Il diritto alla casa
«Il mercato non fa bene ogni cosa»
James Tobin
Introduzione
L’abitazione è un bene reale e tangibile che riveste un ruolo fondamentale nella vita economica e sociale di ogni popolazione, oltre ad essere una componente centrale della vita quotidiana nella sua veste più generica di rifugio.
È importante perché soddisfa uno dei bisogni primari di tutti i membri di una società.
In termini di costo della vita, l’affitto è la seconda voce di spesa, mentre l’acquisto della casa rappresenta la decisione di spesa più importante per tutta la vita. Dall’uso della casa deriva tutta una serie di vantaggi sia per chi la abita sia per chi la costruisce e per tutta una schiera di altre figure collegate a queste due. Nelle società moderne l’edilizia oltre che fonte di ricchezza personale costituisce un settore importante dell’economia di uno stato, assorbe consistenti quote di investimento ed è una cospicua fonte di investimento.
Una abitazione poi è anche fonte di gettito fiscale ma richiede servizi sociali e materiali forniti dalle amministrazioni e a seconda della sua collocazione sul territorio determina forme e tessuto di un’area, modelli di relazioni sociali e tipi di comunità.
Nel medesimo tempo la funzione primaria della casa è dipendente dalle condizioni ambientali sia per i vantaggi dei servizi che per gli svantaggi (scuole, verde, strade, emarginazione, criminalità vandalismi, ecc.).
Quando si parla di casa oggi si è propensi a parlare cioè di Sistema Abitativo anche se noi qui ci riferiamo soprattutto all’ abitazione in genere e all’abitare in affitto.
In quanto bene durevole nella società moderna la casa viene considerata
a) come un bene strettamente economico o di investimento
b) come un bene ed un servizio sociale.
Secondo la prima interpretazione la produzione e il consumo delle abitazioni possono essere lasciati prevalentemente al mercato privato (anche se in realtà nemmeno nei paesi ad economia capitalista più liberisti il mercato della casa non è mai un mercato completamente libero) mentre secondo l’altra interpretazione la casa, come l’istruzione e il lavoro, è un bene che deve essere garantito a tutti.
Oggi più di ieri intorno alla casa esistono conflitti sociali, politici e di interessi che spesso vanno a danno delle famiglie che sono i veri destinatari del bene.
“La famiglia, quale cellula fondamentale della società, ha pieno titolo ad un adeguato alloggio come ambiente di vita, perché le sia resa possibile l’attuazione di una comunione domestica adeguata” (messaggio scritto dal Papa nella Quaresima 1997).
“La casa è una condizione necessaria perché l’uomo possa venire al mondo, crescere, svilupparsi, educare ed educarsi” (lettera al card. Etchegaray 1987).
Giovanni Paolo II da tempo interviene in modo sempre più puntuale sulla gravità del problema dell’abitazione specialmente per le giovani coppie come ha fatto con accenti accorati alla recita dell’Angelus in occasione dello svolgimento della conferenza internazionale Habitat II svoltasi a Istambul nel 1996 sul problema dell’abitare (la stampa italiana ha dato notizia di tale conferenza solo dopo l’intervento del Papa…).
L’abitare in Italia oggi
a) Il comparto in proprietà
È comunemente considerato segno di progresso il dato che in Italia oltre il 70% della popolazione è proprietaria di casa.
In realtà una società con oltre il 70% delle famiglie che abitano in proprietà non è una società che ha risolto i suoi problemi abitativi: ha sì migliorato le condizioni alloggiative della maggior parte dei suoi abitanti, ma ha anche esasperato alcuni termini della questione al punto da renderli di difficilissima soluzione.
Infatti l’incremento della proprietà ha prodotto una rigidità ancor più forte ed una separazione più marcata fra chi ha potuto accedere alla proprietà (negli anni dei prezzi bassi e dei mutui a tasso fisso) e chi ne è stato escluso. Inoltre proprietà non significa necessariamente una posizione ottima nel godimento dell’abitazione per dimensioni, localizzazione o servizi e per tante famiglie con redditi modesti la proprietà implica grande sforzo economico, indebitamento prolungato e rinuncia di altri interessi o necessità prioritari.
La terza conseguenza è che il settore dell’affitto è sempre più ridotto per cui l’offerta locativa privata si rivolge sempre più a fasce di reddito alto e a forte mobilità così che la famiglia media rimane esclusa dai mercato dell’affitto, specialmente dopo l’introduzione nel 1992 della normativa dei patti in deroga che ha liberalizzato i canoni.
b) il comparto in affitto
Il 30% delle abitazioni in affitto interessa oltre 18 milioni di persone che devono sottrarre dal reddito la quota relativa al pagamento dell’affitto la cui incidenza sulla spesa famigliare ha ormai raggiunto il 35%.
Va inoltre precisato poi che questo 30% non è più comprimibile sia per la previsione che nel 2010 avremo oltre un milione di famiglie in più (senza contare quelle degli extracomunitari) sia perché l’accesso al mercato privato per l’acquisto è diventato possibile per una fascia sempre più ristretta della domanda. Infatti il numero di annualità di reddito per accedere al mercato della proprietà è passato da 2,5-3 annualità negli anni ‘60 a 5-6 annualità negli anni ‘80.
c) il comparto pubblico
Anche il settore pubblico mostra un andamento decrescente. A valori costanti, i finanziarnenti statali per l’edilizia residenziale si riducono di quasi quattro volte fra il primo quadriennio della 457/78 (1978/81) e l’ultimo (1992/95).
La consistenza attuale del patrimonio di Edilizia pubblica in Italia sul totale dello stock abitativo arriva a circa il 5% (contro il 44% dell’Olanda, il 27% della Gran Bretagna, il 24% della Francia).
Le famiglie che avrebbero diritto a una abitazione pubblica sono 2.700.000 e che ne usufruiscono sono solamente 825.000.
Oltre alla scarsità quantitativa il comparto dell’edilizia pubblica conosce altri disagi, tra cui i più frequenti sono: la progressiva vendita per sanare i deficit di bilancio e non per nuove costruzioni se non in minima parte; la progressiva riduzione del finanziamento statale e il trasferimento ad esclusivo carico del lavoratore di oneri spettanti allo stato, bandi di concorso che diventano liste di eterna attesa; il degrado edilizio e sociale.
Occorre ricordare che la principale fonte per la costruzione di case pubbliche erano i contributi Gescal (delle buste paga dei lavoratori dipendenti) che spesse volte sono rimasti inutilizzati o destinati ad altre partite del bilancio statale come quando, nel dicembre 1992, 300 miliardi sono stati dirottati agli alluvionati del centro Italia o al fisco che, se verranno concessi sgravi fiscali ai proprietari che denunciano regolarmente l’affitto, recupererà 1.800 miliardi appunto dai fondi ex Gescal.
Diventa sempre più improcrastinabile l’intervenire con leggi per coniugare socialita ed equilibri di gestione attraverso, tra l’altro, la revisione dei criteri d’accesso, una gestione più personalizzata cioè meno burocratizzata e la riqualificazione del patrimonio degradato. Su tutto questo da tempo i sindacati degli inquilini sollecitano una riforma sostanziale dell’Istituto che adesso è diventato Azienda preoccupata solo di aumentare i canoni e di vendere il patrimonio.
Già quanto fin qui esposto rende poco pertinente l’affermazione secondo cui la questione abitativa sarebbe oggi nel nostro paese circoscritta e poco rilevante quantitativamente.
Ma ci sono altri aspetti del quadro di complessivo aggravamento dei problemi abitativi.
Infatti bisogna tener presente anche il calo della produzione abitativa. Dopo il buon andamento fino al 1983 si registra una caduta pronunciata fino al 1988 e una successiva ripresa che tuttavia non raggiunge i livelli precedenti. Riduzione più accentuata (e già iniziata negli anni ‘70) nelle aree urbane e nelle parti centrali delle aree metropolitane.
Si profila un non breve periodo di calo della produzione di nuove abitazioni dovuto oltre che all’elevato tasso di proprietà della prima abitazione anche a modificazioni demografiche e territoriali come la bassa natalità, il richiamo abitativo dei piccoli centri e della provincia ecc.
Il disagio abitativo…
Da quanto esposto fin qui appare evidente la situazione di disagio abitativo persistente nel nostro paese.
C’è ancora un 3% di famiglie (escludendo quelle degli extracomunitari) che vivono in alloggi non idonei o privi di servizi essenziali. Gli alloggi occupati degradati sono il 15% mentre quelli che necessitano di consistente riqualificazione sono il 30% dello stock abitativo. Il disagio dell’affollamento, della coabitazione e del degrado riguarda in complesso il 10% delle famiglie.
Gli sfratti
Uno dei più gravi disagi per l’abitare in affitto è lo sfratto, tenendo presente che l’Italia è uno dei pochi paesi europei dove si può sfrattare anche senza giusta causa.
Tale disagio ha raggiunto livelli così preoccupanti che nel 1989 è stata promulgata la legge 61 per la graduazione, tramite apposite Commissioni Prefettizie, degli sfratti che di fatto ne ha bloccato l’esecuzione fino aI 31 ottobre prossimo a suon di decreti di proroga della legge. Questo però vale solo per le città dichiarate ad alta tensione abitativa e interessa 800.000 famiglie. Da ciò l’idea comune che è meglio non affittare gli appartamenti (e ce ne sono 5.000.000 sfitti in Italia: 24.800.000 abitazioni per 19.700.000 famiglie).
Da alcuni dati del 1995 risulta che la tensione abitativa non è scesa, anche se dall’introduzione dei Patti in deroga (1992) si è passati a canoni liberi (che tra l’altro sono diminuiti come numero, secondo i dati del Ministero dell’Interno…). Secondo un’indagine Istat del 1993, ogni anno 78.000 famiglie si sono spostate a causa dello sfratto.
Il nuovo disagio abitativo
Le trasformazioni socio-demografiche, economiche e politiche di questi dieci anni hanno prodotto in Italia e in Europa, oltre a un aggravamento del disagio abitativo preesistente, un disagio abitativo nuovo sia per fattori “interni” (tendenze dei mercati e delle politiche abitative che nell’ultimo decennio possono essere identificate più come fattore del problema che come soluzione) ed “esterni” quali la crescita di diversi tipi di povertà.
Si calcola che siano 2.500.000 le persone in situazione di grave disagio abitativo e forse 500.000 i “senza casa”.
I problemi diventano sempre più complessi ed andrebbero sviscerati. C’è diversità di gravità e di urgenza e c’è varietà delle forme di disagio. Esiste una domande sociale normale, quella legata alla povertà e quella legata all’estrema povertà. Forme che richiedono quindi di riconoscere, sul piano della comprensione, le diverse figure e, su quello pratico, quali problemi abitativi ciascuna di esse pone: ad esempio anziani poveri, immigrati, senza dimora.
Quando si parla di mutamenti socio-demografici ci si riferisce al fatto che le strutture familiari si moltiplicano come numero e si riducono come numero di componenti; le persone sole costituiscono ormai il 20% delle famiglie italiane. E questi piccoli nuclei sono costretti a vivere con notevoli sprechi in abitazioni grandi perché l’offerta è standardizzata sulla famiglia tradizionale.
Manca infine nelle aree urbane una risposta adatta a una domanda con esigenze di mobilità o prospettive di cambiamento/instabilità (studenti, lavoratori fuori sede, immigrati, ma anche in parte anziani, giovani coppie, ecc.). In altre parole la situazione sta peggiorando a causa dell’esistenza di ulteriori più gravi forme di disagio dovute al sorgere di nuove figure sociali quali gli immigrati e altre figure che vivono situazioni di povertà relazionali, di precarietà lavorativa, di emarginazione sociale magari dovute proprio a certi contesti urbani e ambientali che vanno dall’inquinamento ad altri effetti dell’abusivismo edilizio.
Infine sta aumentando il fenomeno dell’esclusione abitati va. Uno strato crescente di poveri non è in grado di accedere né ad una casa offerta dal mercato, in proprietà o in affitto, né all’edilizia pubblica.
Immigrati
Dato che gli immigrati sono una realtà e non un’emergenza, il problema casa deve oggi fare i conti con questi nuovi utenti.
Per fortuna la legge italiana ha da sempre previsto che le normative sull’affitto valgono anche per i cittadini stranieri, compresa la possibilità di concorrere per l’assegnazione delle case popolari (però ci saremmo noi italiani “prima”… dice la gente e qualche sindaco leghista).
La Carta dei Diritti della Famglia riconosce a tutti gli uomini “il diritto di avere con sé la propria famiglia, un’abitazione conveniente e assistenza per l’integrazione nella comunità cui recano il proprio contributo”.
Sta aumentando il fenomeno di agenzie che ad immigrati in cerca di abitazione rispondono che certi loro clienti non affittano appartamenti a stranieri in contraddizione con quanto dice la recente legge: “compie un atto di discriminazione… chiunque si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio…”.
Una politica seria è quella adottata, invece, in Francia la quale, conoscendo il fenomeno dagli anni 50, ha provveduto con ben tre leggi a risolvere il problema non solo dell’alloggio ma anche della dislocazione sul territorio così da impedire la ghettizzazione e favorire una migliore integrazione. La legge Besson del 1989 prevedeva prestiti a proprietari per ristrutturazione o garanzie di affitti a vantaggio di famiglie straniere, italiane comprese.
.A Bergamo è stata costituita una Associazione detta “Casa Amica” di cui fanno parte Enti Pubblici, forze sindacali e associazioni di volontariato per acquistare, ristrutturare o ricevere in affitto da terzi appartamenti da concedere in locazione o subaffittare (tramite graduatorie) a cittadini stranieri e italiani in situazione di disagio dichiarato.
Una nuova politica abitativa
Quanto fin qui esposto mette in evidenza l’insufficienza delle politiche sociali abitative convenzionali.
Le stesse vanno riconfigurate nel senso di accentuare il carattere sociale perché, vista la crescente povertà nel nostro paese, riteniamo urgente un ‘integrazione stretta fra politiche della casa e politiche della lotta contro la povertà.
Alcune premesse fondamentali:
– Affermazione della priorità che deve essere assegnata alle forme gravi di disagio abitativo (c’è infatti differenza tra povertà ed esclusione abitativa vera e propria).
– Rimozione degli ostacoli che sono alla base dell’esclusione di gruppi svantaggiati di popolazione dai benefici delle politiche sociali.
– Andare ad di là delle misure finanziarie o relative all’offerta e al di là della nozione “edificativa” o semplicemente “alloggiativa” delle politiche abitative per effermare l’importanza di interventi relativi da un lato alla distribuzione, dall’altro alle azioni di accompagnamento e sostegno sociale degli abitanti.
Questo significa che nelle politiche abitative devono assumere centralità:
a) la riqualificazione urbana ed edilizia e l’inserimento urbano delle soluzioni (territorialità / urbanità come soluzione dei problemi abitativi per la domanda debole come quella degli anziani, ad esempio);
b) la rivitalizzazione del settore dell’affitto.
Questi obiettivi presuppongono, ripetiamo, la riorganizzazione degli stessi meccailismi di base dell’intervento pubblico e il passaggio dalla tradizionale azione pubblica ad una politica mirata ad orientare comportamenti eprocessi del mercato, a configurare sistemi di convenienze (ad es: agevolazioni fiscali) che consentano una sistematica attività di riqualificazione e una più equilibrata distribuzione del bene abitazione, lo sviluppo dell’attività di recupero edilizio e l’ampliamento dell’offerta di abitazioni in locazione anche attraverso strumenti fiscali e il controllo economico-sociale della contrattazione.
Contesto attuale politico e sociale in Italia
Anche nel sindacato si fa strada l’idea che sia più giusto affidare al mercato la composizione dei conflitti d’interesse economici piuttosto che puntare all’ affermazione di norme di diritto a salvaguardia dei bisogni sociali.
I diritti alla casa, al lavoro, alla tutela della salute e alla pensione non sembrano più certezze conquistate dai lavoratori.
Tutti sanno che si sta andando verso il totale smantellamento dello stato sociale. Le recenti Leggi Finanziarie prevedono una serie di interventi che privilegiano ancora una volta la proprietà rispetto all’affitto. Le agevolazioni per i mutui e le cessioni per le vendite frazionate anche alle società a prevalente partecipazione pubblica dimostrano come l’attuale politica abitativa non tenga conto delle necessità sociali di chi vive con redditi bassi e della necessità di un mercato dell’affitto che permetta al cittadino una scelta realmente alternativa all’ acquisto.
Il Parlamento europeo in data 29/6/1997, per la prima volta dalla sua costituzione, ha assunto una risoluzione sugli “aspetti sociali dell’edilizia residenziale” in cui tra l’altro si afferma: “la mancanza di un alloggio decente costituisce un attacco alla dignità umana e un ostacolo alla partecipazione politica, economica, sociale e culturale delle persone e delle famiglie… il problema della mancanza e dell’inadeguatezza degli alloggi si è aggravato a causa della mancanza di risorse destinate all’edilizia residenziale e dell’aumento del numero dei disoccupati di lunga durata e dei lavoratori con impieghi atipici o precari… Si invitano quindi gli stati membri… ad assumere le proprie responsabilità sviluppando una politica che assicuri un’offerta sufficiente di abitazioni adeguate alla domanda… ad inserire nel Trattato disposizioni che portino alla progressiva realizzazione dei diritti sociali, tra cui il diritto di ogni persona a un’abitazione decorosa ed economicamente accessibile.
Conclusione… per la meditazione dei pretioperai
Nel 1987, proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale dell’alloggio, il Papa indirizzava una lettera all’allora presidente della Pontificia Commissione “lustitia et pax” card. Roger Etchegaray, il quale inviava a tutte le conferenze episcopali del mondo un Documento (pubblicato su Regno-documenti 5 / 1988) con allegato un questionario. Dall’Europa hanno risposto le conferenze episcopali di Austria, Belgio, Finlandia, Gran Bretagna, Irlanda, Iugoslavia, Malta, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera.
Dal documento:
Per rispetto all‘abitazione e alla sua intimità il creditore non poteva entrare nella casa del debitore per ricevere il pegno (Dt 24,10).
La perdita della casa era una delle terribili disgrazie che si abbattevano sul popolo (cf Lam 2,2; 5,3; Is 1,8; Ger 4,20; ecc).
Al contrario abitare nella propria dimora con la propria famiglia era segno di felicità e di pace (cf Sai 128,3; Gb 29,4; Ger 29.5.28; 30,18; ecc.).
Anche l’idea del rapporto diretto tra il valore “abitazione” e il valore “famiglia “, messo in evidenza nella carta dei diritti della famiglia è contenuta nel Nuovo Testamento, dato che il termine “casa” spesso significa “famiglia” (cf Lc 19,5.9; At 10,2; 1 Cor 16, ecc).
Così la casa di Dio è la sua famiglia cioè la chiesa del Dio vivente: “. . . affinché tu sappia come comportarti nella casa di Dio che è la Chiesa del Dio vivente” (I Tim 3,15).
Giacomo Cumini
POCHE MA CHIARE RIFLESSIONI
SULLA NUOVA LEGGE PER GLI AFFIDI DELLE ABITAZIONI
PREMESSE
A) La nuova legge interessa solo le abitazioni e non gli uffici o i negozi
B) I contratti a Equo Canone e quelli con Patti in Deroga (4+4) rimangono in vigore fino alla naturale scadenza.
C) Per i contratti in vigore non ancora scaduti ma rinnovati tacitamente perché non è arrivata la disdetta si deve ricorrere, quando scadono, alla nuova legge.
APPLICAZIONE NUOVA LEGGE SULLE LOCAZIONI 431/98
1) I contratti a CANONE LIBERO che durano QUATTRO ANNI + QUATTRO (durano solo quattro se si verificano certe precise condizioni) sempre allo stesso canone. Possono essere stipulati a partire dal 30 dicembre 1998.
2) I contratti a CANONE CONCORDATO con durata ANNI TRE + DUE con parametri da rispettare che dovranno essere concordati tra le associazioni dei Proprietari e degli Inquilini. Potranno essere stipulati non prima del luglio 1999.
3) I contratti TRE ANNI + DUE daranno diritto od agevolazioni fiscali PER I PROPRIETARI (fino al 40% sull’IRPEF) ma SOLO PER LE ABITAZIONI SITE NEI COMUNI AD ALTA TENSIONE ABITATIVA.
Per cui nella maggior parte dei paesi di Provincia – dove al massimo i proprietari potranno avere la riduzione sull’ICI se il Comune lo stabilisce – si ricorrerà principalmente ai contratti liberi.
ELEMENTI POSITIVI
Grazie all’appello per una nuova politica abitativa sottoscritta dal Sicet con Cisl, Acli e Caritas sono stati accolti alcuni emendamenti al primo testo approvato alla Camera, tra cui:
• gli sgravi fiscali sull’affitto anche per l’inquilino a partire dal 1999 ed eventuali assegni di sostegno per inquilini meno abbienti
• l’ICI più bassa in tutti i Comuni che lo deliberino, per i proprietari che affittano con i CONTRATTI TRE + DUE
• il diritto per l’inquilino alla prelazione in caso di vendita o di riaffitto
• il proprietano che sfratterà dichiarando la falsa necessità dovrà o ripristinare l’affitto o pagare una forte penalità, pari a 36 mensilità dell’ultimo canone pagato.
ELEMENTI NEGATIVI
(che si spera di ovviare tramite prossimo incontro al ministro Micheli)
1) Troppo breve la proroga dii 80 per il funzionamento delle Commissioni Prefettizie di Graduazione degli sfratti nelle città ad alta tensione abitativa: infatti si tratta di sistemare oltre 800.000 famiglie in Italia.
2) Non ben definita – eccetto che per gli affitti transitori per studenti e per villeggiatura – la natura dei CONTRATTI TRANSITORI, per cui le Agenzie potranno sbizzarrirsi a inventare contratti liberi per canone, a durata inferiore e con clausole capestro.
3) La non obbligatorietà dell’ASSISTENZA SINDACALE alla stipula dei contratti TRE ANNI + DUE, anche se stipulati su modelli prestabiliti dalle organizzazioni sindacali: ciò favorirà la fantasia di cui sopra.
4) L’utilizzo di 1 .800 miliardi di fondi Gescal per aiutare le famiglie povere a pagare canoni troppo alti, anziché utilizzarli per COSTRUIRE NUOVE CASE POPOLARI, vero calmiere contro gli aumenti degli affitti che nessuno riuscirà a fermare, visto che l’offerta dell’affitto, sempre più ridotta per la corsa all’acguisto, si rivolgerà alle fasce di reddito alto..
E mi rimane sempre il dubbio atroce: non è che qualche proprietario ricorrerà al TRE + DUE (canone più ridotto) per ottenere le agevolazioni fiscali ma – visto che lui è più forte mentre l’inquilino deve accettare per non dormire sotto i ponti – chiederà qualcosa in nero come condizione per la stipula del contratto?
Questo non è colpa della Legge, è vero… ma nel complesso la Legge non favorisce l’inquilinato: la logica sottostante è sempre quella che la CASA è OGGETTO DI MERCATO.