IL SOLCO DELL’ARATRO
Incontro nazionale PO e amici / Viareggio, 2-4 maggio 2003
Presentazione dell’incontro
Sto con tutti e sono di nessuno.
Se mi apparto non sono cristiano;
se non soffro insieme a tutti, non sono cristiano;
se non vivo la storia che passa non sono cristiano.
Chi diserta non si salva.
Se cerco di giustificarmi, col Vangelo,
di non amare il mio tempo
e di non patire per la sua salvezza,
so che bestemmio il Vangelo.
Nessuno può rimandare a domani quando è l’ora:
e questa è l’ora”.
(Mazzolari, Tempo di credere, 1941)
Dal 2 al 4 maggio 2003 una sessantina di persone, tra PO e amici, si sono incontrati presso il capannone di via Virgilio a Viareggio. Ognuno con grande libertà ha potuto raccontare la sua storia attuale, dopo averla riletta e ripensata, senza volerla riscrivere diversa da quella che è stata: ed è emerso che quello che siamo oggi è frutto di una scelta originale che ha radicalmente cambiato il percorso della nostra vita, ma è soprattutto frutto di una fedeltà a quella scelta.
Raccontare di noi è stato un tutt’uno col raccontare degli amici, donne e uomini che sono entrati a far parte della nostra compagnia, perché insieme, più o meno consapevolmente, abbiamo vissuto un’unica vita, o almeno una comunità di vita, nonostante le differenze e lontananze delle vicende personali.
Ognuno di noi non è che un brevissimo segmento della lunghissima linea della vita e spesso anche anello di una terribile catena.
Lo spazio di una vita è sempre ristretto e soffocante, se non è dilatato oltre ogni misura nella vastità e creatività di cui è capace. Vivere il concreto, spesso tanto banale e impietoso, proiettandone le immagini di vita vissuta sul grande schermo dell’esistenza, fa apparire questo vivere umano quotidiano come “l’acqua di fiume quando sfocia nella vastità dell’Oceano”.
Ci ricordiamo tutti la frase del nostro carissimo Sirio: “Chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre per tutta la terra”.
La vita vissuta, fatta di date, di cronaca quotidiana, di avvenimenti e vicende, non è l’unica vita che potevamo vivere, perché il vivere è umano nella misura in cui le sue dimensioni di spazio e di tempo non sono unicamente riscontrabili nel vivere quotidiano o nella brevità della storia. Tutto dipende dalle scelte secondo le quali si vive: puoi ampliare continuamente il corso del fiume oppure farlo concludere in uno stagno. La nostra vita, la nostra storia è sì quella realizzata a seguito delle scelte fatte: ma è anche quella non ancora vissuta.
Le identità emerse dai racconti che ci siamo scambiati mi sono sembrate come una grande ‘totalità’: dove il quotidiano trova sempre ali per volare nello spazio senza orizzonti, e dove l’urtare impietoso contro i muri del ‘fine corsa’ storici è nello stesso tempo un voler andare ‘oltre’.
È stato come un fare sosta per riprendere fiato, riscaldandoci attorno allo stesso braciere, mentre risuonavano dentro di noi i racconti dei nostri ‘sogni’ antichi e nuovi.
Un ricordo. Sono ancora piccolo: è il tramonto e vedo mia madre seduta fuori dalla porta di casa mentre agita con un gesto continuo ma non violento un fiasco colmo di fresco latte. Lentamente da quel paziente agitare prende forma un sostanzioso blocco di gustoso burro.
In questi mesi, lasciando agitare in me quei tanti racconti, ho visto emergere la “sostanza buona” che ha sostenuto la nostra paziente fedeltà mentre tracciavamo il lungo solco delle nostre differenti parabole.