Il vangelo nel tempo
Non sono soltanto i libri sapienziali a parlarci di una “sapienza della crisi”. Sembra piuttosto che tutta la Scrittura sia impegnata a fare fronte ad una situazione di crisi. Ed anche i paesaggi più solari, ad una lettura non superficiale, lasciano trapelare una consapevolezza della tenebra, dello scacco.
Proviamo, allora, ad interrogare il capitolo 13 di Marco, un testo non definibile come sapienziale. Normalmente viene letto come un discorso escatologico, sugli ultimi tempi della storia. Ma la sua posizione all’interno del secondo Vangelo ci invita ad una diversa considerazione. È preceduto, infatti, dalla narrazione del ministero di Gesù (Mc 1-12) ed è seguito da quella della sua passione (Mc 14-16). Il cammino di Gesù verso la sua passione viene sospeso per una pausa di riflessione che prova ad accostare il destino del Figlio dell’uomo con quello delle sofferenze future dei discepoli. Siamo, dunque, di fronte alla “passione della comunità” nel cuore della crisi. A monte del nostro testo, una povera vedova che offre tutto quanto aveva (Mc 12, 41-44); a valle, la donna che a Betania unge il capo di Gesù con un olio di gran valore (Mc 14, 3-9): due gesti di “spreco” che incorniciano il capitolo 13 di Marco sotto il segno del dono gratuito opposto al calcolo interessato.
1 Mentre egli usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che edifici!”
2 Gesù gli disse: “Vedi questi grandi edifici? Non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata”.
3 Poi, mentre era seduto sul monte degli Ulivi di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea gli domandarono in disparte:
4 “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno del tempo in cui tutte queste cose staranno per compiersi?”
5 Gesù cominciò a dir loro: “Guardate che nessuno v’ inganni!
6 Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”; e ne inganneranno molti.
7 Quando udrete guerre e rumori di guerre, non vi turbate; è necessario che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine.
8 Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in vari luoghi; vi saranno carestie. Queste cose saranno un principio di dolori.
9 Badate a voi stessi! Vi consegneranno ai tribunali, sarete battuti nelle sinagoghe, sarete fatti comparire davanti a governatori e re, per causa mia, affinché ciò serva loro di testimonianza.
10 E prima bisogna che il vangelo sia predicato fra tutte le genti.
11 Quando vi condurranno per mettervi nelle loro mani, non preoccupatevi in anticipo di ciò che direte, ma dite quello che vi sarà dato in quell’ora; perché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo.
12 Il fratello darà il fratello alla morte, il padre darà il figlio; i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.
13 Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato.
14 “Quando poi vedrete l’abominazione della desolazione posta là dove non deve stare (chi legge faccia attenzione!), allora quelli che saranno nella Giudea, fuggano ai monti;
15 chi sarà sulla terrazza non scenda e non entri in casa sua per prendere qualcosa,
16 e chi sarà nel campo non torni indietro a prendere la sua veste.
17 Guai alle donne che saranno incinte, e a quelle che allatteranno in quei giorni!
18 Pregate che ciò non avvenga d’inverno!
19 Perché quelli saranno giorni di tale tribolazione, che non ce n’è stata una uguale dal principio del mondo che Dio ha creato, fino ad ora, né mai più vi sarà.
20 Se il Signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno scamperebbe; ma, a causa dei suoi eletti, egli ha abbreviato quei giorni.
21 Allora, se qualcuno vi dice: “Il Cristo eccolo qui, eccolo là”, non lo credete;
22 perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti.
23 Ma voi, state attenti; io vi ho predetto ogni cosa.
24 Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore;
25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate.
26 Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole con grande potenza e gloria.
27 Ed egli allora manderà gli angeli a raccogliere i suoi eletti dai quattro venti, dall’ estremo della terra all’estremo del cielo.
28 Ora imparate dal fico questa similitudine: quando i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l’estate è vicina.
29 Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte.
30 In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute.
31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
32 Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre.
33 State in guardia, vegliate, poiché non sapete quando sarà quel momento.
34 È come un uomo che si è messo in viaggio, dopo aver lasciato la sua casa, dandone la responsabilità ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito, e comandando al portinaio di vegliare.
35 Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padrone di casa; se a sera, o a mezzanotte, o al cantare del gallo, o la mattina;
36 perché, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
37 Quel che dico a voi, lo dico a tutti: “Vegliate”.
(traduzione della Nuova Riveduta. Per la stesura dell’articolo mi sono avvalso del bel commentario di C. Focant, L’Evangile selon Marc, du Cerf, Paris 2004)
La lettura del testo sembra confermare quanto accennato all’inizio. La tematica apocalittica viene direttamente affrontata solo nei vv. 24-27. Qui il futuro viene evocato simbolicamente tramite il disordine del mondo celeste: una decostruzione di ciò che è stato fatto nel quarto giorno della creazione (Gen 1, 14-19), uno smontaggio cosmico della creazione che prepara un nuovo inizio segnato dalla venuta del Figlio dell’uomo non per giudicare ma per radunare e salvare. I pochi futuri apocalittici cedono però il passo ai 19 imperativi che danno un tono decisamente sapienziale al nostro testo. Inoltre, invece che offrire segni – funzione attribuita ai falsi cristi ed ai falsi profeti – il Gesù di Marco insegna ai suoi discepoli a vivere nell’incertezza coltivando il discernimento e la perseveranza e facendo fronte alla delusione creata dai falsi annunci.
Il discorso prende avvio dal tempio, simbolo di una storia che è passata dalla distruzione del precedente luogo di culto e dall’esilio lungo i fiumi di Babilonia al ritorno ed alla ricostruzione “pietra su pietra” del santuario. L’espressione che il profeta Aggeo usa per parlare di una lenta ma inesorabile ricostruzione da parte dell’Israele libero e, di nuovo, residente sulla terra della promessa (Ag 2, 15), Gesù la utilizza in senso inverso per mettere di fronte i suoi discepoli ad una storia dove niente è definitivo: la storia è abitata dall’“abominio della desolazione”, figura nella quale si concentra il potere distruttore.
Una storia nella quale l’apparenza è del tutto ingannevole. Non solo quella del tempio ma anche quella dei “molti” che vengono nel nome di Gesù, anzi che si identificano con Lui dicendo: “io sono”! Falsi profeti destinati ad avere successo (“ne inganneranno molti”).
L’insegnamento offerto da Gesù insiste su questo aspetto riproponendolo quando, nel descrivere lo scenario della persecuzione, accanto all’opposizione politica e religiosa (“tribunali e sinagoghe”) fa riferimento alle divisioni all’interno della propria famiglia: un conflitto mortale tra fratelli che è ingrediente fisso del racconto biblico, dalla Genesi all’Apocalisse!
Mi sembra che emerga qui una riflessione preziosa: una sapienza della crisi per il nostro tempo di “rivincita del sacro”, nel quale i potenti della terra si presentano “nel suo nome”, giustificando progetti imperialistici con parole d’ordine religiose.
Mc 13 è un invito a maturare quella sapienza paradossale per cui il credente deve imparare a non credere (v. 21), a non cascare nell’inganno. Per non mancare clamorosamente l’obiettivo di interpretare il proprio tempo, è decisivo porre le diverse stagioni della storia sotto una “riserva escatologica” che impedisca di confondere l’ultimo con il penultimo, il Regno di Dio – che pur richiede parziali incarnazioni – con le reificazioni religiose.
Penso alla lezione di Kierkegaard che parlava di “allucinazione” del cristianesimo, intendendo con ciò quella messa in scena che trasforma le chiese in teatri, dove si pretende di rappresentare la speranza evangelica senza rendersi conto di aver trasformato l’annuncio in negozio. Alla radice delle diverse rappresentazioni allucinatorie del cristianesimo mi pare ci sia quell’allucinazione che identifica i cristiani con il cristianesimo (e, dunque, con il Cristo!). I fondamentalismi sorgono con questa pretesa di identificazione, incapace di riconoscere e custodire la differenza. È “sapienza della crisi” difendere la differenza, non farsi ingannare dall’esproprio religioso dei falsi messia.
Questa è la sapienza essenziale da apprendere. Uno sguardo profetico sulla storia che sappia discernere il Dio dagli idoli, l’Evangelo dalle sue falsificazioni. Una sapienza che si gioca nel presente, arginando la curiosità sul futuro e la nostalgia per il passato, che spinge a tornare indietro. La pagina di Marco sembra suggerire che per essere all’altezza del proprio tempo occorra saper “fuggire” dai paesaggi che ci sono familiari. Come Abramo che abbandona la terra conosciuta per andare nel luogo che Dio gli indicherà (Gen 12, 1) ed anche in quello privo di indicazioni divine, in cui è costretto a camminare davanti a Dio (Gen 17, 2), ad arrischiarsi nel ruolo di apripista. E non come la moglie di Lot, immobilizzata da uno sguardo rivolto all’indietro, incapace di giocarsi nell’incognita del presente.
Nella destabilizzazione di tutte le certezze, tipica dello scenario di crisi, sembra resistere solo la Parola di Gesù (v. 31) che invita a “vegliare”.
Nel Getsemani della storia presente gli occhi dei discepoli si appesantiscono fino a chiudersi in un sonno difensivo, unica risposta ad una situazione troppo opprimente che preferiamo rimuovere. Nel tempo del sonno possono coesistere sogni luminosi e realtà di tenebra: gli uni accanto alle altre, in un rapporto di indifferenza cinica. Solo nel tempo della veglia l’accostamento risulta scandaloso e l’onestà intellettuale non permette la negazione o la sublimazione della crisi. Vegliare significa guardare in faccia la realtà drammatica che ci circonda; senza lasciarsi ingannare dalle apparenze, pur di successo, o da scorciatoie ideologiche e falsificazioni religiose; perseverando nella speranza del Regno fino alla fine, in attesa che il Signore venga; confidando nella promessa che Dio abbrevierà i giorni della crisi.
È questa la sapienza che ci è consegnata nel testo di Marco e che, come il fico, promette di produrre frutti a patto che “chi legge faccia attenzione” (v. 14).