
Incontro PO italiani ed amici
Viareggio, 20-21 aprile 2002
Il mio intervento non vuole essere un giudizio sulle esperienze che sono emerse in assemblea sul tema dell’ultimum nella sua forza e debolezza, ma una precisazione di campo.
Devo dire la verità, mi sento a disagio di fronte a quello che è emerso, perché mi aspettavo qualcosa di più preciso che riguarda l’esperienza dei PO anche nel suo insieme, ed invece siamo scivolati sul personale e sul misticismo. Non ho niente contro questi aspetti, ma trovo altri gruppi che rispondono a queste attese. Personalmente mi trovo con un gruppo di preti e laici che vivono con gli emarginati (carcerati, barboni, drogati, handicappati, minori in difficoltà, malati terminali…) che si interroga sull’ultimum sia nella dimensione della fame (costrizione cui sono sottoposti i poveri), sia nella dimensione della meraviglia che ti cambia.
Il Cristo stesso, incontrando i poveri, è “costretto” a recuperarli, ed è anche meravigliato dalla fede della gente tanto da cambiare dimensione come nel caso della Cananea od accettare di diventare immondo al tocco della emorroissa e della peccatrice pentita.
La domanda che ci poniamo non è generica ma specifica: come ci lasciamo interrogare dall’ultimum nella situazione di PO Mi sembra che sia problematico in questo momento lo “stare” nella situazione di PO; tanti sono andati in pensione o sono ritornati in parrocchia, sono stanchi, hanno altri interessi… non ci sono più con la “testa” e con il cuore. È stata una stagione, una bella esperienza, ma la vita continua altrove. È essenziale stare con la testa ed il cuore al confine tra classe operaia e chiesa, accettare questa contaminazione oltre lo stato, l’età, i nuovi impegni, la parrocchia…
La Chiesa pensa di aver scavalcato questo confine (dopo la caduta del Muro) senza pagarne il prezzo, anzi diventando paladina della democrazia e del bene sociale con la sua dottrina sociale esportata anche all’est europeo. Il confine per noi è sempre stato scomodo anche se apre spazi di libertà e dignità personale e collettiva.
Il confine ora ci presenta i nuovi meccanismi di schiavitù. la ristrutturazione del capitalismo, il mercato globale come valore autonomo, il profitto come unica legge e la precarietà e mobilità dei lavoratori, il tutto supportato da legislazioni di una “controriforma” che cancella i diritti delle persone in funzione di una flessibilità dove non è più possibile costruire storie personali e di generazione. Su questo campo i PO hanno il supporto di analisi, militanze di movimenti, pratiche sociali e politiche territoriali e globali critiche di fronte a questo tipo di globalizzazione.
Nell’ambito del confine chiesa troviamo invece la palude. Pochissime sono le voci che mettono a nudo il vuoto della chiesa oggi: l’annuncio ridotto a catechismo, la spiritualità a devozionismo o rito, il Mistero ridotto a miracolo, la testimonianza ridotta a propaganda. Con il pretesto dell’incarnazione la chiesa ha la presunzione di avere ricette per il sociale e politico; questa la legittima a chiedere spazi di gestione di “cose cristiane” o cattoliche: scuole cattoliche, insegnanti di religione in ruolo, riconoscimento del ruolo sociale del clero con l’8‰ e poi gli oratori, i centri culturali, le associazioni sociali e sportive, perfino il turismo religioso… La chiesa è diventata un’agenzia sociale benefica, ma quanto c’è di appropriazione privata di bene pubblico? Tutto viene giustificato con il principio di sussidiarietà che, se applicato alle istituzioni pubbliche, ha un suo valore perché, in ultimo, le istituzioni pubbliche sono le garanti del bene comune dei cittadini.
Dalla finestra di PO noi vediamo tutto questo, eppure siamo silenti; sembra che il pensiero unico ecclesiastico ci abbia preso; non proviamo più scandalo per il tradimento del Vangelo, pur sapendo che nessuno è puro.
Non sono d’accordo con Gianni Chiesa che attribuisce la fine dei PO alla mancata “istituzionalizzazione”; per me il problema non è la fine, ma il silenzio della profezia, di una voce che poteva essere solo nostra dentro questa chiesa, che io chiamerei “storicizzazione” del carisma.
In questo stare al confine tra le due realtà dovrebbe anche scaturire una nostra spiritualità che tenta di coniugare la laicità intesa come maturità umana fatta di autonomia, coscienza e responsabilità e l’incontro con il Mistero nella esperienza di Cristo. Apprezzo l’esperienza del gruppo PO della Lombardia che tenta una comunicazione su questo tema con una ricchezza di contenuti. Ed abbiamo anche dei maestri che hanno pagato prezzi altissimi (li abbiamo citati nella lettera di convocazione di questo incontro) che sono stati davanti a Dio senza dio.
Termino col dire che tacere quello che dovevamo dire è tradire ed essere già morti come PO italiani, anche se può rimanere la ricchezza delle singole esperienze.