Pensare Dio nel nuovo disordine mondiale


 

Lo Spirito vi guiderà alla Verità piena, perché non parla da sé,
ma dirà tutto ciò che ha udito… (Gv. 16,13 )

Mi presento a Voi del collettivo Lombardo dei Preti Operai con passo leggero e con un certo imbarazzo poiché la mia storia di PO si è svolta in altra regione con altre modalità. Il vostro procedere ha portato un’accettazione ed una conoscenza reciproca profonda tanto da essere smaliziati e, nello stesso tempo, prendervi seriamente.
Apprezzo questo collettivo perché riuscite a comunicare non solo le analisi della società e della chiesa dalla posizione di sottocoperta provocando coscienza ed azione, ma anche il vissuto dei sentimenti, del pensiero e della ricerca di fede.
Abbiamo passato lo scorso anno nella stringente analisi dei meccanismi economici, politici, militari… che governano il nostro tempo e provocano la “grande tribulazione” di masse di uomini e donne ridotte in schiavitù. Il loro grido ci ha accompagnato provocando nausea e ribellione. Al termine ci siamo posti la domanda: “quale Dio incontriamo nella situazione?”.
Stiamo sempre nel guado pur nella continuità del vivere e la crisi ci accompagna come possibilità di entrare in situazioni nuove non conosciute ed ambigue, ma cariche di lotta e speranza.
In questi passaggi anche il nostro Dio cambia volto. Lui ci, accompagna ma noi gli facciamo un lifting per ogni stagione.

Io provengo dall’incrocio di due tradizioni.
Mia madre apparteneva alla storia contadina, la sua famiglia era stata serva della gleba dei Marchesi di Canossa per 400 anni.
Dall’altra parte c’era la storia anarchico-socialista di mio padre, operaio alla Fiat di Torino durante la grande guerra, capace di fare mille mestieri senza lasciarsi prendere da nessuno. Ho respirato la profonda religiosità dei vecchi contadini accompagnata dal rispetto, dal senso della giustizia, del risparmio, ma anche la voglia di libertà dalle gabbie sociali e dalle cose.
L’infanzia mi ha lasciato un senso profondo del Mistero, di qualcosa di grande che sovrasta la vita e, nello stesso tempo, la affascina:
– vecchi, uomini e donne di famiglia con un ginocchio sulla sedia per il rosario serale, ed al termine il profondo silenzio scandito dal ticchettio del pendolo a muro che conservo ancora. Un vuoto tanto pieno!
– una mattinata di sole filtrato da banchi di nebbia bassa in movimento che rendeva magica la corte di campagna, mentre arrivava da lontano un canto di soldati polacchi accompagnato da violini!
– la liturgia della settimana santa scandita da melodie in una lingua incomprensibile e dallo spegnersi delle candele del grande candelabro… fino al fragore dei martelli che annunciavano la morte del Cristo.
Però questa morte mi disturbava, la sentivo carica di una giustizia ingiusta e terribile.
Sono “volutamente” entrato in seminario dopo le elementari subendo il trauma della rottura delle relazioni con i miei compagni e dei rapporti affettivi familiari e con il mondo femminile. Coglievo tutta la violenza che veniva operata sulla mia persona (non mi sono rimasti ricordi piacevoli di questo periodo) ed ogni anno si ripresentava la decisione se rientrare o meno.
Sentivo di esser separato dal mondo e da una storia per essere “servitore” di un altro universo; il Cristo era il pretesto, il vero centro era la chiesa “militante” chiamata ad assorbire la vita ed il mondo per compiere il Regno.
Avevo interiorizzato questa ideologia anche se rimaneva la ribellione di fronte al modo oppressivo con cui si attuava, ma non esistevano alternative; il Concilio Vaticano 2° era agli inizi.
Eravamo una classe indomabile da un punto di vista disciplinare, ci chiamavano i “Baluba” e nel ’62 lo staff dirigenziale della teologia consegnò le dimissioni al Vescovo Carraro che personalmente veniva in seminario settimanalmente a fare revisione di vita. Non avevo compreso che era la stessa idea di chiesa che era fonte di oppressione ed il mio ministero sarebbe stato un violentare la gente.
Nel 1963 sono stato cappellano curato a Pozzolengo, un paesino del Bresciano, abitato da contadini e pochi operai (parecchi erano gli emigrati), di poca pratica religiosa e governato dalla sinistra (unico caso a Brescia). Facevo le cose del prete, in particolare con i giovani (maschi). Mi colpivano i gesti di solidarietà e gratuità che i poveri avevano tra loro tanto da coinvolgermi.
Dopo cinque anni sono stato “promosso” a Legnago, nel popoloso quartiere di Porto, zona prevalentemente operai (Riello) e mi sono rovinato. Ho incontrato, con Sergio Carrarini, il movimento di spiritualità del Prado fatto conoscere in Italia dal vescovo ausiliare di Lione Alfred Ancel. Il centro del carisma è costituito dall’evangelizzazione dei poveri, non però come indottrinamento, ma come ascolto della loro vita e del Vangelo cercando di condividerne la vita.
Finalmente si apriva una strada di liberazione dallo schema di potere religioso.
Ma il dato che ha cambiato la mia vita è venuto dall’incontro con la realtà della classe operaia. Era in atto la crisi della Riello con riduzione del personale; altri posti di lavoro non esistevano anche a causa della gestione politica del comune che aveva favorito l’insediamento esclusivo della Riello.
Non c’era ancora lo statuto dei lavoratori ed i sindacati chiesero l’uso del teatro parrocchiale per poter svolgere le assemblee. Partecipai con curiosità e ne uscii sconvolto.
Per la prima volta mi si presentò la condizione operaia fatta di sudditanza, controllo, ritmi, fatica, insicurezza ed emarginazione sociale. Vi erano anche delle divisioni tra operai; prese la parola un anziano operaio e parlò dell’unità come amore che si fa carico dell’altro per uscire insieme dalla crisi, lottando per la dignità di tutti.
Mi arrivava un nuovo annuncio evangelico, non teologico ma storico e vitale. Le parole avevano finalmente un corpo.
Partecipammo in tre preti allo sciopero generale del Legnaghese e gli operai vennero a prelevarci dalla fine del corteo per stare in mezzo a loro dicendoci: “Finalmente! Vi aspettavamo da tanto tempo”.
L’idillio non durò molto; la direzione democristiana al potere ed, in particolare, l’on. Limoni fecero pressione sul Vescovo e ci dispersero.
Cacciato da Legnago cominciò la mia notte oscura per 2 anni ad Isola della Scala tra benpensanti e bigotti, dibattuto tra lo smettere di fare il prete o darmi degli strumenti per una via di uscita. Partecipai ad un corso di sociologia promosso dall’università di Trento sui meccanismi del consenso sociale e mi inserii in un gruppo di preti in ricerca che analizzavano il pensiero di C. Marx.
L’anno successivo 1972/73 studiavamo un progetto di vita comunitaria e di presenza in qualche periferia popolare. Il Vescovo Carraro ci appoggiò nonostante il parere negativo del Cons. Presbiterale e sorse la Comunità della Madonnina composta da Corrado, Sergio, Piergiorgio ed io.
Non volevamo più delegare a nessuno la vita in tutte le manifestazioni in cui si esprime: economia, gestione dei bisogni, tempi, relazioni, pulsioni affettive… ma anche la ricerca di fede, il rapporto con Dio o la gestione del sacro.
Il primo scontro è stato proprio sulla libertà di celebrare la liturgia che ha provocato una lettera pastorale del Vescovo.
Il secondo avvenne sulla libertà delle scelte politiche (divorzio) e rischiammo la sospensione a divinis.
Il terzo ha riguardato la scelta di vita di andare a lavorare manualmente che ha spinto il Vescovo a prendere le distanze.
Dopo una pacificazione relativa, con altri preti e laici abbiamo affossato un aborto di sinodo diocesano. Eravamo inaffidabili!
E’ stato un tempo di durezza, ci chiamavano “i quattro rusteghi” od “i fedajn”; era il prezzo da pagare per tagliare il cordone ombelicale con la chiesa, con le nostre famiglie e con le convenzioni sociali; il prezzo dell’autonomia, della libertà e della responsabilità. In questo percorso Il Volto che ci ha accompagnato era il Dio dell’Esodo, come presa di coscienza della propria identità a confronto del sistema di schiavitù che pur ti dava coperture, ma il cammino si presentava pieno di insidie. Proprio il nuovo volto creava il nuovo idolo. Avevamo assunto la classe operaia, forte di una analisi, di un progetto sociopolitico, di un movimento, di esperienze di resistenza e di lotta, nella dimensione di motore del cambiamento “definitivo” della storia (senso apocalittico). Il messaggio evangelico, nelle nostre mani, diventava messianico, non nel senso dell’attesa, ma dell’affrettare il tempo.
Eravamo spinti dall’urgenza storica. Era il tempo dell’azione come per Elia.

La comunità dei preti si sciolse e rimase una buona convivenza tra me e Corrado. Il tempo, ed il venir meno della competizione tra capitalismo e comunismo ha cambiato il gioco. L’occidente pensa di aver vinto; ma la libertà che è emersa è solo quella del mercato, mentre le persone si trovano nella grande costrizione che impoverisce la maggioranza dell’Umanità.
Paghiamo un enorme prezzo per una cultura vincente, ma non rivelante e convincente.
La persona ridotta ad individuo consumatore o cliente;
– la relazione annullata nel mito del farsi da sé e nella privacy;
– diritti e doveri sostituiti da “opportunità”;
– il patto sociale e la Costituzione soppiantati dal “contratto elettorale”;
– il bene comune consegnato alla logica aziendale ed in mano ai privati.
Sta imperando una cultura gnostica come salvezza ed uscita individuale.
Il sistema, che è formato anche dal tenore di vita dell’Occidente, non si può toccare; e siccome i beni della terra sono limitati e non possono esser per tutti, devono esser difesi con la violenza e la chiamano “giustizia infinita“ che equivale a guerra permanente; terrorismo di stato contro il terrorismo privato. Nessuno si troverà al sicuro in ogni angolo del pianeta.
Viene cancellata l’unica forza positiva, quella del diritto, retaggio che l’Europa aveva faticosamente maturato. Siamo alla barbarie, circondati dalla ributtante falsità dei governanti e manipolati dalla propaganda.

Nella piccola fabbrica dove lavoro constato il deteriorarsi del lavoro in nome della competitività con il terzo mondo; tutto viene monitorato, anche i bisogni fisiologici. Le relazioni umane sono scadute; avremmo bisogno del servizio psichiatrico.
È anche vero che la grande costrizione può portare all’espansione della coscienza, alla rabbia, alla ribellione in ricerca di strade alternative. Le manifestazioni mondiali contro la guerra in Iraq dello scorso anno ed anche quelle recenti fanno emergere un nuovo “potere” dal basso non controllabile. Il movimento Noglobal e le assemblee mondiali per lo sviluppo alternativo stanno muovendo la politica di alcuni Stati.
Ma la sofferenza e disperazione è cresciuta ne fa fede l’esodo dei rifugiati politici, degli immigrati, dei nuovi schiavi, degli impoveriti dei nostri territori…
Dice la Bibbia: “Ho visto le disgrazie del mio popolo ed ho ascoltato il suo grido a causa della durezza dei sorveglianti ed ho preso a cuore la sua sofferenza” (es. 3,7).
So che non posso contare su nessun dio anche se la storia personale e collettiva, credo, vada verso il suo fine, spero non la fine. Il mondo è diventato adulto; avremmo tutti gli strumenti: scienza e tecnica, intelligenza e sapienza storica, politica ed organizzazione… per cavarsela senza scaricare il nostro compito.
Il fallimento è causato anche dal non prendere seriamente la propria umanità e la relazione.
Il tempo mi ha rubato i sogni, le facili speranze, le buone azioni e personalmente, ora mi trovo spogliato, ma anche avvolto dalla “voce di silenzio sottile” dell’Horeb. Questa brezza è l’umanità espressa da Cesare nella sua lettera drammatica, l’umanità di Sandro che gli risponde, di Gianni nel suo passaggio di vita, di Roberto che accompagna suo padre…
l’umanità dei poveri che bussano alla porta in cerca di casa e lavoro. La storia sembra retrocedere, ma il Volto che mi si rivela è ancora il volto dell’Uomo; lo stare davanti a Dio per me e stare davanti all’uomo nella sua situazione facendo memoria del Figlio fattosi grazia e dono.
Ma com’è piccolo il mio dio! Sono debitore alla mia tradizione di vette ed abissi; accostando altre esperienze religiose (Ebrei, Mussulmani, Buddisti..) sono folgorato da altri Volti dell’Unico, intuizioni che da noi sono state soffocate o non sviluppate. Il risultato non è un prodotto “fai da te”, ma uno spazio vuoto ed aperto legato non all’essere ma alla possibilità dell’accadere. Tento di aver fede nel senso di affidarmi a… ma forse mi è più vicina la speranza perché più povera ed aperta all’attesa. Il Volto è segnato dal frammento, rivestito degli stracci colorati di Arlecchino, non spiega e non salva, ma accompagna perché lui stesso è debole, soffre e muore fuori dalle mura.

Termino ponendo tre questioni che mi inquietano.
– Quest’ anno dovrò andare in pensione, il lavoro con i suoi ritmi mi stressa, ho bisogno di più lentezza… ma ho l’impressione di finire in un binario morto, in un parcheggio non provvisorio con il rischio di accasarsi. Abramo nella sua vecchiaia è ancora l’uomo della tenda e della promessa. La distinzione tra l’uomo e la sua azione come può esser vissuta senza alienazioni o fughe dai luoghi della storia?
– La modernità sta costruendo la storia e la vita non negando Dio, ma come Dio non esistesse; dall’altra parte, grandi masse di poveri o persone semplici si appellano a Dio nella loro sofferenza. È possibile reintrodurre Dio nella storia, nella via della liberazione politica senza cadere nell’idolatria; introdurre nel tempo il tempo messianico senza anticiparlo? O il distacco resta necessario per salvare autonomia ed eteronomia?
– I due sistemi: capitalista e comunista hanno messo al centro il progresso come segno della “signoria” dell’uomo; è stato un disastro per il pianeta. Quale antropologia promuovere per essere in armonia con i beni ed i viventi; essere in pace e vivere una vita buona?
– La viola ai margini del sentiero fiorisce caparbiamente appena l’inverno si attenua!

Luigi Forigo


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