REINVENTARE LA VITA: TRA CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’
Incontro nazionale PO / Bergamo / 28-30 aprile 2005



È stata una scelta. Avrei potuto lavorare finché volevo anche senza avvalermi della legge che rimanda il pensionamento. Contrattando “collaborazioni” o “consulenze”. Ma non l’ho fatto.
Non sono più parroco dal gennaio dello scorso anno, anche questo per scelta.
Voglio vedere le cose da un altro punto di vista. È da tempo che ci sto pensando e quando mi viene in mente una cosa sento che la devo fare. Ho avuto anche sensi di colpa, grossi, sapendo che lasciavo la responsabilità delle cooperative a delle compagne di lavoro in un momento difficile per il lavoro sociale in generale. E mi piangeva il cuore lasciare la piccola parrocchia del porto e il consueto appuntamento domenicale con gente amica, nelle mani di un prete che si riproporrà di far vedere alla gente che, arrivato lui, è cambiato il vento!
Queste cose mi hanno messo tante spine dentro, ma non mi hanno convinto a tornare sui passi: ho dato retta a me stesso anche perché specie in questi ultimi dieci anni mi sono avvelenato di lavoro, di preoccupazioni, di organizzazione. Quanta fatica!
Sentivo che per me una qualche salvezza stava nello spogliarmi di questi “vestiti”.
Quanta paura! Perché sotto i vestiti ci poteva essere nulla. Ma anche quanta testardaggine…!
La fatica attuale è soprattutto quella di abituarmi a questa “nudità” nei confronti dei ruoli che rivestivo fino a poco tempo fa. Fatica che sto vivendo nel quotidiano provando spesso una enorme stanchezza: mi addormento facilmente dovunque e la sera crollo in un attimo.
Lo smontaggio di una architettura fortemente giocata in ogni aspetto del ruolo, anche se interpretato in maniera creativa, ripropone per me l’esperienza del contatto diretto, emozionale e istintivo con la realtà. Ed è una esperienza che mi assorbe e mi porta via.
Mi comincio a rendere conto di quanto mi sia mancato il sole, la pioggia, l’aria fresca, il camminare sulla terra erbosa, ma soprattutto la possibilità di guardarmi intorno, di invertire almeno un poco! la direzione dello sguardo lasciandolo vagare nei particolari, nelle figure marginali, iniziando dai piedi e non dalla testa. Uno sguardo che parte dal cuore prima che dal cervello.
Non mi manca la fiducia, la speranza, una qualche propensione alla battuta e allo scherzo, ma è come se dovessi di nuovo imparare a camminare tenendo conto di una mia fragilità del tutto ignorata prima.
Può darsi che, se è vero che la lingua batte dove il dente duole, lo “strappo” dai ruoli ricoperti e riconosciuti mi faccia ancora male.
Ma voglio bene alla mia condizione attuale, al suo progressivo silenzio, a questo tratto in ombra della mia vita.
Mi chiedo: come re-inventare una vita che non conosco ancora?
Sono quasi 35 anni che vivo alla Chiesetta del Porto: è come se avessi deciso l’altro giorno di abitarvi in una mia dimensione. L’incontro-scontro con Sirio è stato notevole per me. Lo rifarei fin da subito. Con più fiducia, con tanta tanta meno aggressività. E comunque la vita vissuta fin qui con Sirio, Maria Grazia, Beppe ha ancora tante parole da dire e nel calo generalizzato di energie per la lotta, abbiamo noi stessi, una storia con cui confrontarsi. Non importa se è una storia immersa negli stagni nascosti della omologazione e della perdita di memoria.
Ma non è forse vero che la vita nasce in umidi luoghi dove non batte il sole?
E il seme che sto portando non è forse quello – comune a tanta povera gente su questa terra – di essere una creatura umana definita dai propri limiti al di là di ogni ruolo?

Luigi Sonnenfeld


 

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