Sirio Politi / Scritti del periodo 1956-1959 (2)


 

Alle 11 di stamani, 17 marzo, dal cantiere è iniziata una triste processione di operai, lungo le strade della città, fino alla Casa Comunale.

Il solito senso di umiliazione, quasi di segreta vergogna per questo andare per le strade a mostrare la propria miseria, a chiedere la carità di un interessamento della pubblica opinione e quindi dell’autorità a favore del pezzo di pane quotidiano.
Vedevo bene il disagio e l’impaccio di questi uomini, maestranze capaci, che hanno fatto la ricchezza di una azienda e che, al primo venticello contrario ai grandi profitti, sono costretti ad andare per le strade a chiedere che il già magro guadagno non sia diminuito ancora per la riduzione di ore di lavoro e che siano impediti i licenziamenti minacciati.
Una folla di uomini aggruppati davanti al Comune a guardare alle finestre, lassù.
I portavoce di quella folla a raccomandare il problema al Sindaco, a chiedere una convocazione del Consiglio Comunale, tanto più che l’iniziativa della Direzione del Cantiere ha tutta l’aria di un’azione di rottura facilmente imitabile dalle dirigenze di altre aziende che, si sa, sono sempre pronte a scaricare sulle maestranze non solo le crisi di lavoro, ma anche i più piccoli accenni di non profitti immediati.
Davanti al Sindaco è stato fatto il discorso delle sette vacche grasse e delle sette magre: è un discorso molto significativo di una mentalità di profitto incondizionato quando tutto va bene e di rifiuto di ogni sacrificio quando va meno bene. Poi il discorso che non sembra che vi sia crisi di lavoro da giustificare interventi così pesanti, dal momento che fino a pochi giorni fa vi è stato intenso lavoro di ore straordinarie. E’ il primo provvedimento locale, in obbedienza al clima di disagio nel mondo operaio che sembra che la classe padronale vada cercando di realizzare per finalità politiche e quindi interessi economici.
E’ un reagire immediato, dicevano, alla ultima tassazione sulle automobili e sulle imbarcazioni di lusso, facendone ricadere il peso sul già pesante bilancio familiare degli operai. Sta il fatto che qualsiasi problema economico e politico immediatamente va a finire nelle gambe degli operai perché è il povero popolo che è sempre condannato a servire e a pagare…
Quante cose dicono gli operai, gli uomini che lavorano e faticano per il pane quotidiano: sono tutte cose vere, sacrosante, come sempre sono vere e semplici e schiette le cose dei poveri, ma sempre si ha l’impressione della loro fragilità davanti alle grandi ragioni economiche, alla forza del capitale, alla potenza della ricchezza, alla furbizia della dirigenza…
Gli operai sanno bene che vanno incontro a tempi duri e difficili: in questa occasione di serena protesta operaia (piccola ma significativa indicazione di un problema generale all’inizio di svolgimento) abbiamo capito però ancora meglio il senso d’irresponsabilità della classe padronale. E’ questa irresponsabilità fredda, calcolatrice e disumana del capitale e della potenza economica che ci fa paura. Perché dare l’ordine di diminuire le ore lavorative si fa presto; mettere una lista di licenziamenti al cancello dell’azienda è facile; chiedere al governo il blocco dei salari, ci vuole poco, indicando il salario di chi lavora e produce la ricchezza per gli altri come il grande
responsabile della crisi e come l’unica soluzione della medesima, ecc. Tutto questo sembra problema facile e semplice se con tanta disinvoltura se ne trova la soluzione, ma non è problema semplice e facile che padri di famiglia non riescano a tirare avanti, costretti alla disperazione di un salario che diminuisce o sparisce del tutto e a un crescere dei prezzi fino a un costo della vita diventato impossibile.
Di chi sarà la responsabilità di questa disperazione?
Ci pensavo stamani, con la solita angoscia nell’anima, scendendo le scale della Casa Comunale insieme a quel gruppo di uomini che avevano raccontato le schiette e semplici ragioni dei lavoratori al Sindaco e mentre rientravo nella folla aggruppata sulla piazza, stretta intorno a chi raccontava la storia delle buone speranze. E continuava a scendere una pioggerella sottile, sottile, ma noiosa e fredda, da far rabbrividire.


 

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