“IL VANGELO NEL TEMPO:
SENSO DI UNA VITA”
Incontro nazionale PO / Viareggio, 28-30 aprile 2000

Interventi


 

«Dalla enorme ampiezza dei doni ricevuti in ogni momento di vita, comprendo la bontà e la misericordia del Signore, e se pure sento di non averne diritto, tuttavia anche sento che è possibile rivolgermi a tanta bontà e misericordia, non dico per chiedere perdono, ma per appoggiarmi senza parole al braccio sicuro di Dio. Senza pensare ad altro lo faccio, non una sola parola, so in chi confido. In questa pace di Dio ritrovata, esprimo il proposito, se avrò vita, di esistere anch’io come misericordia per i miei fratelli».


Queste parole sono tratte dal testamento che Nicola scrisse alla vigilia di una grave operazione chirurgica, nel settembre del 1996.
Il 22 gennaio del 2000 alle ore 21,45 dalla sua casa di Ostia-Roma, Nicola ci precedeva presso il Padre. Avevamo appena terminato di rivestirlo per la sua sepoltura, ed ecco mi preoccupavo di avvisare alcuni suoi amici, ma la madre, Anna, una donna di 89 anni, lucida e forte ci dice: “Fermiamoci un po’, avete faticato abbastanza, leggiamo accanto a lui i vespri, come lui faceva sempre”… ed abbiamo concluso con le parole che lui usava dopo compieta: “Il Signore ci conceda una notte tranquilla ed una fine serena”.
Conobbi Nicola nel 1968, era appena arrivato al Borghetto Prenestino, un insediamento di 4000 casette-baracche. C’era stato un ricambio totale di preti nella locale parrocchia di S. Agapito. L’unico rimasto era Sergio Angelini; tre preti si presentarono all’allora vicario card. Dell’Acqua proponendogli di scegliere tra i tre nomi un prete per S. Agapito: erano Nicolino Barra, Isidoro Del Lungo e Franco Ripani. Con loro sorpresa il cardinale, conoscendo l’intenzione di Sergio di partire anche lui, chiamò i tre preti e gli propose: “scegliete tra i preti romani uno che possa essere il vostro parroco, sarete tutti e quattro al Prenestino”; proposero Mauro Innocenti e il cardinale approvò.
Io entrai nella loro casa, in via Venezia Giulia e fui colpito dalla semplice accoglienza che aveva abbattuto ogni muro: un linguaggio schietto… era l’ora di cena, un invito a restare. Passarono pochi mesi; poiché la parrocchia aveva un po’ di cristiani nelle baracche ed altri nei palazzi, i preti lasciarono il loro appartamento nel palazzo ed andarono a vivere in due baracche. Poco dopo Mauro cominciò a lavorare come calzolaio, Nicola come fabbro, Isidoro come facchino, Franco come falegname.
Durante gli oltre 30 anni di mia conoscenza, Nicola ha sempre continuato nel lavoro manuale; per lui era fondamentale il detto “prega e lavora” di San Benedetto: una preghiera però e un lavoro manuale in mezzo alle periferie, perché ogni uomo potesse averlo come compagno di strada.
Non ha mai abbandonato il lavoro manuale, che è stato l’unica fonte di sostentamento ed il mezzo migliore per raggiungere e condividere la vita di tante persone lontane dalla fede; anche la preghiera è stata una sua compagna fedele di ogni giornata, in particolare una salmodia lenta, approfondita, con una breve risposta personale nelle varie ore; anche lo studio era quotidiano e spaziava dalla monastica alla liturgia, dalla morale all’esegesi biblica, dalla patristica alle riviste di attualità, dal teatro alla poesia.
E poi, un incontro quotidiano con i mondi nascosti in tanti uomini e donne, senza mai forzare con domande, ma guardando lontano, non strattonando le persone per costringerle a passi più veloci, ma sempre rispettando i tempi di ciascuno, senza mai rinunciare, con un’apertura mentale che continuava a sorprendere: non dava risposte confezionate ma stimolava nel cercare la propria strada… lo sentivamo come fuoco e pace al tempo stesso.
Anche quando vedeva interrotte o bandite certe prospettive all’interno della chiesa, non ha mai cercato isole felici, luoghi di consenso tra simili, ma è sempre rimasto nella comunità parrocchiale, non rinunciando mai a dare il suo contributo, anche se isolato.
Potremmo parlare di Nicola per la sua visione d’insieme della comunità locale e di quella mondiale, oppure del ruolo di prete operaio nella chiesa e nella società… del modo in cui guidava l’automobile o dell’ironia.
Mi pare che pur nella diversità di campi, aveva raggiunto una profonda unità d’intenti e di vita.
Certo ci mancherà, ma ci ha aiutato a mettere in movimento le nostre forze, a cercare lungo ogni giornata spazi di silenzio, preghiera, ascolto, ringraziamento. Ci ha aiutato a non cercare ma anche a non temere i contrasti.
Ringraziamo il Signore di averlo conosciuto, amato ed in parte averne capito e vissuto l’abbondanza dei doni.

«Vi sarò vicino dal cielo, se il Signore nella sua misericordia mi accoglierà, come spero con tutto il cuore» (dal testamento).

 

Lorenzo D’Amico


 

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