Voci da chiese locali

 

Voci da chiese locali: processi comunicativi

 

Come si comunica all’interno delle Chiese locali?
In un recente articolo comparso su un quotidiano nazionale dal titolo “Chiesa del dialogo: lo scisma sommerso” Enzo Bianchi scriveva:

 “Una Chiesa che pretende di dialogare con i non cattolici e non si dimostra capace di avere un dialogo al proprio interno non è credibile: è una questione di semplice coerenza. Paolo VI, quando affrontò il tema del dialogo, lo considerò non una strategia alla ricerca di una maggiore efficacia, ma problema di fondo, di identità della Chiesa stessa (…).
Non credo di essere il solo a sognare delle comunità e delle Chiese in cui, senza scadere nella divisione…si abbia il coraggio e la libertà di esprimere un ‘dissenso leale’ là dove non è richiesta l’unità della fede. La Chiesa non ha nulla da perdere ma tutto da guadagnare se riesce a mostrare che il prendere la parola, prima di essere un rischio è una responsabilità…”
(La Stampa 30 ottobre 2005).

 

In questo quadro, riportiamo qui un articolo che racconta l’evento del Sinodo diocesano di Verona: un dialogo attuato in un processo sinodale che ha visto coinvolti laici e preti, donne e uomini.
Un secondo contributo (qui) riguarda le riflessioni su tematiche esistenziali connesse con la vita e il ministero dei presbiteri della Diocesi di Mantova, riportate in una relazione che sintetizza quanto è emerso nel “dialogo tra preti”.


 
La proposta di celebrare un Sinodo Diocesano a Verona presentata dal Vescovo Carraro 2° durante il Giubileo del 2000 ha suscitato sorpresa e parecchie perplessità. Erano più di 220 anni che a Verona non si teneva un sinodo, e quello avviato dal Vescovo Carraro 1° nel 1978 era miseramente naufragato a causa della palese impostazione anticoncilare (Sinodo dei preti per i preti). Un gruppo di 17 preti diocesani si era dissociato (su 750) ed erano sorte assemblee alternative di laici e preti per ribadire l’unità e la dignità di tutto il Popolo di Dio.

La Chiesa di Verona dava l’immagine di un pachiderma che si dibatteva tra autoritarismo e qualunquismo, soprattutto dei preti, e non permetteva nessun sussulto vitale. Di fronte alla nuova proposta i laici particolarmente, furono toccati dall’entusiasmo tanto da coinvolgere anche i vecchi contestatori in questo “processo sinodale”. La mia Comunità è rimasta all’inizio abbastanza distaccata; e ci siamo meravigliati che qualcuno della Commissione preparatoria richiedesse un nostro contributo. Abbiamo elaborato dal nostro vissuto due documenti. Il primo riguardava il nostro stile di essere Chiesa ed il rapporto con la storia della gente e con l’evangelizzazione; l’altro presentava degli interrogativi sull’esperienza di famiglia oggi. Non ci aspettavamo nessun ritorno.

 

Il contesto in cui è nato il Sinodo

 
Le veloci trasformazioni della società costituivano una provocazione alle ragioni della fede, si percepiva la distanza tra le forme vissute nella comunità ecclesiale e l’attuale contesto socioculturale; il riferimento era fermo ancora al regime di cristianità. Ma anche all’interno della Chiesa le cose non andavano, si avvertiva la fatica nella comunicazione, la frustrazione dei rapporti, la stanchezza ed il logoramento, la distanza di fronte alle domande della gente. Lo stato di confusione e di torpore dei credenti ha fatto emergere la domanda “Che cosa cercate?” (Gv. 1, 38)
La prima necessità richiedeva di fermarsi, far tacere i preconcetti, le paure, per mettersi ad ascoltare le persone che incontriamo, vedere il volto di chi ci passa accanto, riconoscere i vissuti ed i fatti della nostra storia, discernere l’essenziale, del cammino assottigliando il nostro indaffarato lavoro per riandare alle chiamate della vita in sintonia con la Parola che continuamente viene rivolta alla Chiesa.
La sincerità di porsi davanti alle domande della vita mette nella possibilità di comunicare con gli uomini e donne del nostro tempo oltre gli steccati delle chiese, delle ideologie ed apre la possibilità di intraprendere nuovi cammini. Ascolto, autenticità e possibilità di esser evangelizzati e di evangelizzare con parole comprensibili per il nostro tempo sono state le caratteristiche del percorso.
 

Le tappe del processo sinodale

 
– Guardando a ritroso, possiamo dire che lo stile di lavoro non è stato secondario rispetto ai contenuti, ma definisce lo stesso paradigma di essere chiesa. La prima fase ha privilegiato l’informazione e la sensibilizzazione ai vari livelli di tutta la diocesi, per individuare le urgenze, nodi essenziali, le domande aperte che permetteva la raccolta ed indicazioni di contenuti, di metodo per avviarsi al nocciolo del tema sinodale: rapporti ecclesiali, disagio, famiglia, mondo giovanile e pluralismo culturale e sociale…
– È seguita la fase celebrativa  alla veglia di Pentecoste 2002 con il tema “cosa cercate? La Chiesa di Verona si pone in ascolto, riscopre la propria identità nella Parola e nella vita, accoglie ed annuncia gioiosamente il Vangelo oggi” La struttura sinodale era semplice: Le Assemblee sinodali di membri eletti da tutte le realtà ed integrate dal Vescovo; la Segreteria del sinodo ed il Segretario generale
Si è ritornati ancora alla base per un altro anno (2002/2003) per non calare dall’alto un’esperienza riducendola alla sola Assemblea sia pur delegata. Sui cinque ambiti enunciati sopra sono stati chiesti contributi scritti alle istituzioni ecclesiali, ai movimenti, alle associazioni, ai singoli, alle chiese non cattoliche presenti sul territorio, ai gruppi marginali…
Nel chiedere si è cercato di interagire attraverso lo strumento delle lettere dal sinodo: alle famiglie, ai carcerati, per la pace, agli ammalati, ai giovani, alle comunità religiose non cattoliche, agli operatori del mondo del lavoro.
Questo nuovo scambio ha permesso la stesura dello “strumento di lavoro” per le assemblee sinodali.
– L’Assemblea sinodale (350 persone) ha lavorato per diverse sessioni (ottobre 2003-giugno2004). È stata la fase più difficile e delicata, soprattutto nel rodaggio, quanto si correva il pericolo del monopolio dei più forti o della contrapposizione sterile e bloccante. Si sono manifestate le varie anime presenti anche a Verona. Il metodo ha aiutato a rompere le fossilizzazioni precostituite. Si apriva l’assemblea con una relazione “aperta” sulla tematica, seguiva il confronto in piccoli gruppi dove era possibile dare la parola a tutti e si ritornava in assemblea dove si relazionava presentando le varie sensibilità.
A questo punto occorreva esercitare il discernimento comunitario! La fatica, l’ascolto rispettoso, la sincerità e la franchezza, l’accoglienza della differenza non sempre componibile immediatamente, ha fatto nascere la stima reciproca sia pure nella diversità.
Per ogni ambito è stata costituita una Commissione che raccogliesse il prodotto dell’Assemblea.
Prima di passare alla votazione finale si è pensato fosse opportuno lasciare un congruo spazio di tempo in cui i membri sinodali potessero confrontare il loro lavoro con la più ampia base ecclesiale per un nuovo coinvolgimento.
Si è arrivati quindi all’approvazione del testo definitivo (255 a favore, 12 contrari) che è stato presentato al Vescovo per il suo discernimento, e nella Pentecoste del 2005 venne promulgato.
 

Considerazioni

 
* Il risultato positivo è potuto avvenire sia per la competenza dei responsabili, ma anche per l’azione dello Spirito Santo che ha aperto strada attraverso le nostre rigidità.
* La disponibilità (e la santa incoscienza) di un Vescovo che ha lasciato libertà ad una Chiesa di esprimersi senza predefinire e dirigere, ma accompagnare, difendere lo spazio di tutti e prendere in carica le conclusioni emerse. Anche Lui è stato sottoposto a franchi richiami.
Il coinvolgimento attivo di tutte le componenti ecclesiali ai vari livelli e ripetutamente.
* L’aver messo al centro l’ascolto e non la frettolosa risposta, lasciando che la Parola risuonasse nella situazione.
* Il Sinodo è terminato, ma non è finito, deve diventare uno stile di essere Chiesa. Il libro sinodale, non ha dato risposte esaustive, ha aperto un “laboratorio” di sperimentazione su strade nuove nel continuo scambio, confronto e revisione comunitaria.
Restano come zoccolo duro, gli orientamenti di marcia: il volto che vorremmo far emergere della Chiesa di Verona; un volto che domanda conversione personale, del lavoro pastorale, e delle  stesse strutture di chiesa.
– Una chiesa Discepola
– Una chiesa Sinodale
– Una chiesa Compagna di viaggio.
– Una chiesa Testimone, estroversa e solidale.

Appendice post-sinodale

 
Era da 20 anni che non partecipavo (anche a causa del lavoro) ad un incontro del vicariato (assemblea di preti di una zona della diocesi) e ne avevo un ricordo disgustoso. Era la prima dopo la promulgazione del libro sinodale.
La traccia era molto semplice:
1. Breve valutazione del Sinodo
2. Quali conversioni il Sinodo pone: a ciascuno di noi; ed al nostro modo di lavorare con la gente.
C’è stato qualche tempo di silenzio, ma poi le persone si sono sciolte ed hanno incominciato ad esporsi anche nelle loro difficoltà, alcuni con sofferenza, ma altri con serenità e meraviglia. Ho dovuto confessare la mia incredulità di fronte al Sinodo, ma anche il mio spiazzamento cogliendo l’espressione della loro umanitá di fronte a questo avvenimento. Ho anche lamentato che, come preti, giochiamo al circo avendo sempre sotto di noi la rete di protezione. Partiamo sempre dall’essere chiesa, più che dalla concretezza, della vita e questo ridurrebbe di molto le nostre sicurezze e sovrastrutture.
Un altro fatto sta avvenendo nel mio Comune; le tre parrocchie de centro sembrano voler camminare insieme (unità pastorali). I preti per primi tentano di fare un loro cammino condividendo non il fare per …ma lo studio ed il confronto sulla Parola di Dio della domenica, non in vista della predica ma della propria vita. Poi condividono il pasto del mezzogiorno. Questo succede ogni martedì…
Le resistenze non mancano, sia da parte di singole persone che di movimenti e non solo gli integralisti cattolici, ma anche i movimenti in auge con il Papa precedente (Opus Dei e Comunione Liberazione in particolare). Resta poi l’incognita del clero che per primo è chiamato ad una conversione radicale. Ma il procedere di una Chiesa poggia anche sull’azione dello Spirito che parla alle Chiese. La speranza e la fedeltà potrà aprire il cammino. Resta la scommessa.

Luigi Forigo


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