SULLA STRADA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE
VIVERE L’OGGI… APRIRE L’AVVENIRE
Incontro internazionale PO / Strasburgo, 2-4 giugno 2001
ATTI 2, 1-11
Riflessione della pastora anglicana
Barbara Terlau, London
Cari amici,
è per me un particolare privilegio, il trovarmi qui a Strasburgo, nella Capitale Europea, ed è per me anche una grande gioia festeggiare qui a Strasburgo, per la prima volta, la Festa di Pentecoste, insieme a tutti voi, motivati, come me, da questa Festa. Per me, Strasburgo simbolizza ancora un ulteriore passo, vedendo il mio sogno di una Europa Unita diventare realtà, anche se sono cosciente dei muri che esistono nei cuori e nelle teste di molti uomini e donne.
Desidero invitarvi ad immaginare che ora anche su di noi scenda lo Spirito Santo così come egli scese sugli Apostoli riuniti. Immaginiamo che anche noi, abitati dal fuoco dello Spirito, riusciamo a valutare noi stessi, a conoscere, apprezzare e ad amare i valori dei giovani di oggi. Insieme ci impegnamo affinché, non solo l’Europa ma l’intero Pianeta Terra diventi sempre più abitabile. Fare della Terra intera un luogo dove fa gioia vivere, dove regna la giustizia sociale, dove le donne e gli uomini si aiutano e si sostengono a vicenda e dove regna la pace.
È questo un impossibile sogno? È soltanto un’illusione?
Torniamo ora nel nostro concreto quotidiano, dove esperimentiamo un’altra realtà. Qui, viviamo l’ingiustizia nelle forme più diverse, in noi stessi e nel contesto in cui viviamo. Nel nostro impegno per la giustizia siamo sfidati a protestare, conseguenti e creativi e a chiamare a confronto Stati corrotti, Banche e Imprese a piccolo e grande livello. Persino grandi Religioni e Chiese, con le loro interne oppressioni, come noi tutti sappiamo e, in parte, personalmente sperimentiamo, non ne sono escluse. Esse stimolano o appoggiano sovente guerre, abusi sessuali, e autoritarismo patriarcale. Nel nostro cuore sappiamo di essere chiamati ad una solidarietà significativa con i poveri e gli esclusi aderendo a tutte le insicurezze e le fragilità che sono loro proprie.
La Pentecoste è per noi oggi “pericolosa” perché è un invito a qualcosa di “nuovo”. Per quel che voglia significare per ognuno/a di noi, questo “nuovo” ha sovente a che vedere con paure, incertezze ed insicurezze.
Lo Spirito ci invita a nuove possibilità, nuovi orizzonti, con la prontezza ad assumerne rischi.
Io non posso parlare per voi. Quello che so è che per me questo non è facile.
Fui educata al: “Tutto ha una risposta”.
Ed invece è del tutto difficile e dubbioso nel nostro mondo così assetato di
sicurezze, lasciar maturare una risposta o lasciarla sgorgare dal vissuto.
Trovo molto interessante la nostra epoca, chiamati “to live at the cutting edge”. Siamo davvero molto diversi dagli Apostoli che furono accusati di essere beoni e di vino nuovo?
Normalmente ci riesce di cercare e identificare donne e uomini che necessitano del nostro aiuto, che sono esclusi o sprovveduti a volte con violenza e oppressione.
La nuova proposta è: “In ogni circostanza della vita favorire relazioni u-mane libere da paternalismo”.
Siamo capaci di resistere con donne e uomini che sono delusi dalla Politica, dalla Economia e dalla Religione? Siamo capaci di resistere con loro in questo tempo di non-speranza? Siamo capaci di trovare insieme a loro una via d’uscita? Siamo sfidati ad escludere Frammentazione e Dualismo nelle nostre relazioni umane ed incoraggiati a guardare la vita nel suo senso più pieno?
Lasciatemi concludere con un racconto che simbolizza bene ciò che voglio dire. Ne facciamo sovente l’esperienza nella nostra vita e bisognerà pure viverne il proseguimento.
È il racconto di una pulce che abita con la sua famiglia sul dorso di un elefante. Vivono lì già da diverse generazioni. Tutto è abbastanza conosciuto ed essa si trova bene a suo agio. Conosce ogni pelo e piega della pelle e sa bene di dover fare molta attenzione quando l’elefante suda. Allora le pieghe della pelle si riempiono d’acqua e diventano ruscelli scivolosi. Un bel giorno la piccola pulce, per una disattenzione, scivola giù dal dorso dell’elefante. Dal suolo, ora, la piccola pulce vede per la prima volta della sua vita tutto l’elefante e si accorge che esso è ben piú che soltanto il suo dorso. Lo vede in tutta la sua dimensione ed esistenza.
È nel guardare il grande Insieme, che noi incontriamo questo Dio che, è sì nelle nostre immaginazioni e che sempre di più è al di sopra e al di fuori di tutte le nostre immaginazioni, compreso le religiose.
Dio, l’Eterno altro! Lui che sempre ci guida verso nuovi Orizzonti.
VANGELO DI LUCA 24,13-32
Omelia del giovane PO francese Maurice Bubendorff
Ecco un testo che noi conosciamo bene: esso guida la nostra preghiera, la nostra celebrazione in questo mattino di Pentecoste. In cammino, in cerca di significato, Cleofa e il suo compagno di cui non si sa il nome, rientrano… L’avventura sulle strade e i percorsi della Palestina con il Nazareno è finita per loro. Non è stato altro che una parentesi nella loro vita, ma quale parentesi! Li ha segnati; ora sta tutto per finire. Bisogna riprendere la vita ordinaria, quella prima dell’incontro con il Nazareno, le preoccupazioni quotidiane, riprendere il lavoro per vivere e per cavarsela, rituffan-dosi nel tran-tran quotidiano.
E questo vale per tutti quelli che noi incontriamo lungo le nostre giornate, coloro con i quali condividiamo la nostra vita, i colleghi di lavoro… È la vita ordinaria della gente: tutti i giorni, questa vita, noi la incontriamo e l’accogliamo. Quella dei compagni di lavoro o dei pensionati, quella dei vicini e delle persone più umili dei nostri quartieri, dei nostri amici e di tutti quelli con i quali siamo in contatto, i militanti delle associazioni e dei sindacati, di quelli impegnati in politica.
– È quella di Caterina e Benedetto con la nascita di Nicola, il loro primo figlio.
– È quella di Emanuele che vuole contattare l’ispettorato del lavoro perché le condizioni di lavoro della sua ditta sono pericolose.
– È quella di Francesca che non sa ancora se il suo contratto di lavoro, malgrado le promesse orali, verrà rinnovato.
– Le preoccupazioni della salute per alcuni, per i figli e parenti per altri.
Si potrebbe continuare con questa lista, come una litania che non finisce mai con tutto quello che le persone si portano con sè e che fa loro dire: “Ma che cosa ho fatto al buon Dio per meritarmi ciò?”.
Questa vita, è vero, è spesso dura, ma nello stesso tempo è anche bella. E questa vita noi la condividiamo. Questa condivisione è costitutiva del nostro ministero di PO a causa del Vangelo e dell’incarnazione del nostro Dio. Perché il Vangelo sia assicurato ai lavoratori noi camminiamo con loro, condividiamo la loro vita, i loro dubbi e le loro speranze ed anche la loro ricerca del Dio di Gesù Cristo.
I due discepoli fanno l’esperienza dell’incontro con il Risuscitato. Questa esperienza la facciamo pure noi come i due discepoli di Emmaus nella frazione del pane, corpo di Cristo, che è donato ed offerto per tutti, perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Ogni volta che facciamo memoria dell’ultima cena di Gesù, del senso che egli dà alla sua passione per la nostra umanità. Nello stesso tempo noi l’accogliamo nella vita di quelli che incontriamo, di quelli ai quali noi siamo inviati, di quelli con i quali camminiamo. Noi vediamo dei segni, delle tracce della sua presenza e del suo passaggio quando uomini e donne si mettono e si rimettono in piedi, quando si ribellano alla fatalità, quando fanno opera di giustizia, quando inventano nuovi percorsi di condivisione e solidarietà, quando fanno spazio ai piccoli, allo straniero e ai “senza diritti”.
Noi colleghiamo ciò alla parola di Cristo nel Vangelo: “Ogni volta che farete questo a loro, lo avrete fatto a me”.
Tutta questa vita, questi volti, queste situazioni, gli scarti e i rifiuti di questa umanità, noi li offriamo a Dio quando presentiamo il pane e il vino nella messa, i frutti di un duro lavoro; quando noi eleviamo il calice, esso è pieno di questa vita, di incontri di solidarietà, di amicizia con i compagni di lavoro: esso è pieno dei nostri sforzi di giustizia e di pace, di costruzione di un mondo secondo il cuore di Dio.
Per questo noi gridiamo: “Rimani con noi, o Signore, perché si fa sera, e noi abbiamo molto da fare…”. E noi lo riconosciamo nel segno del pane condiviso, noi lo riconosciamo nel segno della vita condivisa dei credenti, degli uomini, della vita donata ed offerta per gli altri, qualunque siano le nostre vite e di chi noi incontriamo e con chi noi facciamo il pezzo di strada.
Il nostro ministero di presenza, di condivisione, di annuncio del Vangelo si radica ed ha la sua sorgente nell’ultima cena di Gesù, prima della Pasqua. Gesù rivela loro il suo comandamento nuovo: “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete l’un l’altro”. Lo Spirito di Dio accolto dai primi credenti, uomini e donne, lo Spirito che noi accogliamo oggi, in questo giorno di Pentecoste, questo Spirito vuole fare di noi i testimoni della lieta notizia del Vangelo. Nelle nostre chiese locali, con gli altri, abbiamo a cuore di esprimere la speranza del Vangelo che Dio vuole proporre per sempre a tutti gli esseri umani.
Preti al servizio di un popolo riunito e di un popolo da riunire. Il nostro ministero di presenza, di condivisione, di annuncio, ci trascina su percorsi nuovi: ricordare la grandezza del quotidiano nel quale Dio ha voluto incarnarsi, prendere corpo, divenire uno di noi, riunendosi a noi.
Non siamo degli esseri abbandonati da Dio, noi amiamo un Dio che è un vero Padre, che vuole fare di noi i suoi figli, salvarci. Attorno a noi, molti ancora non lo sanno e non lo sperano più. Chi glielo dirà? Chi testimonierà?
Il nostro mondo è come noi lo vogliamo. Nulla è di troppo in questo nostro cantiere del mondo per ricevere Dio e per trasformarlo con la forza dello Spirito. Dobbiamo impegnarci perché i cristiani divengano più solidali con gli oppressi e perché i segni del Regno siano dati a tutto il popolo di Dio. Il Vangelo è nelle nostre mani, nelle mani dei credenti. Sta a noi viverlo perché sia la buona notizia offerta a tutti.