Sguardi dalla stiva
1.
Appello contro la Direttiva Europea Bolkestein
Il 13 gennaio 2004 la Commissione europea ha approvato la proposta di Direttiva Bolkestein, attualmente all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo. Annunciata come “provvedimento rivolto a diminuire la burocrazia ed i vincoli alla competitività nei sevizi per il mercato interno “, la direttiva è nei fatti un pericoloso provvedimento di attacco allo stato sociale ed ai diritti del lavoro nell’intera Unione europea.
– Si prefigge l’apertura alla libera concorrenza ed alla privatizzazione di tutte le attività di servizio e dell’istruzione… a partire dalla sanità e servizi sociali.
– Riduce drasticamente le possibilità di intervento ed il potere discrezionale delle autorità locali e nazionali rispetto a proprie linee di politica economica e sociale..
– Rafforza le politiche liberiste dell’Unione europea nella sola direzione del mercato e della competizione interna ed internazionale.
Ma l’eccezionale gravità della direttiva Bolkestein risiede nell‘assunzione del “principio del Paese di origine” che stabilisce come un prestatore di servizi sia esclusivamente sottoposto alla legge del paese dove ha sede legale e non più alla legge del paese dove fornisce il servizio.
Con l’introduzione di questo principio, la Direttiva si prefigge la definitiva destrutturazione dei diritti del lavoro nell’Unione europea.
– Si tratta di un incitamento legale a spostare le sedi delle imprese verso i paesi a più debole protezione sociale e del lavoro per poter approfittare delle legislazioni da “stato minimo” ivi esistenti.
– Si realizza un vero e proprio “dumping” sociale verso le legislazioni dei paesi a più alta protezione sociale e del lavoro, affinché riducano, in nome della competitività, i propri standard di garanzie.
– Si riducono drasticamente il valore del contratto di lavoro e le possibilità di intervento delle Organizzazioni sindacali, e si precarizza totalmente la prestazione di lavoro, anche attraverso le nuove norme sul distacco dei lavoratori.
Senza considerare il pericolo di un incremento del mercato del lavoro gestito dalle organizzazioni criminali, la Direttiva Bolkestein, insieme all’altra Direttiva di modifica sull’orario di lavoro, costituisce il colpo di grazia a quel che resta del “modello sociale europeo” già agonizzante dopo le politiche di privatizzazione di questi anni e la continua messa in discussione dei diritti sociali e del lavoro.
Opporsi è possibile e doveroso. In collegamento con tutte le realtà aderenti al il Forum Sociale Europeo, si è aperta una campagna di informazione, sensibilizzazione e mobilitazione che confluirà il 19 marzo 2005 in una grande manifestazione dei lavoratori europei a Bruxelles, e successivamente, nei vari territori europei, nella “Settimana di Azione Globale“ (10-16 aprile 2005) indetta dal Forum mondiale di Mumbay contro il Gats e le privatizzazioni, per la salvaguardia dei beni comuni e dei diritti sociali.
APPELLO firmato da Associazioni, Partiti, Sindacati,
Movimenti del volontariato sociale italiano.
2.
Le nuove frontiere del controllo sui lavoratori
IBM ha annunciato che investirà 250 milioni di dollari nei prossimi cinque anni nella creazione di una divisione che impiegherà mille persone e si occuperà di reti di sensori, tecnologie di automazione industriale e identificazione in radiofrequenza (RFID).
Un’impresa milanese ha recentemente sostituito i badge in uso ai dipendenti per accedere in azienda e rilevare gli accessi e le uscite. Il nuovo badge contiene un microchip, apparentemente invisibile, che lancia un segnale ogni volta che il possessore del badge si avvicina a uno dei punti in cui sono installati appositi lettori, distribuiti in tutta l’area aziendale.
L’impresa è così in grado di sapere in ogni momento della giornata dove si trova ciascun dipendente, e a fine giornata può ricostruire tutti i suoi movimenti nell’arco delle otto ore lavorative.
Mentre il vecchio badge doveva essere fatto passare dal dipendente attraverso un apposito lettore, il nuovo badge munito di questo microchip consente di segnalare la presenza di chi lo porta con sé anche a sua insaputa.
In tal modo il controllo del dipendente diviene non solo estremamente intrusivo, ma anche veramente “globale”. Come si è arrivati a tutto ciò ?… (descrizione tecnica del sistema)…
Per capire meglio la tecnologia di cui stiamo parlando, basterà pensare ad un normale Telepass utilizzato sulle autostrade; il chip RFID lancia un segnale radio al lettore posto al casello e consente l’identificazione della vettura e dei dati del proprietario.
Per dare un’idea invece delle applicazioni pratiche di questa tecnologia basterà ricordare quanto riportato dal Washington Times sullo svolgimento di un congresso del WSIS (World Summit on the Information Society) tenutosi a Ginevra nel dicembre 2003; i partecipanti al congresso, al momento dell’accredito, venivano muniti di un (apparentemente) comune badge di riconoscimento. Scienziati, giornalisti, rappresentanti governativi, funzionari sono stati sistematicamente controllati e schedati nei loro movimenti – nelle diverse aree delle conferenze – nell’arco dei tre giorni di durata del congresso, attraverso il microchip RFID inserito nel badge (a loro insaputa). La notizia è successivamente emersa e alcuni scienziati inglesi hanno denunciato gli organizzatori per violazione della legge sulla protezione dei dati personali e della direttiva europea sulla privacy…
Vediamo come questa tecnologia possa avere applicazioni nell’ambito lavorativo italiano.
Un badge contenente il chip RFID consente al datore di lavoro di ricostruire i movimenti di ogni dipendente nell’arco dell’intera giornata lavorativa. In tal modo sarà possibile sapere quanto tempo ogni dipendente è rimasto alla propria postazione lavorativa, quanto tempo è stato in bagno o in mensa o alla macchinetta del caffè, quali e quanti colleghi di lavoro siano entrati in contatto con lui, quanto a lungo si sia intrattenuto nei locali sindacali, se abbia o meno partecipato alle assemblee sindacali, ecc. ecc.
Oltretutto la cosa potrebbe addirittura avvenire all’insaputa di lavoratori e sindacato…
Il controllo di tutti i movimenti di un lavoratore nell’arco della giornata lavorativa costituisce un’intrusione nella sfera individuale, anche privata, che appare gravida di conseguenze sullo sviluppo della vita lavorativa. … Tenendo conto che il datore di lavoro dispone già di numerosissimi dati, attraverso le notizie ufficiali raccolte su ciascuno, cui debbono aggiungersi i dati che possono essere raccolti attraverso l’uso dei computer utilizzati dai dipendenti, dai tabulati telefonici che indicano altri dati potenzialmente “sensibili”, ci si può facilmente rendere conto che la tecnologia RFID è l’atto conclusivo per la costruzione di un profilo globale e totale del dipendente.
Senza voler considerare il fatto che quando verrà risolto il problema tecnico di attivare anche a grande distanza il chip RFDI, il portare con sé questo chip consentirà un controllo dell’intera giornata, anche al di fuori del perimetro aziendale. La pericolosità dunque non è solo di carattere lavorativo, ma anche sociale.
Sul piano legale non pare possano sussistere dubbi circa l’assoluta illiceità del chip RFID per uso aziendale di controllo sui dipendenti. Sia nel caso che il controllo sia occulto, sia che ne venga comunicata la presenza nel badge o in qualunque altro strumento o indumento aziendale, il suo utilizzo ricade indiscutibilmente nel divieto di cui all’art.4 L.20.5.70, n.300 (Statuto dei Lavoratori), che sancisce il divieto all’installazione di sistemi di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Il chip ricade poi anche nel divieto di cui all’art.8 della legge (Statuto dei Lavoratori), che vieta al datore di lavoro ogni indagine sui dipendenti che non sia strettamente attinente all’attività lavorativa. Infine non vi è dubbio che l’applicazione del chip sia vietata anche dalla più generale normativa a tutela della privacy….
La pericolosità insita nel sistema di controlli che la tecnologia RFID consente è talmente penetrante e intrusiva che non può in alcun modo essere patteggiata e autorizzata, anche a fronte di garanzie (per lo più solo apparenti) sul trattamento successivo dei dati così raccolti.