“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
Il commento di Ratzinger alla figura di Charles de Foucauld dove si diceva “Solo partendo da lì la chiesa potrà prendere nuovo slancio e guarire. Non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo contro la potenza della ricchezza, se nel suo seno, Nazareth non è una realtà vissuta”, è apparso su “Avvenire”. Non si sa perché fanno uscire questi articoli. Ho avuto occasione di ascoltare Ratzinger una decina d’anni fa, due volte nel giro di dieci giorni, in due occasioni diverse.
La prima in una chiesa valdese dove ha fatto un discorso molto aperto ed ecumenico e dieci giorni dopo all’Agustinianum sull’aborto. Mentre stava per uscire da quest’ultimo incontro mi sono infiltrato tra i giornalisti e gli ho chiesto. “Eminenza, di tutto quello che ha detto lei, c’è qualche riferimento nel Vangelo?”. Probabilmente era molto stanco e rispose: “Sì, anche nel Vangelo”.
Che si parli da una parte in modo molto aperto e dall’altra parte in ambiente cattolico in maniera molto rigida probabilmente è necessario per attrezzarsi per poter gestire il potere della Chiesa. Evidentemente chi deve gestire un’organizzazione non deve mai avere un solo strumento, una sola faccia. Mi auguro che la domanda del nostro incontro: “Dov’è la Chiesa dei poveri”, rimanga sempre, perché la Chiesa dei poveri non può mai avere una indicazione precisa, non può esistere una organizzazione di cui si possa dire: questa è la chiesa dei poveri. Si entrerebbe in contraddizione perché se la chiesa dei poveri deve avere uno sguardo dal basso e deve essere gratuità, tutto ciò che deve essere guardato dal basso deve essere sempre più basso. Per definizione deve essere più indecifrabile e invisibile. Sono d’accordo su quello che diceva Chenu, che la Chiesa nel Concilio si deve confrontare col Vangelo, ma non è sufficiente. Essa si deve confrontare non solo durante, ma sempre.
Parto da questo tipo di visione delle cose: una chiesa ufficiale deve sempre esistere così com’è. La vera Chiesa, quella che dovremmo riuscire a portare avanti noi è la Chiesa del sogno, la Chiesa di cui non si possa dire: “è in questo posto o è in quest’altro posto”. La Chiesa sotterranea può emergere rarissimamente nell’arco della stessa vita, solo in qualche fase, come lo fu per Francesco d’Assisi. Infatti più tardi, rifacendo la sua seconda regola ha dovuto cedere alla Chiesa ufficiale. Anche noi preti operai se dovessimo augurare una chiesa dei poveri perché sia strutturata in maniera visibile andremmo in contraddizione.
Confrontarsi con il Vangelo: evidentemente nella ricerca della Chiesa dei poveri ci dovrebbe essere il desiderio di lasciar parlare i poveri: quello che don Milani ha cercato di fare nella società, in modo che anche i contadini avessero un’istruzione di un certo livello, messi nella condizione di parlare di fronte agli altri, alla società e a faccia alta.. Nella Chiesa non l’abbiamo neanche come proposta.
Una Chiesa dei poveri è una Chiesa in cui tutti hanno diritto di parola, all’interno dei grossi incontri, all’interno della messa. È vero che qua e là da qualche parte si fanno dei tentativi, per esempio in America Latina o in qualche chiesa d’Italia, però tutto fatto in maniera sotterranea. Evidentemente non potremmo andare più in là di questo.
Noi che lavoriamo insieme con gli altri, noi che condividiamo la fatica con coloro che stanno nei gradini più bassi della società, dovremmo promuovere la possibilità che tutti quelli che stanno intorno a noi, tutti quelli con i quali abbiamo a che fare, prendano coscienza che loro possono parlare di fronte alla società e alla Chiesa non solo di problemi generici, ma che possano insegnare il Vangelo alla Chiesa: al papa, ai cardinali, vescovi e preti e dire che il Vangelo afferma questo e quest’altro. Far emergere questa coscienza aiuterebbe tutti quanti a dire: la Chiesa può essere veramente di tutti.