REINVENTARE LA VITA: TRA CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’
Incontro nazionale PO / Bergamo / 28-30 aprile 2005
FATE ATTENZIONE A COME ASCOLTATE
Non possiamo nasconderci che il riferimento alla Scrittura, soprattutto oggi, risulta problematico. L’attualità, infatti, ci consegna l’esasperazione di un approccio alla Bibbia, consolidatosi lungo i secoli, che considera il Testo come una miniera da cui estrarre ciò che serve ad avvalorare le proprie posizioni. Una lettura a proprio uso e consumo, incapace di un ascolto autentico in quanto preoccupata di cercare conferme a quanto si è già autonomamente deciso. È questo un nodo decisivo e complesso, su cui bisognerà ritornare. Per ora basti un accenno ironico al teatrino politico italiano, dove l’Apocalisse è diventata quella di Oriana Fallaci ed il presepe è in quota Lega; Forza Italia si è specializzata sul Gesù ingiustamente condannato (ma anche su Socrate…) e sulla giustizia che non è di questo mondo; l’Udc predilige gli Atti con i suoi racconti di persecuzione a motivo della fede; mentre Alleanza Nazionale, per natura più sensibile alla tradizione che non ai testi profetici fondatori, ha arruolato nelle sue fila S. Francesco! Per non parlare del teatro stabile ecclesiastico, tutto impegnato, grazie all’abile regia vaticana, nella spettacolarizzazione della fede, dove la Scrittura gioca il ruolo di comparsa, messa in ombra da ben più decisivi protagonisti umani, acclamati come punti di riferimento carismatici, capaci di accendere nuove emozioni forti. Abbiamo scelto il termine – in verità un po’ logoro – di “icona” per suggerire un approccio meno strumentale al testo biblico, in cui il monito evangelico del “fate attenzione a come ascoltate” (Lc. 8,18) si traduca nella scelta di entrare nel quadro biblico (Ignazio di Loyola), nel ricercare una contemporaneità, con la Parola (Kierkegaard), nel maturare una fede dalla quale far dipendere tutta la nostra vita (Bonhoeffer). In questa prospettiva le brevi annotazioni che seguono si presentano solo come “aperitivo” ad un’esperienza personale di ascolto che richiede altri tempi.
IN ASCOLTO DI GIUSEPPE
Nella Scrittura i racconti storici non hanno la preoccupazione di descrivere per filo e per segno le vicende effettivamente avvenute in un determinato periodo. Israele, facendo memoria del proprio passato, è preoccupato di dire la propria identità presente. Gli eventi storici narrati risultano “figure di ricordo” finalizzate a veicolare l’identità del soggetto narrante: “decisiva non è la loro storicità bensì il significato di questa storia nel ricordo israelitico”.
Ora, la storia di Giuseppe (Gen. 37-50), collocata all’epoca dei patriarchi, racconta un tratto importante della fisionomia dell’Israele passato attraverso l’esilio e costretto a confrontarsi con i diversi regni stranieri che lo dominano. Ne emerge un’identità dialogica, in tensione con l’identità integrista dei Maccabei e con la fuga escatologica dei qumraniani. Ed anche un’identità fraterna, dapprima messa in crisi e successivamente recuperata non come colpo di scena tipico delle storie a lieto fine bensì a caro prezzo, mediante un percorso di riconciliazione a tappe. Accanto a questi due fili rossi della trama, mi sembra utile metterne in rilievo altri più nascosti ma capaci di sollecitare la nostra riflessione. Il racconto inizia in terra di Canaan, presentandoci un Giuseppe “sognatore”, le cui visioni sono la causa scatenante del conflitto con i fratelli; ma subito dopo, in terra d’Egitto, Giuseppe non fa più sogni propri bensì diventa interprete dei sogni di altri. Da uomo delle visioni, ovvero profeta, si trasforma in sapiente. Una sapienza dapprima giocata nel discernere sogni individuali (Gen. 40) e successivamente impegnata nel leggere i “segni dei tempi” di un’intera società (Gen. 41). Una sapienza operativa, concreta, che sa far fronte alla crisi attingendo al deposito accumulato negli anni della prosperità. Giuseppe può rappresentare per noi l’invito a “reinventare la vita” in termini sapienziali: meno preoccupati dei nostri sogni, in ascolto dei sogni degli altri, attingendo alla ricchezza accumulata negli anni della faticosa condivisione della condizione operaia…
IN ASCOLTO DI ELIA
L’indicazione ad essere sapienti va forse letta come rinuncia alla passione profetica? Per alcuni anche la Scrittura testimonierebbe la parabola esistenziale descritta dal noto adagio: “si nasce incendiari e si muore pompieri”! Contro questa cattiva interpretazione all’insegna del disilluso clima dei tempi, si erge la figura di Elia, il cui fuoco arde dall’inizio alla fine, dallo zelo contro l’idolatria imperante al carro di fuoco che lo rapisce e sigilla la sua esistenza. Come dire: nel ripensare la propria identità nelle diverse stagioni storiche ed individuali c’è una passione da salvaguardare, una fedeltà da non svendere. E tuttavia anche questo “permanere” di fondo deve essere coniugato con una disponibilità al cambiamento. Elia, nel corso della sua vita, ha dovuto cambiare persino la propria immagine di Dio. Un mutamento dirompente sia rispetto alla propria esperienza precedente (I Re 18), sia nei confronti della Tradizione d’Israele (si confronti la manifestazione di Dio come “voce di silenzio sottile” in I Re 19 con la teofania mosaica di Es 19). Oltre alla verticale teologica, anche lungo l’orizzontale umana Elia subisce un profondo ripensamento: dalla visione disperante (fino a desiderare la propria morte!) di una società che ha rinnegato i propri ideali ed ha abbandonato nella solitudine i profeti, alla capacità di riconoscere altri resistenti al fascino dell’idolatria (I Re 19, 10.18).
Dal ciclo di Elia emerge, dunque, una disponibilità all’ascolto delle sorprese di Dio e della storia e ai cambiamenti che nascono da tale ascolto, senza cadere nella tentazione di inseguire le idolatrie di moda…
LA MORTE DI MOSÉ
Proviamo, infine, a focalizzare l’atto finale della vicenda di Mosè, dal momento che esso gioca un ruolo strategico nella configurazione della sua esistenza ma anche di quella d’Israele e della composizione delle Scritture. Il Signore gli fece vedere: Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il territorio di Efraim e Manasse, tutto Giuda fino al Mar Mediterraneo, il Neghev e la valle del Giordano, dalla vallata di Gerico, la città delle Palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: “Questo è il paese che io ho promesso ad Abramo, Isacco e Giacobbe con il giuramento: ‘Io lo darò alla tua discendenza’. Io te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi. Ma tu non vi entrerai”. E Mosè, il servo di Dio, morì, là nel paese di Moab… Fino ad oggi nessuno sa dov’è la sua tomba. (Dt . 34, 1-6).
Mosè, che aveva guidato Israele nell’operazione di occupazione della terra ad est del Giordano, nutriva la speranza che Dio si fosso ricreduto e avesse ritirato la maledizione minacciata in uno scatto d’ira (1, 6-8): Fammi entrare! Fammi vedere il bel paese al di là del Giordano, questi bei monti e il Libano (3, 25). Ma il no di Dio suona perentorio: Non rivolgermi mai più una richiesta del genere! Sali sulla cima del Pisga, volgi gli occhi ad occidente, a settentrione, a mezzogiorno e ad oriente e vedi con i tuoi occhi. Ma il Giordano tu non lo attraverserai (3, 26-27).
N. Lohfink ha evidenziato l’importanza di tale evento che spezza l’itinerario che conduce dall’Egitto alla nuova terra. Una frattura che non induce solamente a riflettere sul potere del peccato e sulla solidarietà nella colpa: la morte di Mosè alla vigilia della promessa che sta per realizzarsi è decisiva soprattutto sul piano teologico-Ietterario. “L’Esodo, vale a dire l’azione fondante di Dio, a questo punto si spezza in due, anche sul piano letterario e sul piano teologico, per diventare come un edificio a due piani da rapportare tra loro in modi sempre nuovi” (N. Lohfink, All’ombra delle tue ali, Piemme ed. 2002) .
Letterariamente il primo piano è costituito dalla Torà che termina appunto con la morte di Mosè. “Nella Torà la seconda metà dell’evento primordiale è presente solo come progetto e promessa. Di essa si tratta soprattutto nelle restanti parti del canone, che costituiscono in tal modo un commento polifonico alla Torà, con molteplici alternative. Una si ha nell’opera storica che va da Giosuè a 2Re… Anche se leggiamo gli scritti profetici nella loro forma finale, l’ingresso nella terra è decisamente un dato futuro. Ovunque nel canone veterotestamentario, in un modo o nell’altro, si trova il riflesso di questa esistenza sulla soglia, in tutte le possibili prospettive da cui essa può essere guardata”. Un’esistenza sulla soglia, nel deserto, di fronte al Giordano. Un’identità sotto il segno della promessa e non del compimento. La speranza non solo per Mosè ma anche per tutto il popolo d’Israele e per il lettore delle Scritture stesso non coincide con l’attraversamento del fiume e l’ingresso nella terra promessa, bensì soltanto con la possibilità di guardare oltre. Reinventarsi la vita nell’orizzonte di una tale speranza biblica – che è sempre uno “sperare contro ogni speranza”! – senza nutrire, neppure segretamente, deliri di onnipotenza, riconciliandosi con l’incompiutezza dell’opera. Rabbi Tarfon traduce così tale atteggiamento: Non spetta a te compiere l’opera. Però non puoi sottrartene (Pirqè Avot 2, 16).