Pensare Dio nel nuovo disordine mondiale
PARLARE DI DIO E PREGARLO
IN QUESTA TERRA SEMPRE PIÙ STRANIERA?
Noterella previa sul linguaggio: avrei dovuto distinguere credere – fede – religione e religioni, ma nel tentativo di semplificare, in queste pagine utilizzo il termine più generico religione, il cui significato più preciso può essere colto di volta in volta.
LO SFONDO, CIOÈ LA REALTÀ COMPLESSIVA CON CUI DEVO FARE I CONTI
1. Non solo secondo me, la realtà del pianeta oggi può essere sintetizzata in cifre in modo molto eloquente:
250 – 80 – 12.
Tre numeri che corrispondono a milioni di bambini sul pianeta terra …E se solo provassimo ad immaginare le conseguenze di questi tre spaventosi numeri…
– 250 milioni sono i bambini costretti a lavorare, invece di giocare e di andare a scuola insieme con altri bambini
– 80 milioni sono i bambini che vengono usati come giocattoli sessuali nei vari mercati della prostituzione / pedofilia
– 12 milioni sono i bambini che ogni anno muoiono in seguito a malattie curabilissime.
Si potrebbero fare sintesi in cifre più complessive; per esempio, utile sarebbe fare una ricerca per contare quanti sono ogni anno sul pianeta
– i morti ammazzati dalle guerre
– i morti ammazzati dalla fame e/o dalla malnutrizione
– i morti ammazzati dal lavoro, o meglio: dallo sfruttamento capitalistico della forza lavoro.
Numeri che possono parzialmente dire la gravità della situazione a cui l’umanità è giunta. Parzialmente, perché non possono dire quali sono le cause. Tanto meno dicono che ciascuno di noi c’entra con questi numeri, che non c’è neutralità possibile: ciò di cui mi vesto, mi nutro (corpo e mente), di cui mi allieto… gronda il sangue di chissà quanti morti ammazzati; o semplicemente sfruttati – spremuti – schiacciati… così che io possa vestirmi, nutrirmi, allietarmi a costi per me vantaggiosi…
Ed è ormai è chiaro: le previsioni per i prossimi anni tendono al peggio (da quanti anni ormai…?): questi numeri cresceranno sempre più; e di pari passo, la nostra responsabilità riguardo a quello che indicano…
2. Il fatto è che l’evoluzione del sistema generato dal modo di produzione capitalistico ci ha portati fin qua, cioè sull’orlo dell’abisso: il capitalismo ha funzionato “bene” (si fa per dire: basterebbe andare a vedere i guai irreparabili che ha provocato nella fase dell’accumulazione primaria, a partire dal XVI secolo) fin quando la popolazione mondiale è arrivata a 2 miliardi; da lì in poi ha cominciato a perdere colpi: o la popolazione del pianeta si riduce di almeno un paio di miliardi, oppure il sistema capitalistico non regge (riassumo così le conclusioni del “Rapporto Lugano”, un saggio lucidissimo di Susan George). Per questo, ormai, la guerra ci viene offerta come prospettiva “normale” dall’11 settembre 2001 in poi; o meglio, per questo è successo l’11 settembre; per questo dal 1991 in qua (prima guerra contro l’Iraq) la guerra è diventata parte integrante della vita umana (umana???) sul pianeta terra.
Si potrebbe aggiungere anche: per questo stanno progressivamente saltando una serie di conquiste di libertà (sia pure molto spesso più formali che reali – si rilegga Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) dei secoli passati, consolidatesi proprio con l’affermarsi del sistema capitalista nei paesi cosiddetti sviluppati: così parole come democrazia, informazione, partecipazione, istruzione, ecc. si stanno sempre più svuotando del loro significato originario e riempiendo di menzogna: mai come oggi è così vero che la verdad es lo contrario…
3. In opposizione a questo degrado – complessivo e forse anche irreparabile – del sistema su cui viviamo, sia al suo interno che ai suoi margini, sta però avvenendo un’evoluzione dell’essere umano a partire dalla sua componente femminile, che permette di sognare un futuro in avanti della vita sul pianeta: dovunque si creano condizioni di vita minimamente umane, cresce una minoranza di donne e di uomini dotati di una coscienza di sé e della vita umana in generale che li innalza ad un’opposizione sempre più lucida con lo sviluppo capitalistico imposto…
Certo, questa opposizione ha bisogno di tempi lunghi per diventare determinante; e nel frattempo rischia di essere soffocata (non a caso nei decenni passati alcune generazioni di giovani potenzialmente ribelli sono state distrutte dalla diffusione delle droghe…). Ma forse si può intravedere già ora un nuovo futuro per la vita sul pianeta; certo, non sappiamo quando fiorirà, ma… C’è un nuovo che si sta preparando a nascere: “Ecco, io sto per fare una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Isaia 43,19).
4. Ottimismo storico ormai superato, il mio? Può darsi, purtroppo: anche perché mi pare che mai come ora si è giunti a percepire che non solo l’umanità, ma il pianeta stesso si trova a rischio di collasso; mai come ora è stata così chiara la percezione della gravità delle scelte che si impongono per garantire un futuro non solo all’umanità, ma alla vita stessa del pianeta.
A questo ottimismo a lunga scadenza, comunque, io non riesco a rinunciare, almeno per ora… per fortuna mia.
DENTRO QUESTO QUADRO COM’È POSSIBILE PER ME
PREGARE DIO / PARLARE DI DIO?
1. Da mezzo secolo ormai Auschwitz ha posto questa domanda con una gravità impensabile in tutti i secoli precedenti… fino a far concludere a molti: “Dio è morto”.
Di fronte all’esplosione della seconda guerra in Iraq, Giovanni Paolo II è arrivato a dire: “Dio si ritira inorridito nel silenzio”…
In sintonia con Elie Wiesel, io preferirei parlare di un Dio che è tra i morti ammazzati, gli schiacciati e gli sfruttati (avendo chiaro che saranno poi loro i nostri giudici – vedi il giudizio finale secondo Matteo 25); oppure che, se un Dio c’è, è mescolato tra quelli che lottano contro chi schiaccia, sfrutta e uccide…: mescolato nel senso non solo di confuso, nascosto tra loro, e quindi difficilmente distinguibile da loro; ma forse anche nel senso che fa parte dell’impasto capace di generare coloro che lottano…
2. Certo è che la domanda “ma Dio dov’è? perché non fa niente?” è sconvolgente… e che con questa domanda tutti, o prima o poi, dobbiamo fare i conti (vedi Gesù in croce; ma vedi, secoli prima, Giobbe).
Fare i conti, appunto… io posso dire che la mia crescita personale – nel corso di tutti questi anni, a partire dall’adolescenza – è avvenuta proprio perché ho accettato di fare e rifare i conti chissà quante volte.
Tento un primo schematico elenco: ripercorrendo al volo il mio percorso, posso dire che quella domanda me la sono dovuta porre di fronte a:
– all’uso tremendo della religione che l’imperatore e i suoi servi fanno – e da sempre
– all’abuso di potere delle caste sacerdotali, che – di norma in seguito all’alleanza con l’imperatore – si sono arrogato il diritto di decidere e di imporre a tutti cos’è bene cos’è male
– all’ignoranza in materia, in cui le classi sociali più basse sono lasciate: l’unico loro spazio è quello della devozione
– alla passività in cui i singoli credenti sono tenuti di fronte all’ingiustizia sociale (la religione – oppio dei popoli, appunto)
– alla convinzione di superiorità che ciascuna religione crea nei suoi fedeli, rispetto alle altre religioni e ai loro fedeli; ottima occasione, poi, per creare il consenso di massa alle guerre di turno, più o meno sante…
– all’incontro con persone non credenti, eppure profondamente umane…
3. Come conseguenza di questi incontri – scontri, riconosco che nel mio cammino ci sono stati almeno tre punti di svolta importanti:
– circa 30 anni fa, la decisione di vivere (e di proporre) la religione non come certezza a cui aggrapparmi, ma come ricerca (umile e paziente, aggiungerei ora); a costo anche di apparire “eretico”, o addirittura di diventarlo
– circa 15 anni fa, la decisione di cercare una sintesi del credere che non entri in conflitto con quella di altri credenti, a qualunque religione appartengano (la problematica che ha portato Balducci a dire: “Io sono solo un uomo” – è stata importante per me la lettura del suo libretto: “L’uomo planetario”)
– l’accorgermi (in questi ultimi anni) che il non credente emerge anche in me stesso; e il decidere di ricercare se questo non sia uno degli approdi più ricorrenti nella fase conclusiva di ogni vita (vedi ancora Gesù in croce – ma vedi anche le ultime poesie di Davide Turoldo).
4. Che cosa penso – credo oggi, dunque? Molto schematicamente:
– non so se un Dio c’è … (vedi però lo scambio tra Martini e Eco sul Corriere della Sera, alcuni anni fa)
– nessun credente può ritenersi il primo della classe (e questo è il peccato originale dell’ecumenismo ufficiale della Chiesa cattolica)
– in un periodo in cui parliamo del silenzio di Dio, non guasta fare silenzio su Dio… e contemporaneamente cercare di tradurre in un linguaggio universalmente comprensibile i valori profondamente umani contenuti in ogni credere che sia un briciolo serio…
5. In pratica e molto in sintesi, oggi per me:
– pregare Dio? non lo so… sì però all’attingere al pozzo, scendere nel profondo, riconoscere e coltivare il tesoro che c’è in me, ricercare e riconoscere il meglio che c’è in ogni vita…
– parlare di Dio? sì, ma il meno possibile, solo quando proprio mi sembra necessario porre il problema, abbattere i muri di divisione, invitare a superare il rischio dell’oppio
– ricercare, insomma; perché la vita è ricerca; avendo chiaro che il primato va al ricercare come trasformare il pianeta per affermare il diritto egualitario a vivere di ogni persona (e questo me l’ha insegnato Silvana, 16 anni, madre morente – eravamo all’inizio degli anni 70).
CONCLUDENDO
1. Ho iniziato queste pagine usando il linguaggio della proposta fatta ai POL; a questo punto, però, dico che va corretto: lo sfondo diventa necessariamente il quadro; all’interno del quale uno spazio è dedicato non a pregare Dio – parlare di Dio – testimoniare Dio, ma semplicemente (e non è semplice… ed è senz’altro più faticoso…) a ricercare Dio; o forse meglio, ricercare a quale sorgente profonda le nostre radici possono succhiare la linfa vitale…
E anche questo linguaggio prevedo che dovrà essere modificato in corso d’opera … dove l’opera consiste non tanto nel cercare Dio dentro il quadro della storia, ma tendere a modificare il quadro della storia, perché la ricerca su Dio non si riduca a una elucubrazione più o meno elegante (…e blasfema?) di fronte ai poveri della storia; o – per chi vuole essere credente – perché non succeda ancora che Dio si ritiri inorridito nel silenzio…
2. Una lettura recente mi ha aiutato ad esprimere quello che sto pensando – vivendo:
Giovannino, il figlio del partigiano comunista, chiede a Franco, il protagonista del romanzo “La messa dell’uomo disarmato” di Luisito Bianchi:
– Ma tu credi veramente in Dio?
Era facile rispondergli affermativamente. L’abitudine a considerarmi un credente era talmente radicata che, anche in tempi di vuoto profondo, la fede rientrava nell’automatismo con cui mi muovevo. Ma quella domanda, così semplice nella sua formulazione da non consentire risposte evasive, mi turbò. Avevo di fronte un ragazzo che stava aprendosi alla vita e beveva avidamente quanto riusciva a captare di genuino; non si poteva barare con lui, nemmeno con la legittima presunzione d’onestà in cui mi potevo rifugiare, se non volevo che le parole suonassero false prima alle mie orecchie che alle sue. Che potevo dunque rispondergli?
– Non so, gli dissi. – Vorrei credere, ma solo Dio sa se credo.
Nel finale del romanzo, poi, Franco scrive:
Se ora Giovannino mi chiedesse: – Credi in Dio? – gli risponderei: – Non so, – come una volta; – ma credo alla Parola annichilita e risorta per dare un unico senso alla morte e alla vita.
Forse noi non vedremo la nuova terra perché abbiamo mormorato nel deserto presso le acque amare del vecchio mondo: e l’innesto nuovo sul tronco selvatico non dà subito frutti ma attende nella pazienza che si schiuda la misericordia della terra.
E nelle ultimissime righe Franco conclude scrivendo di voler stare
con la mano sulla bocca, come Giobbe dopo la contesa che proclamò la signoria della Parola, in contemplazione di avvenimenti che non capisco ma che ho cominciato a comprendere, meglio, che hanno iniziato a comprendermi, per pura grazia.
3. Confesso: il mio credere mi pare ancora più spoglio e problematico di quello di cui scrive Luisito Bianchi; o forse è inevitabilmente più oltre (in avanti?), perché il suo cammino appartiene ad una generazione che mi precede, sia pure di poco (l’evoluzione della specie, anche qui, mi pare); la Parola – o la grazia di cui lui parla hanno per me un significato così largo da rischiare di diventare indefinibili…
Mi sono però di aiuto, e molto, due persone che fanno parte del breve elenco dei miei maestri:
Teilhard, quando dice che è necessario superare l’immagine di un Dio personale;
Martini, quando introduce la distinzione tra il vivere di fede e il vivere con fede.
Diciamo così: sto cercando chi è Dio, ma ben oltre l’immagine classica che avevo imparato – sperimentato fino a non molti anni fa.
Non mi suona più vero parlare di vivere di fede; e soltanto dando alla parola fede un significato molto largo, posso dire che in me persiste la volontà di ricercare di vivere con fede… con pazienza, umiltà e ostinazione, spero, per i non molti anni che mi restano da percorrere ancora.