Frammenti di vita
SELENIA, ALENIA, MBDA, FINMECCANICA, SIMAV: tante aziende nella mia vita di prete operaio rimasto sempre nello stesso luogo per svolgere il lavoro di manutentore, prima meccanico e poi telefonico.
Nel 1972 si entrava per un grande cancello centrale. Ora si entra per ingressi diversi. Dalla fabbrica onnicomprensiva in cui c’erano tutte le lavorazioni del ciclo produttivo e dei servizi, siamo passati ad una miriade di aziende collegate tra loro da partecipazioni o da appalti. Tante scatole di cui non sai più chi è il padrone o la controparte.
Di tute blu e di camici bianchi ne sono rimasti un centinaio da duemila che erano.
La maggior parte dei lavoratori sono laureati. Giovani davanti ad un computer, ammassati in grandi “open space”, per costruire una piccola parte di un grande puzzle. Il lavoro di ognuno è fatto in gruppo in modo che se uno manca il sistema va avanti lo stesso. Nessuno è insostituibile! Anzi, quando la necessità lo richiede, si ricorre a lavoratori interinali o con partita iva perché è più facile gestirli e in un secondo tempo, disfarsene.
Sono scomparsi tutti quegli spazi di vita sociale e di relazione tra i lavoratori.
Le assemblee sindacali sono deserte. Venti, trenta persone. La saletta sindacale, un tempo il cuore pulsante della vita lavorativa, abbandonata e relegata ai confini del complesso aziendale. L’attivista sindacale o di partito è un ricordo del passato.
Esiste un rappresentante sindacale eletto con fatica tra i lavoratori, ma il più delle volte ha ricevuto una delega in bianco da persone che non partecipano e non si fanno carico dei problemi e della vita sindacale dell’azienda. È quasi una figura ormai istituzionale. È utilizzato dall’azienda per firmare accordi che se portano qualche beneficio ai lavoratori permettono all’azienda di risparmiare tanti soldi (cassa integrazione, ferie collettive, mobilità, sicurezza …).
Lo sciopero è veramente l’ultima risorsa di contestazione che i lavoratori hanno, ma molte volte non è più preparato e maturato nelle coscienze e con assemblee.
Il lavoro è così tanto parcellizzato, che un laureato si ritrova non più ad essere coinvolto in ampi sistemi, ma a svolgere programmi di routine e di corto respiro.
Sono pochissime le persone che possono decidere su un progetto o su spese da fare. Quasi tutti sono chiamati in continuazione a partecipare a “riunioni tecniche”. Tanta carta, tante parole. Solo qualcuno decide.
Anche se si sta tanto tempo insieme, predomina una visione molto individualista del lavoro. Come oggetto e come finalizzazione. Ognuno guarda solo alla sua carriera e agli aumenti di denaro che si possono ottenere.
Il clima di solidarietà del passato non esiste più. Si può morire, essere licenziati, andare in cassa integrazione e nessuno se ne accorge o fa qualcosa per partecipare. Tante strutture che i lavoratori si erano conquistate o date, sono state eliminate o fortemente ridimensionate. Il Cral, lo spaccio, il servizio pulman, la mensa, l’infermeria, la banca, il fondo interno di solidarietà, l’asilo nido, il servizio di assistenza sociale, il servizio medico, l’ambulanza aziendale sono ricordi o residui fumiganti del passato.
Si è passati da un lavoro realizzato a dimensione di vita umana, solidale, coinvolgente, attento, finalizzato al bene comune con l’apporto della propria personale individualità ad un lavoro impersonale, senza vita, puramente tecnico, asfissiante, di massa, economico, carrieristico.
Un lavoro da schiavi, non più di un padrone, ma di azionisti anonimi. Azionisti che guardano solo ai propri interessi. Un lavoro che è stato privato della propria anima e del proprio senso. Un lavoro che non ti appartiene.
Come lavoratore ti senti inerme, svuotato di valori e di idealità, povero, alienato. Non hai più voglia di lottare perché sei solo, diviso dagli altri.
E questa divisione e isolamento aumenta e non diminuisce.
Si cerca di andare controcorrente. Si cerca insieme con qualche piccolo gruppo di lavoratori di leggere la realtà della fabbrica in maniera più profonda, di ricostruire le relazioni interpersonali, di avere una visione completa del ciclo produttivo, di difendere la visione dell’uomo che “contratta” il suo lavoro. Si fa un lavoro di sensibilizzazione affinché l’uomo ed il lavoro non siano due variabili in mano all’economia, alla finanza e al denaro, ma due costanti che con l’economia, la finanza e il denaro possano costruire il mondo in cui viviamo. Si cerca di ricostruire una rete di collegamento tra i lavoratori, affinché l’organizzazione possa continuare ad avere una sua funzione riappropriandosi di tutto quello che il capitale e uomini senza scrupoli in questi anni le hanno sottratto. Insieme stiamo cercando di recuperare quella speranza e quella volontà di azione, che ci permette di continuare a credere che un mondo migliore si può costruire e può essere realizzato.