Svelare il tempo


 

Alle dieci e mezza-undici ci si ritrova, un paio d’ore per decidere dove andare, un’altra ora di viaggio e arrivano le due. Finalmente si arriva sul posto, mezz’ora per rendersi conto dell’ambiente e poi via, un’altra ora di viaggio per arrivare in un altro posto che, come quello precedente, non permette di scambiare parola. Intanto sono arrivate le cinque, si percorre un’altra cinquantina di chilometri per trovare un bar dove bere un cappuccino e mangiare una brioche e alle sei e trenta si è a letto.
In questo modo sono vissute le notti da parte di molti giovani e giovanissimi. Ma perché? Per quale ragione si preferisce dare un senso al non senso?
Senza dubbio le ragioni sono molte, ma quella, sicuramente, più importante e tipicamente antagonista e generazionale è rappresentata dal tentativo di dire no ad una società che ha rigidamente incasellato tutto e che non permette a nessuno una libera interpretazione del copione, pena, logicamente, l’espulsione.
Il livello di scontro intergenerazionale si è notevolmente acuito, attraverso la sfida impossibile. Infatti, e penso che su questo non ci siano dubbi, di fronte a una logica dominante che non permette niente, i giovani cercano addirittura di ribaltare i parametri naturali portando la luce dove non c’è per oscurare lo sfacelo e la distruzione che sono sotto gli occhi di tutti. E questo dimostra, in modo inequivocabile, che non è vera la presunta assoluta omologazione dei giovani perché esiste, potenzialmente, il tentativo di arrivare, addirittura, allo sconto finale. In questo senso si esprime la impotente rabbia di tutti quei ragazzi che, da un punto di vista materiale, dalla vita hanno avuto tutto, ma a cui sono mancate le cose piccole e grandi che servono a dare un senso al percorso umano. Ad esempio, un “bravo” da parte dei genitori che, troppo impegnati a gestire logiche democraticistiche e falsamente amiche, si sono completamente e colpevolmente dimenticati del loro ruolo.
Quindi, paradossalmente, di fronte ad una società che non esprime più valori e quando lo fa toglie loro qualsiasi senso, i giovani cercano di ritrovare dei significati attraverso l’assenza di senso: un conto è passare la notte in giro perché ci sono degli obiettivi da raggiungere, un altro è commettere un “tempicidio” premeditato con la presunzione di fare qualcosa. Seguendo questa logica, non solo non si è antagonisti nei confronti della società del giorno, ma addirittura si rischia di diventare, magari involontariamente, accondiscendenti perché non vivendo più le dimensioni dello spazio e del tempo si finisce per avallare la logica di chi ha fatto prigionieri questi due momenti.
L’assordante rumore delle discoteche, dei pub, delle birrerie non permette di vivere il tempo come conquista e come scenario all’interno del quale costruire relazioni, ma come un palcoscenico vuoto da riempire con “medie”, messaggini sul cellulare che servono semplicemente a non permettere di entrare in quello specifico spazio tempo, con volti che passano e scompaiono al ritmo dei bicchieri riempiti e poi vuotati. Un tempo che non lascia traccia se non ricordi confusi che devono essere rincorsi percorrendo chilometri e chilometri fino a quando tutto scompare e rimane solamente il vuoto che dovrà essere riempito attraversando un’altra notte.
Il buio illuminato da una luce innaturale che acceca rischia di non essere il luogo e il tempo dell’antagonismo, ma il cinico sepolcro allestito da tutti coloro che hanno vissuto e vivono con la onnipotente convinzione di essere i primi e gli ultimi. Ecco allora che vivere la notte diventa il percorso obbligato per chi deve abituarsi ad una strada buia e talmente assordante da diventare silenziosa. È la strada di un labirinto che non permette di vedere l’uscita e che deve essere continuamente percorso, spargendo notti insonni, birre vuote, fari di automobili, mozziconi nevroticamente o religiosamente vissuti, con la speranza di ritrovare i propri passi: la luce del giorno, purtroppo, appare sempre più lontana…

 

Giuseppe Callegari


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