Convegno nazionale / Salsomaggiore 1995
Interventi
Le domande che ponevano a se stessi gli uomini saggi di un tempo e quelle che continuano a porsi anche oggi coloro che desiderano farsi guidare dallo Spirito della verità, rimbalzano anche dentro di noi e ci scuotono. Spesso fanno emergere le contraddizioni in cui viviamo; sicuramente ci fanno capire la complessità della nostra esistenza.
Guardando il mio vissuto, ormai anche alquanto lungo, nella prospettiva della domanda che si poneva Dietrich Bonhoeffer nel suo libro “Resistenza e resa”, mi sento interpellato con forza ad analizzare me stesso
– in questa chiesa
– in questa realtà umana.
La mia situazione è come inserita in un doppio binario:
da un lato “prete in parrocchia”, come logica conseguenza della preparazione avuta in seminario; dall’altro “uomo accanto ad altri uomini”, come altrettanto logica conseguenza di un impulso umano profondo e di un forte richiamo della realtà. Il mio tentativo di far convergere sempre di più questi due momenti paralleli, per un’esigenza di unitarietà interiore, mi ha portato a vedere con più chiarezza, e direi più evangelicamente, queste due stesse condizioni di vita.
1. La parrocchia
• Un luogo di vita, sia fisico che mentale; quasi un habitat nei suoi intrecci di rapporti, di servizi e di attività. Un parroco diceva che essa “è parte della sistemazione strutturale del quartiere, e segnale di una nuova fase di socialità”.
• Un luogo dove è di regola la mediazione (a scapito della evangelizzazione).
• Un luogo di tipo socio-sacrale, dove ogni cosa che vi passa viene tolta alla profanità e assume un carattere sacro.
• Un luogo dove si presume di far respirare la presenza di Dio, perché qui si celebrano i segni sacri, si leggono le “sacre Scritture”, vi agisce la persona sacra che è il prete; si presume di aver catturato Dio nell’ambiente sacro adatto per Lui.
• Infine un luogo dove passa direttamente l’autorità di Dio, anche se in terzo o quarto rimbalzo (prima ci sono Papa e Vescovi…), come garanzia di una rettitudine morale, di fronte ad un mondo ormai privo di princìpi e di fede.
Da anni sento con profondo rammarico il peccato che si esprime in una situazione simile, e la spaccatura dentro di me che, come parroco, assumo in toto questa realtà.
Ma una cosa mi spinge a continuare, e credo non sia da poco: l’attenzione a questa grande parte di “fedeli cristiani” che “come pecore senza pastore” continuano ad alimentarsi in questo “luogo”. Gesù, volgendo lo sguardo alla folla che gli stava attorno, disse: “ho compassione di loro” …e “insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”.
Potremo riscoprire questa autorità e questo pastore?
Da tempo ho capito che bisogna camminare su questi due piani:
– il piano strettamente personale, e qui essere esigenti e coerenti con se stessi;
– il piano cosiddetto pastorale, e qui puntualmente e correttamente far chiarezza
sulla situazione, per far emergere l’equivoco, il compromesso, il peccato.
Non si può non constatare che molta gente che gravita nella parrocchia, non sa cos’è una parrocchia, non sa chi sia il prete, non sa cosa sono i sacramenti; non sa, ma coglie ed esige ciò che ha sempre visto:
– la parrocchia come luogo buono e protetto, dove è più facile esprimere la carità fraterna, l’assistenza, il lutto e la festa;
– il prete come figura sacra, col carisma dell’autorità;
– i sacramenti come momenti di aggregazione sociale e allo stesso tempo come mezzi per ottenere la benevolenza divina.
Nel 1982 ho voluto fare la scelta del lavoro (l’altro binario), dapprima in un’impresa di pulizie, e poi (dall’85) nel dormitorio pubblico di Venezia come operatore-educatore. Una scelta di vita in funzione di una mia esigenza personale (avere una finestra diversa per guardare il mondo, e avere uno stato di vita “normale” come la maggior parte delle persone), e in funzione di una possibile nuova lettura della complessa vita ecclesiale.
2. Il lavoro
Opero in un settore di grande emarginazione (i senza fissa dimora); condivido con i colleghi la ricerca di dignità delle persone (gli utenti) e il tentativo di porre all’attenzione del pubblico, portato a privilegiare categorie forti e corporative, quella fascia di umanità che è normalmente accantonata e solo oggetto di assistenza, soprattutto privata (spesso di organismi ecclesiali).
Con maggior energia e con più chiare motivazioni, l’essere prete operaio mi ha dato la possibilità di pormi di fronte in modo nuovo a quello che era sempre stato il “mio mondo”.
Sono perciò emerse delle cose molto significative che hanno segnato maggiormente il mio procedere, innanzitutto nell’ambito ecclesiale.
Preteoperaio:
• un prete che vive la sua dimensione umana accanto a tutti e anche lui cerca nella storia il volto di Dio;
• un prete che, mantenendosi del suo lavoro, non cede alla mercificazione dei sacramenti, e poi… non esprime un ruolo, non rappresenta l’istituzione ecclesiastica con tutto il suo apparato (morale, economia);
• un prete che si colloca in una ricerca di autenticità evangelica e in un servizio gratuito alla comunità;
• un prete che aiuta a riscoprire il valore spirituale e mistico dei segni sacramentali e si inserisce nella situazione sociale nella sua relatività, senza risposte precostituite.
La condizione di PO mi permette di collocarmi “di fronte” a questo sistema- parrocchia con una maggior libertà interiore, allo scopo di far riemergere la dimensione profetica del cristiano; mi permette di pormi “accanto” ad altri cristiani in un sacerdozio comune, nella fiducia di stare ogni momento “davanti a Dio”, nella piena responsabilità del mio agire; mi permette infine di esigere essenzialità di mezzi “pastorali”e di strutture (abbiamo ancora casa e chiesa prefabbricate) per una testimonianza evangelica.
Preteoperaio e parroco:
non sono sicuro che la coniugazione sia possibile; di sicuro è una alternativa sconvolgente per la comune mentalità cristiana. Come altri, cammino in questo tentativo con grande speranza: anche a me lo Spirito dice: Beati quelli che resistono.
Concludo con una cosa un po’ curiosa, o forse buffa. Mi capita talvolta che certe persone frequentino e dormitorio e parrocchia, e trovino me da una parte e dall’altra: prima come operatore e poi come prete; all’uno chiedono un servizio, all’altro chiedono l’elemosina; e in ambedue i casi io sono dalla parte del “potere”. Proprio un bell’impiccio.