Editoriale


 

“Come chi, messosi in mare su una barchetta, viene preso da immensa angoscia nell’affidare un piccolo legno
all’immensità delle onde, così anche noi soffriamo mentre osiamo inoltrarci in un così vasto mare di misteri”.

Queste parole di Origene mi sembra che esprimano bene il clima delle comunicazioni sull’”immagine di Dio” dei pretioperai lombardi che pubblichiamo in questo numero.
Comunicazioni consapevoli della difficoltà dell’argomento (“È come tentare di tenere tra le mani un’anguilla o una piccola murena: più forte la si preme, più velocemente sfugge di mano” dice Girolamo), e tuttavia ricche e dense. Ricche non nel senso di chi presume di possedere. Si possono mettere le mani su ciò che sfugge? Si può forse descrivere ciò che si nasconde? “Ogni conoscenza autentica di Dio comincia col rilevare che è nascosto a noi” (G. Von Rad).
Ricche dunque solo nel senso che nascono da una fede inquieta, interrogante e, prima ancora, da una vita rischiata con coraggio. Colgo, insidioso, il rischio dell’autocelebrazione, la tentazione di cercare conferme… Ma come non stupirsi del fatto che dei preti, oggi, parlino della loro immagine di Dio così come emerge da una vita narrata in prima persona? Quando si parla alla prima persona singolare il discorso si fa duro, sofferto. Emergono domande che non tollerano risposte a buon mercato, ma chiedono di essere tenute aperte; i pensieri comunicati non sono più il lusso dello spettatore, quanto piuttosto l’emergere di una pratica. E la pratica, la dislocazione operaia, segna le vite e i linguaggi…
In quasi tutti i contributi qui riportati si parla di un cambiamento intercorso nell’esprimere la propria immagine di Dio. Per alcuni si è trattato di una svolta (“L’avvenimento serio che ha buttato all’aria tutto ciò che avevo in testa è stato l’impatto con la condizione operaia di fabbrica”).
Altri hanno parlato di modificazioni legate alle tappe della vita e alle diverse esperienze fatte. Altri, invece, di “interpretazione infinita”.
Si potrebbero esprimere schematicamente questi passaggi nel modo seguente:

Questi cambiamenti di orizzonte sono familiari al testo biblico: si faccia il confronto tra Esodo 19-20, dove sono i fenomeni cosmici a segnare la presenza di Dio, e I Re 19, dove Elia percepisce una ‘voce di silenzio sottile’. La presenza divina può avvenire in una modalità diversa da quella presentata dalla tradizione! Un cambiamento che non ha tuttavia un esito nichilista, quasi che l’esperienza operaia spinga inevitabilmente a prendere le distanze da Dio, come sembra suggerire la parabola della modernità.

“Diciamo ancora oggi che il sole sorge o che il sole tramonta. Parliamo come se il modello copernicano del sistema solare non avesse soppiantato definitivamente quello tolemaico. Metafore vuote, figure retoriche logore, insidiano il nostro lessico, la nostra grammatica; sono rimaste intrappolate nelle impalcature e nei recessi del nostro linguaggio quotidiano e vi si agitano come vecchi stracci o fantasmi nel solaio. È per questo motivo che gli uomini e le donne razionali, in particolare quelli che vivono nella realtà scientifica e tecnologica dell’occidente, si riferiscono ancora a Dio. Per questo il postulato dell’esistenza di Dio sopravvive in tante allusioni e in tanti modi di dire che usiamo senza riflettere. Nessun ragionamento, nessun atto di fede plausibile è garante della Sua speranza, e non ne esiste nemmeno nessuna prova intelligibile. Laddove Dio si aggrappa alla nostra cultura, alle nostre convenzioni retoriche, Egli è un fantasma della grammatica, un fossile arroccato nell’infanzia del linguaggio razionale. Così afferma Nietzsche e molti altri dopo di lui”. (G. Steiner).

Qui potete leggere la testimonianza di uomini che, parafrasando E. Wiesel, sono o con Dio o contro di Dio, ma mai senza Dio! Il volto irredento della storia, che si sperimenta stando “in basso”, interroga sì radicalmente la fede dei pretioperai; ma per essi Dio continua ad essere una “vera presenza”. Un Dio che “insiste perché la vita della terra pervenga ad una esistenza riuscita” (A. Jaeger).

A trent’anni dal Concilio Vaticano II la chiesa rischia di cadere in una fase di sicurezza che la fa sentire forte per le sconfitte altrui ed è tentata di “costruire sulle ceneri” con uno stile trionfalistico che ben poco si addice ai discepoli e alle discepole del Crocifisso. Tutto questo sembra avvenire senza un serio discernimento comunitario sul presente e su quanto Dio domanda oggi alla gente che crede.
Ed è in questo contesto che i pretioperai provano ancora a scommettere sulla duplice fedeltà alla terra e a Dio. Tentano ogni giorno con fatica di tenere un orecchio rivolto alla parola di Dio ed uno al “grido del povero” (Bibbia e giornale!). Un occhio tradisce il terrore di chi ha visto “la grande bestia” in azione, e l’altro rivela la speranza di chi legge nella storia i segni del regno.

“Questo era un poeta – colui
che distilla un senso stupefacente
dai significati ordinari.”
(E. Dickinson)

Angelo Reginato


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