Ci scrivono
Caro Roberto,
anche se non ci conosciamo, ricevi ugualmente il mio saluto grato e fraterno dal lontano Perù! Ti / vi sono molto riconoscente per tenermi aggiornato sulla vita – speranze – progetti e … utopia che stiamo costruendo insieme. Sia al convegno di Salsomaggiore, sia nel quotidiano a quasi 4000 metri, quassù sulle Ande.
Sebbene a volte sembra che la storia si sia fermata, anche quassù cerchiamo di stare nel cuore della storia e fedeli a questa storia.
Ringrazio te e il gruppo dei PO, di cui qualche faccia e nome mi è noto.
Sta bene! Un abbraccio, con amicizia.
Giovanni
VAMOS CAMINANDO…
“…quisiera yo tocar todas las puertas,
y suplicar a no sé quién, perdòn,
y hacerles pedacitos de pan fresco
aqui, en el horno de mi corazòn…”
(C. Vallejo, “El pan nuestro”, en LHN)
Amici, amiche, fratelli e familiari, tutti carissimi,
anche da qui, lontano da voi, invio un saluto e un abbraccio affettuoso che non lasci fuori nessuno. La gratitudine supera distanze e tempi. Gratitudine accumulata nel tempo, negli anni, al di là e al di qua dell’Oceano, fin quassù sulle altezze andine: riempie il cuore!
Siamo fatti anche di terra dentro, portiamo in noi le radici della nostra terra, profumiamo della forza vitale di chi ci ama e di chi ci ha amato. Parlano anche i nostri cari, dalla profondità delle viscere della terra e dalla pienezza della felicità: penso alla mamma Rosa, penso al babbo Duilio. La loro ombra protettrice nel cammino è come quella di una quercia frondosa, di una quercia robusta. Con loro vedo persone e persone, familiari, volti, nomi, amici, persone anonime, poveri cristi, storia. E li ringrazio. Li ringrazieremo sempre!
I bambini, spesso incuriositi, mi chiedono da dove vengo, dove sono nato, dove vive la mia famiglia, come si chiama mia moglie… La risposta è sempre la stessa per tutti, bambini e adulti. Quando mi è possibile li invito a guardare verso la cordigliera andina e indico la punta più alta, il monte Cooachico:… lassù la cicogna mi ha lasciato! La mamma se n’è andata con gli altri fratellini ed io, come una zucca… sono rotolato giù, da oltre 5000 metri, fin qui, a Lampa!
Ancora una volta a tutti il mio saluto!
Di cuore e con gratitudine!
Come eco della grande montagna, viviamo ancora nel tempo e nel cuore i riflessi della festa della gratitudine per i miei 25 anni di sacerdozio, lo scorso anno. Qua, in Perù e là, in Italia. Siamo stati in festa! Insieme: Voi con me ed io con Voi! Una festa che sembrava non finisse più! il sacerdozio di Gesù è il nostro sacerdozio!
La gente di Lampa colse nella radice quella liturgia di ringraziamento comunitario, in una esplosione di festa, di gioia e di vita durante un’intera giornata. Il pago alla Pachamama dopo il tramonto del sole, la liturgia eucaristica, le danze in offertorio, le litanie dei santi con tutti… i santi in processione, il pranzo comunitario e per tutti, i balli, i colori, il sole, l’azzurro del cielo, la gente venuta da tutte le Comunità Campesine…
Grazie alla vita che mi ha dato tanto! Il titolo e il nome di “sacerdote” Gesù se l’è guadagnato, se l’è sudato (Ebr 2,16-18). Un sacerdote differente per una religione differente. Gesù è l’unico, non c’è altro sacerdote: il ponte con Lui è già fatto! Al sacerdote Gesù gli costò essere sacerdote, perché prese sul serio l’essere uomo, l’esistenza umana; si identificò con noi, con gli esclusi, con i crocifissi della storia (cfr. Ebr. 5, 5). La ragione d’essere del sacerdote è per il servizio, per gli altri, non per Dio!
Il cammino della vita continua: continuiamo ad esserci vicini, cordialmente e con gratitudine!
“Date loro da mangiare”! (Mt.14,16)
La fame: luogo comune? Forse! Se riflettessimo in profondità sul significato di questo termine e sui significati derivanti, probabilmente cambierebbero molte cose. Riportare il punto di osservazione su questo “nodo”, la fame, può disturbare la nostra sensibilità, le nostre suscettibilità.
Per chi ha tutto garantito è uno dei soliti motivi di disturbo! Per chi vive in un regime di austerità permanente è una realtà! La differenza è totale, profonda, abissale…
È ancora vivissimo in me l’incontro in Villa El Salvador, della gente della fame con il papa Giovanni Paolo II. “Abbiamo fame!… “, disse la gente, il 5 febbraio 1985 nell’immenso arenale, all’estrema periferia sud della grande città di Lima. A circa un milione di poveri assiepati, nelle prime ore del mattino e sotto il sole cocente, il papa disse: “Fame di Dio, sì! Mi rallegro che questo popolo abbia fame di Dio, ma scompaia dalla faccia della terra e da questo popolo la fame del pane, ritorni a fiorire la fame di giustizia! “.
La scelta preferenziale per i poveri non è una delle scelte, ma “la” scelta: per uscire dalla crisi occorre ripartire dagli ultimi! Da qualunque crisi: da quella economica, da quella socio-politica, da quella morale.
Un dato fornito dalla Banca d’Italia rileva che in sei mesi, in Italia, sono aumentati 27mila conti bancari miliardari… Ogni regione italiana ha i suoi miliardari, pochi o molti che siano! La politica economica deve puntare all’arricchimento di pochi o al riequilibrio della ricchezza secondo giustizia?
Sulle rive del lago di Galilea, a Betsaida, è stato possibile dar da mangiare a folle di affamati, con pochi pani e pochi pesci disponibili. Mediante il miracolo della condivisione!
Oggi, alla vigilia dell’anno 2000, di fronte a circa mille milioni di affamati sparsi in tutto il mondo, ci viene chiesto di ripetere il miracolo di… una economia di uguaglianza, di una politica di giustizia!
L’alpàca, custode dell’umanità!
Alla fine del secolo XVI il cronista indio Felipe Guamàn Poma de Ayala, scrisse un documento, illustrato con circa 500 disegni sulla vita incaica e coloniale. Tra questi, un disegno nel quale raffigura un lama, con il suo collo lungo, che si affaccia dalla finestra dell’arca di Noè. Per il cronista questa era la spiegazione corretta della presenza di alpàca e di lama nelle zone andine del Perù.
Invece i pastori andini sostengono che alpaca e lama vennero dall’Ukhu Pacha (il mondo sotto terra), laddove pascolano i grandi greggi, proprietà degli Apus (principali divinità del Sur-Andino). Nel Kay Pacha (il mondo nel quale noi viviamo) gli alpaca erano pochi e davano un servizio esiguo all’umanità. I pastori, per questo, erano poveri.
L’Apu (la divinità), rendendosi conto di questa situazione, ebbe compassione dell’umanità e decise di aiutarla. Dette in sposa una delle figlie ad un giovane del Kay Pacha (questo Mondo), regalandogli tantissimi alpaca. Il giovane, che doveva avere molta cura degli alpaca, in realtà non seguì le raccomandazioni dategli dall’Apu. La figlia stessa dell’Apu decise di tornare all’Ukhu Pacha e gli alpaca con lei, desiderosi di tornare al loro mondo. Il giovane fu preso dalla disperazione. Cercò di impedire che tutti gli alpaca se ne andassero. Riuscì a trattenerne alcuni. Ancora oggi gli alpaca cercano di ritornare al mondo dal quale sono venute (l’Ukhu Pacha) e il giorno in cui l’ultima alpaca abbandonerà questo mondo (il Kay Pacha), significherà che è iniziato il giudizio finale.
“L’utopia è la risposta all’appello di un mondo in agonia: annuncia un altro mondo, possibile casa per tutti, spazio aperto di incontro dei popoli liberi, uguali nei diritti, diversi nei volti, diversi per le voci. Più che utopia bisognerebbe chiamarla speranza, perché generata insieme dall’esperienza e dall’immaginazione. …La storia può e deve essere fatta dal di dentro e dal basso, e non dall’esterno e dall’alto. …Anch’io credo in tanta allegria; credo che Lelio, Ruth, Marianella vivranno finché nel mondo vivranno la volontà di giustizia e la volontà di bellezza; finché la dignità umana, assassinata migliaia di volte, continuerà ad essere miracolosamente capace di alzarsi e di camminare” (Eduardo Galeano).
Un saluto grande a tutti. E con affetto.
Vi voglio bene!
Giovanni Gnaldi
Lampa (Perù), marzo 1996