Introduzione
In questa pagina, la presentazione del n° 4-5 della rivista e una scheda biografica.
Sapevamo della malattia di Sirio e ne seguivamo con trepidazione l’aggravarsi. Tuttavia, la notizia della sua morte ci ha colti di sorpresa, come avviene ogni volta che se ne va una persona amica.
Ai suoi funerali – il 21 febbraio scorso – più d’uno ha proposto di lasciar parlare Sirio lungo tutto questo numero della rivista, che lui fortemente aveva voluto ed entusiasticamente aveva diffuso.
Padre David – non poteva mancare! – ha dato la spinta con la poesia che qui trovate.
Luigi e Beppe “i suoi compagni pretioperai di Viareggio” si sono impegnati a fare una prima scelta degli scritti di Sirio; trovando in Franca Rovini la persona in grado di dare in poche righe il quadro della vita di Sirio.
Man mano poi che nasceva questo numero, abbiamo constatato che le note, i commenti e le inquadrature storiche che avevamo previsto non erano così necessarie. Sirio si fa benissimo comprendere da sé, basta che lo si legga con attenzione “simpatica” (nel senso etimologico del termine).
A noi pare che il materiale qui raccolto – nonostante parecchi tagli impietosi – dia davvero l’immagine di quel Sirio di cui noi pretioperai ci sentivamo un po’ tutti fratelli minori: quello che ascoltavamo periodicamente ai nostri incontri, a cui non poteva mancare; o che cercavamo di ritrovare in qualche articolo sulle “sue” pubblicazioni che parecchi di noi ricevevano: prima “La voce dei poveri”” poi “Lotta come amore”.
Non ci pare esagerato affermare che siamo orgogliosi di dare la parola a Sirio da queste pagine: ogni preteoperaio potrà riconoscersi in qualche sfaccettatura della sua vicenda; chi preteoperaio non è; potrà ritrovare concentrato in poche pagine cosa può vivere / dire / pensare uno di noi; anzi; il primo di noi.
SIRIO POLITI
scheda biografica di Franca Rovini Papi
Giovane sacerdote, già parroco di Bargecchia nel 1945, in quello scorcio degli anni quaranta, Sirio Politi scendeva a Viareggio ancora semidistrutta dalla guerra, fra gente che cercava, in un mondo pieno di speranza, strade nuove di libertà e di giustizia sociale, lui stesso in cerca della “condizione giusta”. (*)
Sono gli anni del suo primo affacciarsi al mondo del lavoro, dei giovani, in una realtà più ampia, più dinamica, più contrastata della quieta e sicura canonica sulla collina: gli anni dell’insegnamento della religione nei licei, ben presto lasciato perché percepito come uno “strumentalizzare l’esser Prete”.
Principalmente sono gli anni dei primi contatti con la realtà operaia, vissuti mettendo in discussione con se stesso la vita di parroco, insieme a tutte le sicurezze che questa comporta.
“…Io non dovevo più vivere di cose religiose, non volevo più sfruttare (la parola può essere pesante ma è molto giusta) i sacramenti, le cose di Dio, i valori spirituali e soprannaturali per i miei ritorni di sostentamento e di sistemazione personale. Devo guadagnarmi ogni cosa, mi sono detto, con le mie mani, con la mia fatica come tutti; … ho deciso quindi di cambiare tutto il mio vivere e ho lasciato la parrocchia. Sono andato a fare l’operaio”.
Era il 29 febbraio 1956, quando Sirio, ricco della sua Vespa, lasciava la parrocchia e dalle colline scendeva a Viareggio nella Darsena.
Cominciava la sua nuova vita, prima con la ricerca di un domicilio, poi con la costruzione di un modestissimo alloggio e della chiesetta, la chiesetta del porto, dei pescatori che, come Sirio diceva, “…è anche bella esteticamente, ma specialmente è significativa perché è presenza di Cristo e quindi anche presenza di sacerdote”.
Non fu facile ottenere il libretto di lavoro, né tanto meno trovare un’occupazione, mentre ai disagi inevitabili della nuova condizione di vita si mescolavano le amarezze dell’incomprensione del clero e della gerarchia ecclesiastica duri da arrivare fino all’emarginazione.
Infine il lavoro in un cantiere di quattrocento operai: l’inizio pesante, sofferto come prete e come uomo, la lenta, faticosa conquista dell’amicizia e della fiducia nell’ambiente operaio, la pubblicazione del periodico intitolato “Il nostro lavoro”, alla redazione del quale nella casa di Sirio, ormai allargata, partecipavano gli operai stessi, verificando se i loro problemi erano stati trattati secondo le reali esigenze.
E agli inizi degli anni sessanta, l’intervento perentorio dell’autorità ecclesiastica: l’ostilità del clero e della curia poneva Sirio di fronte alla scelta “…o fare il prete o fare l’operaio”. La scelta incredibilmente sofferta in giorni di isolata meditazione fu di “…continuare il rapporto con la Chiesa”.
Sirio non fu più operaio dipendente, ma visse da lavoratore libero l’esperienza di scaricatore di porto, pur sempre in stretto contatto con chi giornalmente viveva i problemi della condizione operaia.
Poi dall’esperienza del porto al lavoro manuale: la forgiatura del ferro nell’officina di Bicchio, attraverso la quale Sirio era arrivato a comprendere e ad amare le attività artigianali, che oggi vanno scomparendo e nelle quali “il lavoro è veramente a misura d’uomo”.
Nell’esercizio della forgiatura e dalla riflessione sui lavori “fatti con le mani” Sirio, attraverso quel processo meraviglioso di pensiero, per il quale nessuna esperienza è rimasta a lui, ma da lui è passata agli altri, intuiva la possibilità di operare forme di educazione degli handicappati e della loro socializzazione in vista di eventuali, possibili inserimenti nel mondo del lavoro.
L’ottobre del 1979 vedeva la realizzazione dell’A. R.C.A. (Associazione Ricerca Cultura Artigiana), alla quale Sirio ha dedicato gli ultimi anni della sua vita — Vita di lotta —, che dal 1982 lo spinge ad impegnarsi nel Movimento Internazionale di Riconciliazione e da qui “poiché le cose si richiamano con interdipendenze storiche molto precise”, ad entrare nei grandi problemi delle lotte contro le centrali nucleari, vivendole fino al tribunale di Firenze e alla condanna.
Il suo coinvolgimento nei “tremendi” problemi della pace è totale e lo accompagna fino all’ultimo.
Il Campo della pace, vicino alla sua chiesetta, progetto non ancora realizzato, ma che è impegno di tutti rendere concreto, è stata l’ultima fatica e l’ultima “utopia”.
Franca Rovini Papi
(*) Le espressioni tra virgolette sono di Sirio Politi.