La Chiesa dei poveri


Laura Ronchi scrive a Corrado Augias
Caro Augias, siamo membri di chiese evangeliche sconcertati dal fatto che gli immobili di proprietà ecclesiastica, anche se destinati ad usi non di culto, sono stati esentati dall’Ici. L’estensione del privilegio alle altre confessioni non attenua lo scandalo.
Siamo contrari perché:
a) Il mancato gettito dell’Ici ricadrebbe sull’intera collettività, compresi i soggetti che non hanno interessi religiosi, o appartengono a religioni o confessioni che non hanno stipulato – spesso non per loro difetto – intese con lo Stato.
b) L’esenzione di tali Immobili si risolverebbe in un ulteriore privilegio, in aggiunta a quello derivante dall’8 x 1000, a quello relativo all’incostituzionale finanziamento pubblico – diretto e indiretto – di scuole e università private, a quello previsto per le attività parrocchiali e nelle strutture sanitarie, per non dire dell’immissione in ruolo senza concorso degli insegnanti di religione cattolica.
c) I numerosi – e ingiustificati – privilegi economici per la chiesa cattolica (la cui estensione alle altre religioni è una trasparente foglia di fico) sono con ogni evidenza dettati dalla caccia a un elettorato sedicente «cattolico», la cui esiguità numerica non ne diminuisce il peso politico, che può rivelarsi decisivo per il prevalere di una coalizione sull’altra, in un Paese spaccato pressapoco a metà.
Riportare la «difesa della religione» (meglio se cristiana, e ancor meglio se cattolica) a benefici economici, da un lato deresponsabilizza ancor più i credenti nel personale impegno economico, e dall’altro implica l’accettazione d’una sorta di «convivenza pacifica» tra Dio e Mammona.

Laura Ronchi

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Vorrei che la questione fosse chiara almeno nei suoi termini pratici. I dati che riporto (arrotondati) sono del 2004 e provengono dal Ministero dell’Economia.
I denari distribuiti su scelta diretta dei cittadini sono circa il 40% del totale. Per le destinazioni principali essi vanno:

310 milioni alla chiesa cattolica;
35 mln allo Stato;
4 mln e mezzo agli evangelici valdesi;
1,4 mln. alle comunità ebraiche;
1,1 mln. ai luterani.

E chi non esprime preferenze? Magari credendo di risparmiare così quell’obolo? I denari sono in realtà prelevati automaticamente da tutte le dichiarazioni e ripartiti in proporzione alle scelte espresse. Alla chiesa cattolica vanno così altri 472 mln.; allo Stato 63; alle comunità ebraiche 2,2; ai luterani 1,6 mln. Ai valdesi niente, per loro rinuncia a fondi che non siano esplicitamente devoluti alla loro confessione (chapeau!).
Questa ripartizione è stabilita dalla legge 20 maggio 1985 con la quale s’è previsto, art. 47, che il contribuente avrebbe dedicato 1’8 per mille del suo reddito ad attività sociali, umanitarie e avrebbe scelto il destinatario: lo Stato o la Chiesa cui si sono poi aggiunte altre confessioni religiose.
Come mai una tale disparità (1 a 10 ca.) a favore della chiesa rispetto allo Stato? Per ragioni di fede, credo, ma anche grazie all’abile e insistente campagna pubblicitaria che la Chiesa si può permettere mentre Stato, e altre confessioni, non vogliono o non hanno i mezzi per fare.
Si potrebbe cambiare? Certamente, se ci fosse una volontà politica adeguata, aggiungendo per esempio fini assai meritori come la ricerca scientifica o la lotta contro il cancro.

Corrado Augias

(da “La Repubblica”, martedì 20 dicembre 2005)


 

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