Sguardi dalla stiva
Lo scorso dicembre si pensava di organizzare qualcosa, in cartiera, nel trentesimo anniversario dell’occupazione della storica fabbrica. Un convegno-dibattito, qualche striscione, una simbolica assemblea con la partecipazione dei testimoni dell’epoca per ricordare cosa ha significato la cartiera per San Giovanni Lupatoto e dintorni. Non è stato possibile perché, in dicembre, la cartiera è stata rasa al suolo. Quello che non avevano fatto le bombe dell’ultima guerra l’hanno fatto le ruspe.
Adesso siamo qui, intontiti, imbambolati, malinconici a piangere sui muri che cadono e, ancora increduli, a chiederci cosa dovevamo fare e perché non l’abbiamo fatto, cosa dovevamo dire e perché non l’abbiamo detto. Eppure, trent’anni fa, ci sembrava di aver fatto quel che si doveva. Alla minaccia di duecento licenziamenti su seicento dipendenti, reagimmo occupando la fabbrica, con l’originale definizione di “assemblea permanente”, di nostra invenzione, diventata negli anni successivi uno slogan per molte altre situazioni simili.
Un solo voto contrario in assemblea, quindi praticamente tutti d’accordo. La solidarietà della gente era sincera. La tenda piazzata per oltre un mese in piazza Bra dimostrava ogni giorno quanto alto fosse l’interesse verso il nostro problema. Si mosse perfino il vescovo di Verona, celebrando la Messa di Natale in fabbrica. Per quei tempi un gesto assolutamente rivoluzionario. Dopo 47 giorni, il ritorno al lavoro sembrò una vittoria perché i licenziamenti erano stati in gran parte ritirati.
Ma c’è un ma: ci si dimenticò infatti di contare quelli che se n’erano andati per conto proprio durante il periodo di occupazione ed erano i più giovani oppure i più specializzati, cioè gente che riusciva abbastanza agevolmente a trovarsi un altro lavoro.
Da allora cominciò il declino e gli anni che seguirono furono un lungo alternarsi di amministrazioni controllate, fallimenti, battaglie legali. Si assistette ad uno squallido andirivieni di salvatori-della-patria, di speculatori, di industriali senza industrie e finanzieri senza soldi. Fino all’ultimo atto della speculazione edilizia, tipico obiettivo dei moderni “imprenditori”. Come contorno, una classe politica da dimenticare.
Nel frattempo si è venduto tutto quello che si poteva. Marchi e brevetti, che avevano fatto conoscere la Saifecs al mondo e che erano stati l’orgoglio dei molti che avevano contribuito ad inventarli e lanciarli, furono venduti a società allora sconosciute e che adesso, con quei marchi e quei brevetti, sono diventate grosse realtà a livello internazionale. Fino all’anno scorso, veniva venduto col marchio Saifecs un cartone prodotto in Austria.
Se a S. Giovanni Lupatoto si fosse fatto avanti un imprenditore vero, di quelli che hanno voglia di lavorare, se gli amministratori comunali fossero stati meno imbelli, se… No, basta. I “se” ormai non servono più. Adesso bisogna ragionare sul futuro. E il futuro è ancora in discussione. I giornali parlano di “braccio di ferro” tra la proprietà e il Comune. I proprietari hanno fretta di costruire per realizzare i loro guadagni e in Comune stanno ancora discutendo sulle scelte da fare.
Intanto qualcuno si è ricordato che il terreno potrebbe essere inquinato dai residui delle vecchie lavorazioni e il quotidiano “L’Arena” informa che “il Comune conferma di aver informato l’impresa incaricata della demolizione, prescrivendo di svolgere analisi dei terreni per accertare eventuali rischi di inquinamento per la falda acquifera sotterranea”. Se il posto non è inquinato da sostanze chimiche, lo è certamente dalle imprecazioni degli operai che nel tempo hanno lottato per difendere i propri diritti.
Eravamo in sei, il giorno di Natale, sulle macerie. A ricordare quel Natale di trent’anni fa e a recitare una vecchia poesia: “C’è troppo silenzio oggi in cartiera”.
Sì, c’è troppo silenzio davvero. Un silenzio che prende alla gola. Infatti, tra le centinaia di persone che ogni giorno passano da quelle parti, ogni tanto se ne scorge una che si asciuga gli occhi col fazzoletto. È proprio vero che l’inverno gioca brutti scherzi.
C’è troppo silenzio oggi in cartiera
C’è troppo silenzio
oggi in cartiera.
Anzi,
non c’è più la cartiera.
Ruspe immonde
massacrarono tutto.
La Fabbricazione,
con la voce ancora viva
di Mario cilindraio
dalle magiche mani;
l’Allestimento,
con il sorriso della Gioconda;
la Pesa,
con le canzoni di Remo e Gebo;
il Magazzino Prodotti,
parlamento popolare
di pratica politica;
e gli altri tutti,
in un coro senza maestro,
con gli scherzi di Giandomenico
e le belle cante delle donne
a sognare.
Con i gatti del Tasca
a caccia sotto i bancali
e la cartaccia a volare col vento.
Le bombe alleate
l’avevano risparmiata
fermandosi
a Porto San Pancrazio.
Ma le ruspe no.
Quelle si fermano
solo alla fine.
Sindaci imbelli
e assessori d’ingordigia sozzi
passarono illudendo
e subito scomparvero
sepolti nel potere.
Di loro inutile parlare.
I tribunali della memoria
soli diranno il vero.
Il giorno di Natale,
trent’anni dopo,
soltanto in sei a ricordare
tra le macerie.
Angeli sperduti.
Come il Pastore di Verona,
quella volta,
con noi insieme
a tremare.
Di freddo e di coraggio.
C’è troppo silenzio
oggi in cartiera.