REINVENTARE LA VITA: TRA CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’
Incontro nazionale PO / Bergamo / 28-30 aprile 2005
Facciamo memoria del vescovo Oscar Romero non solo per celebrare la ricorrenza dei 25 anni dal suo martirio, avvenuto il 24 marzo del 1980.
E nemmeno solo perché siamo affettivamente vicini al Salvador, dove alcuni di noi hanno dedicato e stanno dedicando una parte importante della loro vita: Cesare Sommariva, Bruno Ambrosini, Elena Chiesa, Andrea Marini…
La nostra vicinanza spirituale al vescovo Romero si fonda su una comune sfida, che lui ha portato a termine col sacrificio della sua vita e che noi abbiamo cercato di realizzare con la scelta del lavoro e con altre scelte coerenti di impegno nella società e nella Chiesa… Questa sfida, di Romero e nostra, è quella di coniugare la fede con la lotta per la giustizia, la fedeltà al Vangelo con la fedeltà alla lotta per il riscatto e la liberazione dei poveri e degli oppressi.
Mi soffermo su tre aspetti che caratterizzano la vita e la personalità di Romero:
• la sua conversione; • il suo impegno per la difesa del suo popolo, • la sua morte accettata come conseguenza delle sue scelte.
La conversione
Oscar Arnulfo Romero non era un rivoluzionario. Di famiglia discretamente agiata, entrò in seminario a 13 anni e a 20 anni, nel 1937, andò a studiare teologia a Roma all’Università Gregoriana. Fu prete tradizionale e tradizionalista, legato alla politica vaticana, che sosteneva il potere locale costituito e condannava come comunista ogni movimento di emancipazione del popolo.
El Salvador è un piccolo paese del Centro America, grande circa come la Lombardia, con 8 milioni di abitanti. L’economia è nelle mani di una trentina di famiglie, che possiedono il 60% delle terre migliori. Il 60 % dei salvadoregni è analfabeta e più del 30 % sono disoccupati o sottoccupati. L’elite del Salvador, la più vorace ed egoista dell’America Latina, mantiene propri corpi di sicurezza e utilizza i militari e l’apparato statale per garantire i propri privilegi. Il suo rapporto con il popolo è di violenza. Chi si organizza in funzione della giustizia sociale e dei diritti umani è accusato di essere comunista. Romero svolge il suo ministero sacerdotale nel più rigido tradizionalismo, come parroco, come segretario del vescovo di San Miguel e poi a San Salvador come segretario della Conferenza Episcopale e quindi come Vescovo Ausiliare.
Né il Concilio Vaticano II, né il ’68, né l’assemblea dei vescovi sudamericani di Medellin del 1969 hanno scalfito la sua inflessibile ortodossia.
Ma intanto in Salvador la repressione diviene sempre più, dura e feroce. I massacri della popolazione da parte dell’esercito non si contano più. Romero viene nominato vescovo di Santiago de Maria. Qui comincia la sua conversione.
Non si trattò di un trauma improvviso. Ciò che cambiò gradualmente il suo modo di pensare e di sentire fu il suo contatto col popolo, con i poveri. Lui stesso affermò in seguito: “Se volete, potete anche chiamarla conversione, ma io penso che sarebbe più esatto definirla: ‘uno sviluppo del processo di conoscenza’. Ho sempre voluto seguire il Vangelo, anche se non sospettavo dove il Vangelo mi avrebbe condotto”.
C’è una parola che comincia a ossessionare Romero: “liberazione”. Per lui fino ad oggi essa ha significato solo “liberazione dal peccato”. Adesso che vede da vicino la miseria di tutto un popolo (piccolissimi coltivatori, braccianti che muoiono di fame peregrinando per una terra ricchissima di caffè e di cotone)… Il vescovo è costretto ad ammetterlo: “liberazione” significa anche “liberazione dalla fame”, non solo, ma dietro quel grido del popolo dei poveri c’è anche una più alta volontà: vivere con maggiore speranza, vedere riconosciuta finalmente la propria dignità.
Nel 1976 la situazione si fa ancora peggiore. I morti ammazzati si moltiplicano in tutto il paese. Il 12 marzo viene ucciso padre Rutilio Grande, amico di Romero, parroco di Aguilares, dove svolgeva una intensa attività sociale a favore dei campesinos.
Questo assassinio per Romero è il colpo di grazia. Scrive il suo successore Rivera Damas: “Davanti al cadavere di padre Rutilio Grande Mons. Romero sentì la chiamata di Cristo a vincere la sua naturale timidezza umana e a riempirsi della intrepidezza dell’apostolo”. Lo spostamento di campo dell’arcivescovo è radicale.
Passando dalla parte degli oppressi, dei massacrati, diventa nemico dei miliardari, dei militari, del nunzio apostolico, di molti vescovi, del Vaticano… Si avvicina sempre più ai gesuiti e alle loro riflessioni teologiche. Come segno di questo cambiamento interiore, Romero cambia dimora: lascia il palazzo arcivescovile rivestito di marmo e va ad abitare alla “Divina Providencia”, un ospedale per malati terminali di cancro.
In difesa del suo popolo
Di fronte ai massacri quotidiani perpetrati dai militari e dagli squadroni della morte, l’arcivescovo non può certo tacere. Ogni sua messa è una sfida per il regime.
Perché la riflessione evangelica si fa progetto esistenziale, la comunità non soltanto prega, ma anche legge i segni dei tempi, i terribili segni dei tempi salvadoregni. Perciò diventano atti politici. Tutte le armi della propaganda vengono usate contro di lui.
Ma non sono solo le oligarchie a condannarlo, ma anche quei settori della Chiesa i cui interessi sono legati ai privilegi storici. I vescovi salvadoregni sono quasi tutti oppositori di Romero. I nunzi apostolici si uniscono a loro.
Dunque Romero non fu soltanto martire degli organi di repressione, egli fu martire anche di settori importanti della Chiesa del Centramerica e del Vaticano. Gli fecero sanguinare l’anima molto prima di far sanguinare il suo corpo con una pallottola.
Mons. Romero era ben cosciente che la situazione drammatica del Salvador coinvolgeva i grandi poteri mondiali. Ed allora uscì dai confini della sua terra e cercò di dare voce al suo popolo di fronte al mondo, soprattutto con tre importanti interventi nel suo ultimo anno di vita.
Il primo fu l’udienza dal Papa, che si risolse in un fallimento. Dopo dieci giorni di attesa, finalmente il 7 maggio del 1979 il Papa lo ricevette. Ma fu un incontro deludente, come riferì “quasi piangendo” lo stesso Romero. Il Papa si dimostrò insofferente di fronte alla voluminosa documentazione che l’arcivescovo gli aveva portato sul suo tormentato paese e insistette in modo martellante su un’unica nota: “Lei, signor arcivescovo, deve sforzarsi di avere una relazione migliore con il governo del suo paese”…
Il 2 febbraio 1980 Mons. Romero tenne un discorso ai giovani dell’Università di Lovanio su “La dimensione politica della fede a partire dalla opzione per i poveri”. È forse il punto più alto del suo magistero.
“L’essenza della chiesa sta nella sua missione di servizio al mondo, nella sua missione di salvarlo in totalità e di salvarlo nella storia, qui e ora… Il mondo dei poveri è la chiave per comprendere la fede cristiana… I poveri sono coloro che ci dicono qual è il mondo e qual è il servizio ecclesiale al mondo… La speranza che la Chiesa fomenta è un appello rivolto, a partire dalla Parola di Dio, alle maggioranze povere, perché si responsabilizzino, si coscientizzino, si organizzino… Predichiamo la speranza ai poveri perché sviluppino la loro dignità e per incoraggiarli ad essere essi stessi gli autori del proprio destino…
Conclusione
Testimone di fede, di giustizia, di impegno per la liberazione, Romero è un grande profeta del nostro tempo.
Indica alla Chiesa la via da seguire nel futuro: abbandonare i palazzi del potere, condividere la vita del popolo, la condizione dei poveri e degli sfruttati e lottare con loro perché “la gloria di Dio è che il povero viva”.
Un vescovo che si converte è un segno di speranza per la conversione della Chiesa. Ed è uno stimolo per la nostra conversione. La Parola di Dio che si incarna nella storia ci mette continuamente in discussione. Il sistema di ingiustizia in cui viviamo ci pone sempre di fronte a nuovi interrogativi, nuovi problemi, nuove scelte da compiere insieme alle compagne e ai compagni della nostra vita.
I poveri e gli oppressi vicini e lontani ci impegnano a reinventarci la vita ogni giorno.
Salutiamo il martire Romero con le parole del vescovo Pedro Casaldaliga:
avevi ragione tu,
e questo anche vogliamo celebrare,
con giubilo pasquale: sei risuscitato nel tuo popolo,
che non permetterà che l’impero
e le oligarchie continuino a sottometterlo,
né si lascerà condurre dai rivoluzionari pentiti
o dagli ecclesiastici spiritualizzati.
E risusciti in questo Popolo
di milioni di sognatori e sognatrici,
che crediamo che un altro mondo
è possibile e che è possibile un’altra Chiesa.
Perché, così come va oggi, Fratello Romero,
non va né il mondo né la Chiesa.
Perché quelle rivoluzioni utopiche
– belle e sventate come un’adolescenza della Storia –
sono state tradite dagli uni,
disprezzate olimpicamente dagli altri,
e rimpiante ancora dai molti e dalle molte che stiamo lì con te,
pastore dell’accompagnamento,
compagno di pianto e di sangue
dei poveri della terra.