IL SOLCO DELL’ARATRO
Incontro nazionale PO e amici / Viareggio, 2-4 maggio 2003
Molte volte ci è stata data l’opportunità di parlare del nostro vissuto. Dopo trent’anni di lavoro artigiano credo sia importante rimettere insieme i pezzi di questi anni, come in un mosaico, o meglio in un intarsio, perché emerga il disegno.
Ho iniziato nel 1972 a lavorare a Milano, e dal 1975 come artigiano a Roma. I primi anni da falegname non facevo che porte, finestre, cucine, armadi, su e giù per i condomini di periferia o nelle case del centro storico di Roma.
Dal ’97 sono rientrato a Bergamo e da tre anni non sono più in grado di sopportare simili lavori perché anche solo piallare e scartavetrare a lungo mi crea problemi alla schiena. Per questo motivo ho optato per l’intarsio, un lavoro che combina la manualità con l’arte, la poesia e il lavoro contemplativo. Rompere quel ritmo e quel tipo di lavoro che mi ha accompagnato per decenni è stato vissuto come un atto di violenza e ho faticato molto a ritrovare un altro equilibrio. Lasciata quella strada, non più praticabile, si è aperta quest’altra possibilità, coltivata e tenuta in dispensa per molti anni tra i tanti progetti da tirar fuori al momento opportuno.
Qualche anno fa sono andato a Madrid per l’incontro dei PO europei e nella visita all’Escorial ho avuto come un’illuminazione, vedendo tutte quelle porte intarsiate. Conservo ancora il mio primo lavoro realizzato in seguito a quel colpo di fulmine. La prima cosa che faccio quando intendo realizzare un intarsio né prendere un disegno lasciandolo sul tavolo in osservazione per alcuni giorni. È il momento questo della interiorizzazione dell’opera per dargli un cuore ed un’anima, mettendomi in sintonia con lui. Quando è il momento passo alla scelta dei legni con tutte le sue sfumature e gradazioni di colori, tonalità e venature. Non utilizzo legni tinti, preferisco quelli naturali che danno al quadro un tono molto caldo. Premetto che non realizzo disegni proposti da altri, a meno che non siano in sintonia con quello che sento. Sono contento ora di questo lavoro, mi dà soddisfazione e mi sento più libero, non soggetto a scadenze o a lavori imposti da altri e soprattutto mi sento padrone del mio tempo.
Non avendo un introito fisso e garantito ho dovuto scegliere uno stile di vita più semplice ed essenziale, vivendo alla giornata, nella cosiddetta economia di sussistenza come fa l’80% dell’umanità, che non ha la certezza di arrivare alla fine del mese. Questo non è un dramma non avendo una famiglia da mantenere per cui mi ritengo ancora fortunato. Questo modo di essere mi fa scoprire il gusto delle piccole cose, il gusto dei piccoli lavoretti che molte volte insegno a coloro che frequentano l’eremo, come il restaurare mobili e il creare piccole cose in legno che servono in casa. È una grande gioia poter trasmettere questo tipo di manualità che sta diventando sempre più rara e dopo tutto fa pure bene alla salute di chi si sente stressato dalla vita.
Da due anni ho ritrovato il gusto nel preparare il pane fatto in casa, per offrirlo agli amici, raccogliere le erbe nei prati, preparare la legna per l’inverno risparmiando così sul costo del gas da riscaldamento. Da quest’anno finalmente ho iniziato la coltivazione di un piccolo orto pensile, che mi permette di non abbassarmi tanto mentre lo coltivo.
Come sapete, io vivo in un eremo: non vivo proprio da eremita, anche se c’è molto tempo per il silenzio. È frequentato da diverse persone in cerca di uno spazio per ricaricarsi, visto lo stress che la vita di oggi comporta. A coloro che chiedono ospitalità vengono proposte giornate scandite dal silenzio, lavoro, preghiera, studio, lettura, riposo e passeggiate nei boschi.
Da parte mia continuo il mio lavoro di falegname-intarsiatore con gli orari soliti, dalle otto alle diciassette, tolta la pausa del pranzo. L’eremo è un buon luogo di osservazione per capire quello che sta avvenendo in quanto coloro che passano spesso sono impegnati in movimenti, gruppi (sociali, politici e religiosi), ed anche molti “cani sciolti” delusi dalle diverse organizzazioni sociali e soprattutto parrocchiali o persone che sono in procinto di fare passi concreti e significativi nella loro vita o in crisi e in conflitto con se stessi e i compagni dalla loro vita.
Fuori dall’orario di lavoro dedico molto del mio tempo all’ascolto di queste storie, non per dare delle risposte: molte volte non si hanno delle risposte e non si devono dare risposte, è sufficiente essere disponibili data la scarsità di luoghi e persone disposte ad ascoltare. L’ascolto è una terapia che funziona e dà ottimi risultati perché c’è tanta solitudine oggi. Questa è la mia vita quotidiana che non ha grandi prospettive, si accontenta delle piccole cose.
Quale futuro? Da alcuni anni ho smesso di pensarci anche perché bisogna fare i conti con le forze che si hanno e il futuro non è altro che il presente vissuto intensamente. Mi sforzo di viverlo in una maniera nonviolenta.
La società in cui viviamo vive nella paura e il tipo di sviluppo ci ha portato alla violenza, si corre continuamente guardando sempre avanti. Mentre si sta facendo una cosa, si pensa a quella che viene dopo e questo crea ansia. È un camminare guardando oltre senza accorgersi di quello che si ha sotto i piedi o in parte.
Mi viene in mente la parabola del Samaritano, l’unico che ha notato il ferito sul ciglio della strada mentre gli altri avevano fretta di giungere alla loro meta. Porre attenzione al presente è vivere con consapevolezza, è dare importanza ai gesti, che sono tutti collegati ed hanno tutti la loro importanza. Nel mio lavoro d’intarsio anche il più piccolo pezzettino di legno ha una sua collocazione e serve da raccordo ai grandi pezzi, anzi è quello che sottolinea le sfumature e dà un tono a tutto l’insieme, può servire da porta, finestra, occhio. Senza questi piccoli pezzetti il tutto risulterebbe molto piatto.
Datemi un punto e solleverò il mondo, diceva Galilei, questo lo applico ad ogni piccola cosa e gesto quotidiano. Chiamo questo modo di essere il “siamo già arrivati”. Comprendere che siamo già arrivati, che non c’è bisogno di andare in un altro posto, che siamo già qui, può essere fonte di gioia e di pace.
Durante le ferie, mentre risalivo in macchina da Roma verso il Nord, i primi anni prendevo l’autostrada: avevo durante il percorso l’idea fissa delle ore 11,45 di un campanile vicino a Brescia. Là dovevo essere a quell’ora per poter giungere puntuale alle 12,30 a casa dei miei. È stato così per anni. Ad un certo punto ho deciso di non percorrere l’autostrada e iniziai a frequentare le strade statali per meglio vedere e gustare il paesaggio. In questo modo giungevo alle 16,00. Durante il percorso notavo dei paesi interessanti da vedere, osservandoli solo dalla strada e dicevo: “la prossima volta mi fermo a guardarli”…
È stato così per anni. Alla fine ho voluto prendermi tutte le soddisfazioni possibili e ho detto. “non ci sarà una prossima volta”. Decisi di fermarmi in quei luoghi che trovavo belli dal punto di vista paesaggistico ed artistico. Il viaggio si concludeva sulla sera, ma molto arricchente, mi sentivo padrone del tempo.
Uno dei punti di riferimento della mia vita è il vivere in maniera nonviolenta, che non è il semplice opporsi alla guerra ma un costruire un atteggiamento, uno stile di vita. È l’unica arma che mi è rimasta nella situazione attuale che ha fatto della violenza il suo modo di essere. Per poter esistere ogni potere si impone con la forza calpestando i diritti di tutti gli altri. Imporsi con la forza penso sia un segno di debolezza e di crisi.
Per questo sono anche ottimista di fronte a tutti questi nuovi fermenti che stanno nascendo a livello mondiale. Il potere che ha molti nomi è diventato più cattivo, e più aggressivo perché sa di essere attaccato. L’albero rigoglioso cresciuto in questi decenni con fatica e sacrificio da parte di milioni di persone, che rappresenta una vita più umana con i suoi diritti fondamentali, sembra stia perdendo le sue foglie una ad una, sotto i colpi di questi grossi organismi che stipulano trattati commerciali ed economici, a discapito della maggior parte della popolazione mondiale, soprattutto quella più esposta. Ma queste foglie morte anche se sembrano destinate a marcire, sono fonte di nuova energia. Le foglie sono figlie della pianta, ma sono anche madre della pianta, perché diventano concime e danno energie nuove per una nuova primavera.