in concreto è solo strumento di pena e di castigo – a volte esasperati come avviene attualmente in alcuni carceri in Italia – o quando apertamente sembra eludere o elude i doveri costituzionali del ricupero e della riabilitazione, per cui in nome della difesa e del diritto sociale si dimostra spesso poco rispettoso della dignità della persona e quindi della stessa Vita?
Come si può pensare che nella Società Civile si possano accettare i valori e le scelte cristiane riguardo la vita, se non si è coerenti fino in fondo e totalizzanti, come chiedono i Vescovi, ed invece, magari inconsciamente, ci si aggrappa nel campo del penale, al tradizionale e facile modo di pensare e di agire che non ha nulla a che fare con Gesù Cristo?
5. Mentre poniamo tutte queste domande a Voi, nostri Vescovi, e a Voi, cristiani della Lombardia, per essere coerenti anche nella vita alla nostra fede cristiana e vocazione sacerdotale, vogliamo farvi sapere che gli uomini detenuti ora ci chiedono perché anche i cristiani non si sforzino di difendere anche il loro diritto alla vita. Noi diciamo e chiediamo loro in egual modo che interiormente si convertano e si convincano che prima di tutto e soprattutto va rispettata la Vita e la dignità di ogni persona sempre e dovunque, coi fatti più che con le parole, e va riparato e ricostruito ciò che è stato distrutto e restituito ciò che è stato tolto, se vogliono che sia rispettata la loro vita e la loro dignità.