Dossier sui PO europei


 

Non essendo pervenuto il contributo promesso dai PO belgi, riteniamo utile, al fine di offrire un quadro europeo il più completo possibile, riportare informazioni e testimonianze ricavate da documenti da loro offerti in precedenti incontri internazionali.

 

Il contesto

I PO belgi non prendono origine, malgrado contatti formali ed informali, nell’Azione Cattolica, ma in una intuizione missionaria. Charles Boland, il primo PO belga, dopo un incontro con P. Lebbé, missionario in Cina, lanciava nel 1923 lo slogan: “Cinesi con i cinesi, operai con gli operai”.
I PO belgi si rifiuteranno in seguito di lasciar chiudere ed istituzionalizzare questa intuizione in un Istituto Secolare o una Congregazione Missionaria: tutta la Chiesa è missionaria.
In Belgio il “movimento sociale cattolico”, dal quale proviene l’attuale “movimento operaio cristiano”, si è costituito e resta in concorrenza con il movimento operaio socialista. I PO intendono rispettare l’autonomia delle istituzioni che il movimento operaio si è dato, senza peraltro identificare la loro missione con un progetto sindacale o politico.
La Chiesa belga conta su una “rete ben strutturata di istituzioni cristiane”. I PO sono convinti che queste fanno da schermo all’evangelizzazione del mondo operaio. “L’originalità dei PO (belgi) è di aver tolto l’ambiguità superando l’ostacolo e rinunciando ad ogni forma di organizzazione cristiana” (Emile Poulat).
Nell’opinione pubblica i PO oggi vengono “banalizzati”. Non c’è da stupirsi: da un lato la stampa è più sul versante del religioso “messo da parte” che da quello della fede che si interiorizza in un’incarnazione; dall’altro lato “il giornalista non vuole indagare sul fondo” (G. Ringlet, Dio e i giornalisti).


 

Nell’incontro internazionale avvenuto nel 1991 ad Anger in Francia ogni gruppo nazionale ha risposto ad alcune domande guida. Riportiamo ampi stralci delle risposte dei PO belgi.

1. I nostri impegni e le nostre pratiche di PO nella vita operaia

• In quanto pretioperai belgi, noi vorremmo essere modesti: L’operaio belga nella comunità europea è tra i meglio pagati. Attualmente chi ha un lavoro, una qualifica, non è in qualche modo un “ricco”? Come diceva uno di noi, delegato sindacale: “io condivido senza dubbio la condizione operaia, ma in un contesto agiato: io sono un ‘cavallo di lusso’ nella classe operaia!”.

• Noi diffidiamo di una situazione “pura”:
Non vi è soltanto l’immenso mondo del lavoro. In effetti guardando più da vicino l’impegno dei PO belgi, appare che la maggioranza tra noi, sia al di fuori del lavoro, sia in prepensionamento o nello stato di disoccupazione, è molto inserita tra i “turchi”, il “quarto mondo”, i “casi sociali”, “gli inquilini”…

• Bisogna parlare delle nostre responsabilità di scivolamento verso i poveri? Più che una risposta teorica, la pratica della nostra vita può testimoniare:
“Ho scelto il mondo operaio, e vi ritrovo il Quarto Mondo”.
– “Disoccupato, pre-pensionato, io sono ancora operaio.”
– “All’inizio della mia immersione nel mondo operaio, questo era veramente un mondo povero: si usciva dagli scioperi del 1936… dalla guerra. Oggi il mondo operaio è lacerato dal lavoro, dalla disoccupazione e dalle povertà che ne derivano. Mi sembra che ci sia un grande lavoro da fare per il movimento operaio: prendere la difesa di tutti i lavoratori (disoccupati o no, poveri o meno poveri) per smantellare le cause di tutte le ingiustizie e per dare la speranza di un mondo più solidale e giusto”.
– “Ho voluto unire il mondo operaio e il mondo dei poveri mediante il canale del mondo operaio. Ritengo che il mondo dei poveri e degli esclusi di ogni tipo ne uscirà prendendo coscienza che appartiene al mondo del lavoro. Ma il movimento operaio dovrà anche aprirsi di più al mondo degli esclusi (disoccupati, minimizzati, prepensionati, ecc…). Sono molto sensibile anche al pesante handicap costituito dalla povertà culturale (=qual è il senso della mia vita?) di molti operai”.
– “Sia nel lavoro che nel sindacato, sia nel mondo dei poveri, noi dobbiamo essere con, condividere le nostre condizioni di vita, partire dalla base e non utilizzare che i mezzi di base. Ben consapevoli che i compagni di lavoro o di miseria vogliono uscirne e utilizzare tutti i mezzi…”.

2. I nostri impegni e le nostre pratiche nella vita operaia costruiscono la giustizia?

Sì, perché quello che noi più profondamente cerchiamo è rispetto, considerazione, una vita più umana e che valga veramente la pena di essere vissuta, in una possibile fraternità.
– “Innanzitutto per questo: ‘essendo operaio’, ‘condividendo la condizione operaia’, senza esserne fuori. Nessuna vita ai margini. Senza risorse clericali. Senza attività clericali. Accettando di avere talvolta l’impressione di perdere tempo (nella preparazione dei pasti o nel lavare la biancheria…)”.
– “Partecipando al movimento operaio. Solo il movimento operaio ha ottenuto dei diritti per i poveri. Il movimento operaio organizzato è la loro sola difesa contro l’arbitrio. La Sicurezza Sociale è l’espressione di questa solidarietà. Al di là del corporativismo o anche dei semplici vantaggi salariali, vi sono spazi per far avanzare la sicurezza sociale, la divisione del tempo di lavoro sotto tutte le forme”
– “Prudenza – dice uno di noi – nel creare organizzazioni parallele di quelle che i lavoratori si sono costruite. Sarebbe un’illusione drammatica creare gruppuscoli che si vogliono “puri e duri” a lato del movimento operaio collettivo. Qui si pone la questione del profetismo. Il militante deve attingere allo spirito dei profeti, farlo avanzare dappertutto, conservare il suo ideale. Ma il militante, per definizione, non è solo. Lavora con dei compagni che non condividono tutte le sue idee. Ma c’è anche la sofferenza del militante di dover ‘mordere il freno’, il corporativismo… Senza i militanti lo spirito dei profeti resterebbe sterile”.
– “La lotta per la giustizia – dice un altro – fa parte della vita secondo il Vangelo, ma questa lotta può assumere diverse forme complementari. Non vi è un modello standardizzato di impegno nella lotta per la giustizia che costituisce il distintivo del PO”.

3. I nostri impegni e le nostre pratiche di PO nella vita operaia fanno progredire il mondo?

– Per la prima volta nella storia, dei preti condividono la condizione abituale di donne e uomini del popolo, senza privilegi, senza diventare notabili. Che peccato se ci mettiamo davanti e ridiventiamo dei notabili! Si può diventare delegati sindacali o mutualisti, restando pienamente “alla base”.
– “Dobbiamo informarci dei problemi del mondo, senza abbandonare quelli della nostra regione, della nostra fabbrica: attenti all’evasione! Le lotte da noi condotte contro i pregiudizi egoisti sono un aiuto diretto alla liberazione dei popoli del mondo. Helder Camera l’aveva ben capito”.
– “È a partire da tutte le piccole cose, di cui io sono con altri testimone ed attore, che la rivoluzione si potrà fare. Un movimento operaio che non sarà abbastanza vicino alla base o non sarà sufficientemente portatore di esperienza, non aiuterà a fare la rivoluzione!”.


 

Politica o politica

1. Come operai è attraverso il versante dell’azione sindacale che noi realizziamo un’azione politica. Il Movimento Operaio è una forma di pressione sugli orientamenti politici del paese.
Per noi PO l’azione si situa sempre alla base, là dove troppi militanti non restano a lungo. Non si tratta innanzitutto di essere “efficaci”: la nostra forza è a lungo termine, nella fecondità di cui parla il Vangelo (il seme che germoglia nel silenzio). Non è da questo errore di comprensione che provengono gli insuccessi delle rivoluzioni?
Occorre anche dire che l’azione propriamente detta in un partito politico, un’azione politica partigiana, non è compatibile con la fecondità e la libertà che a noi è richiesta. Non bisogna che la nostra azione politica possa far confondere il Regno di Dio con la politica di un partito… Sarebbe pietoso creare, dopo i disastri del clericalismo di destra, un clericalismo “di sinistra”…
Ma nella base, senza essere infeudati ad un partito, noi possiamo avere una grande influenza politica, nella libertà con la quale abbiamo la possibilità di esprimere valutazioni senza preoccupazioni di disciplina di partito né preoccupazioni elettoraliste…

2. La partecipazione alla vita sindacale (più o meno intensa secondo i temperamenti, le circostanze, ecc.) mi sembra normale perché è partecipazione ad un movimento di difesa e di promozione umana che la classe operaia si è data. È normale far parte di un sindacato non confessionale per liberare il Vangelo e la fede. Come diceva un compagno: “Stando alla FGTB tu sei il prete di tutti, alla CSC tu saresti il prete dei bigotti”.
“Io ho molte più riserve sull’impegno del PO in un partito politico, impegno che rischia di oscurare il senso del suo impegno essenziale: quello del Vangelo e della Missione. Dall’inizio della mia vita di PO (1948) io ho voluto rimanere libero dinanzi a tutti i partiti compromettendomi nelle lotte concrete. Un partito politico ha un’ideologia globalizzante davanti alla quale noi dobbiamo restare liberi per non compromettere la nostra missione essenziale…”.

Sono mistici questi PO belgi?

Due testimonianze supportate da tutta una vita di solidarietà:
– “Se io non porto davanti al Signore tutte le speranze dei compagni del mondo intero, tutte le lotte per ottenere strutture più improntate a solidarietà… mi sembra che lascerei da parte la storia sacra che quotidianamente si gioca, con tutti i suoi pesi, il suo spessore umano, ma anche i suoi superamenti”.
– “Con tutta la mia vita spero di portare la mia pietra per la costruzione di un mondo più umano e più giusto. Far riconoscere o conoscere Gesù Cristo resta il mio pensiero dominante e pertanto io penso che la nostra presenza nel mondo operaio assomiglia a quella di preti e cristiani in terre dell’Islam: assumere tutta questa realtà (operaia o musulmana) in una lunga e paziente presenza attiva ed orante”.
E per concludere questa testimonianza:
“Io non so se i miei impegni e le mie pratiche di PO nella vita operaia costruiscono la giustizia, l’Europa ed il mondo. Quello che so è che diventando PO io ho voluto condividere come prete di Gesù Cristo la vita operaia per cercare di trovarvi i segni del Vangelo e della presenza di Gesù, col desiderio che essi, un giorno, possano maturare in Chiesa…”.


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