Letture (1)


 

Roberto Sardelli, che fa parte del gruppo dei preti operai di Roma e che molti di noi conoscono per il suo impegno tra i baraccati negli anni ‘60-’70 ha scritto in questi mesi L’orecchio di Dionisio.
È il racconto del tragico scontro tra il “profeta” e le istituzioni. Queste si contrappongono al primo perché colpevole di inquietare le coscienze. Ma il profeta non deflette: la sua vocazione si radica in un “altro” che lo spinge.
Nella sua bocca “urgono parole che non sono parole sue”, ma del “disarmato” che si pone davanti al potente e ne smaschera l’ipocrisia. Se gli si intimerà di tacere, al suo posto “grideranno i sassi”.
L’eroe di questo romanzo, Martino – don Martino, “sarà come uno di quegli uccelli fatti per non stare in gabbia” e il potere, che “rifiuta di essere interrogato”, lo condannerà alla solitudine.
A don Martino ben si addicono i versi di R. M. Rilke: “Quando uno naufraga, è solo”, allora, come “fuori di sè”, egli griderà il dolore degli ultimi consapevole che la fede non è un sedativo, ma una “immediatezza mediata dalla disperazione” (S. Kierkegaard).
La vocazione di don Martino si staglia proprio sotto l’arco dove la povera Clelia muore e che diventa il “lucus” di eventi che segnano una svolta, un aut-aut cui egli non si sottrae. In quel momento la sua sofferenza diventa anabatica (ascendente) e “L’Orecchio di Dionisio” (metafora del potere) gli farà scoppiare il cuore.
Ma che prete è Martino? Il romanzo ne racconta l’itinerario formativo (tra l’altro incontra i preti operai), le scelte, il processo, il rifiuto della “Amnesia” coltivata, invece della cultura dell”usa e getta”.

Roberto Sardelli
L’ORECCHIO DI DIONISIO
Ed. Iride, 2004, pp. 270


 

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