Il vangelo nel tempo
Per idolo si può anche intendere una immagine distorta di Dio, sulla quale si basa il proprio modo di pensare e di agire e l’impostazione che si dà alla propria vita. E poiché nessuno può avere la presunzione di avere l’immagine giusta di Dio (cfr. Is 55, 8-9 ), tutti siamo esposti al rischio dell’idolatria e, probabilmente, siamo tutti un po’ idolatri… Ritengo quindi molto importante la ricerca che stiamo facendo.
Mi soffermo su tre possibili modalità con cui Dio può diventare un idolo, che mi sembrano molto attuali.
Il Dio dell’interiorità
“Nella storia idolatrica che ci ha partorito noi abbiamo avuto un mito, quello dell’interiorità. Noi abbiamo diviso il mondo interiore dal mondo esteriore. Per esempio: l’amore di cui parla il Vangelo è un fatto che riguarda il mondo interiore e non riguarda il mondo esteriore. Voglio dire: fra il sistema bancario e l’amore non c’è un rapporto… Mettere un rapporto fra il principio cristiano dell’amore e il sistema bancario sembra una balordaggine. E certo lo è, se le cose si dicono e si affrontano nella loro formale esteriorità.
“Ma se si va al fondo, non è per niente così. Per poter mantenere le banche e l’amore, noi abbiamo detto: l’amore appartiene al mondo interiore e le banche al mondo esteriore. L’economia va per conto suo con le sue leggi e l’amore va per conto suo. Ecco un’eresia che colpisce nel cuore il Vangelo e la verità umana. Che cosa è questo mondo interiore? L’interiorità è il luogo sorgivo delle relazioni esteriori, non ha un’autosufficienza. Non c’è l’interiorità. Essa è il luogo di origine delle relazioni che ci danno identità pubblica, che influisce, poi, a sua volta, nel determinare la nostra interiorità. Ma assumere il mondo interiore come un mondo significante di per sé è un errore, fatto apposta per mantenere il mondo esterno così com’è. In realtà un Dio conosciuto solo nella sfera dell’intimità è un idolo, non è un Dio vero.
“Certe forme religiose che ritornano, in questo clima da anno zero, sono alienazioni perché riscoprono il Dio della interiorità pura, il Dio delle estraneità al mondo, il Dio che si incontra nel momento in cui si fugge dal mondo. È un Dio idolo, non è il Dio di Gesù. E non è il Dio dell’uomo”. (E. Balducci, Il vangelo della pace, vol. I, Borla 1986, p. 375 ss.).
Il Dio del dominio
Nel corso dei secoli la teologia del Dio onnipotente e le varie dottrine sui regimi assoluti si sono legittimate vicendevolmente, per giustificare da un lato l’oppressione delle coscienze e il controllo sociale da parte delle Chiese, dall’altro il dominio e lo sfruttamento sulla vita materiale della gente da parte dei Principi.
Il Dio, in nome del quale si sono combattute crociate e guerre di ogni genere, si sono accesi roghi e celebrati giudizi sommari, è ritornato alla ribalta. Il proclama “Dio è con noi!” risuona ancora sui campi di battaglia. Dio è ancora invocato per giustificare conquiste, oppressioni e ingiustizie…
Eppure “il Dio della Bibbia è un Dio che ascolta il grido dei maltrattati. È un Dio vindice dei poveri, che non se ne sta a ricevere il fumo delle vittime.
“Questo Dio non è stato (e non è) molto predicato; e quando è stato predicato… sappiamo come è finita la teologia della liberazione.
“Il Dio della Bibbia è il Dio della liberazione, che trova la sua piena e ultima manifestazione in Gesù, giustiziato come un malfattore dai due poteri religioso e civile” (E. Balducci).
E ancor oggi il Dio della Chiesa non è un Dio di dominio? che ne garantisce l’autorità e l’autoritarismo, l’opulenza e il potere morale, politico ed economico.
Dice giustamente Moni Ovadia:
“Cesare è al servizio responsabile della società, questo è il suo unico ed esclusivo potere, non ha nessuna autorità sui diritti e sulla dignità del cittadino. Quanto al sacerdote, si limiti a celebrare e santificare il valore della fede come libertà interiore, e si astenga dalla tentazione luciferina di ritenersi mediatore della volontà divina”.
Il Dio dell’esclusione
Abbiamo vissuto e condivisa con la Chiesa conciliare e nella classe operaia idee ed esperienze forti, come l’antifascismo e l’antirazzismo, l’internazionalismo operaio e l’ecumenismo. Oggi sono tornati alla ribalta dei miti che pensavamo tramontati, come la difesa delle proprie radici e dell’identità culturale e religiosa, richiami ossessivi in favore della famiglia e della legge naturale. Sentiamo spesso le autorità della Chiesa parlare lo stesso linguaggio di “atei devoti” e interessati nel difendere simboli e tradizioni religiose, che con la fede hanno ben poco da spartire. Tutto questo per escludere i diversi da noi, per negare diritti a chi proviene da altre culture e tradizioni religiose.
“L’autentico uomo di fede ha il dovere di riconoscere la piena dignità del non credente, dell’agnostico, dell’ateo, i cui pensieri lanciano la sfida a sgombrare il cielo dal dio becero e ‘minus habens’ dispensatore di premi e punizioni a misura di una religione di potere, che ricatto gli uomini per coartarne la capacità di pensare.
Libertà, uguaglianza, fraternità sono principi estremi o non sono. Ridurli è insensato, non accettano la logica della moderazione, non ne esistono versioni domenicali, gastronomiche o turistiche. Verso questi principi siamo tutti impegnati in prima persona. Non possono essere imposti o elargiti, ma conquistati con un processo paziente di piena consapevolezza. Generazione dopo generazione” (Moni Ovadia).
Conclusione
Il vitello d’oro di Esodo 32 è un’immagine rigida e definitiva, preziosa e splendente, nella quale possiamo vedere raffigurato il complesso di dogmi, riti e norme morali che costituiscono la struttura delle religioni.
Mosè che rimane sulla soglia della terra promessa, il vangelo di Marco con la sua “critica della religione”, Gesù che prospetta la distruzione del tempio per “adorare il Padre in spirito e verità” (Gv. 4, 23) ci propongono un cammino di fede che non è adesione a schemi predefiniti e immutabili, ma è inoltrarsi su strade inesplorate, è accettare il rischio della ricerca e del dubbio, è attenzione e ascolto del Dio che ci si rivela nella storia e nella vita delle persone.