INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”


Mi viene da chiedere: cos’è la povertà oggi? Ci sono diversi aspetti di essa, presenti anche nel mondo capitalistico più sviluppato. Provo ad individuarne qualcuno:

1. povertà economica: non avere mezzi materiali di sussistenza sufficienti per vivere.
2. povertà sociale: avere spendibilità ma non contare nulla nella società.
3. povertà politica – relazionale: avere nella solidarietà e nell’organizzazione l’unico appoggio.
4. povertà esistenziale: essere dipendenti dagli altri in tutti gli aspetti della vita, come la salute, gli affetti, la psiche…

Sono povertà che possono innescare reazioni positive oppure no. La forza “liberante” che solo esse possiedono è duale e non univoca. È duale perché la storia cammina con le gambe degli uomini ed è aperta a diverse possibilità. Se il Regno è il “cosa“, il “come” è un cammino che tocca a noi costruire. Le poche letture sull’ebraismo che riesco a fare mi danno delle conferme in questa direzione ed a me piace molto la concretezza e l’essenzialità della cultura rabbinica.
Paolo De Benedetti nel suo “Ciò che tarda avverrà“ (Ed. Qiquajon) mette in risalto il compito che è affidato agli uomini di ricerca, traduzione, realizzazione della parola.
L’autore dice che ogni parola della “Tora“ ha 70 sensi (il numero sta per tutti i popoli e le lingue della terra) più “uno“ ; che siamo noi stessi, noi in prima persona, il fatto che Dio ci parla. Il suo “davar“ è insieme “parola e cosa”.
“Per Dio, dice De Benedetti, c’è pochissima differenza tra il creare il mondo e raccontarcelo”. A che fine? Al fine di riprodurre noi stessi la sua creazione. Importante il richiamo della relazione al “punto luminoso“; ma oggi più che di sottosviluppo parlerei degli “squilibri dello sviluppo“.
Oggi c’è un capitalismo transnazionale, qualcuno lo ha definito “turbocapitalismo“, che invade tutto il pianeta e si spartisce imperialisticamente le aree di influenza diffondendo capitali, tecnica, profitti, ricchezze, povertà, schiavitù, sfruttamento, guerre… E cioè la società borghese sviluppata! Tutto insieme con le sue classi e sottoclassi, frazioni, stratificazioni, commerci, politiche, parlamenti, ideologie, illusioni… compreso borghesie locali “new entry“ che fanno con non meno cinismo i loro affari.
Sono cose che secondo me vanno considerate, per non cadere nel rischio di vedere in una banda di ladroni solo quelli più noti e che magari sparano di più perché sentono in pericolo il bottino a cui sono abituati. Una Cina al 9-10 % di incremento annuo del PIL è una imminente potenza imperialista, come nei fatti lo è il continente europeo, con la sua moneta e, tra poco, il suo esercito.
Ci sono differenze quantitative , non qualitative tra le potenze mondiali.
Mi sembra dunque importante vedere le povertà dello sviluppo che passano trasversalmente tutti i paesi del mondo. Poi in fabbrica si ha a che fare con persone che, momentaneamente, non sono toccate dalla povertà, ma da tutte le altre sì. Ed anche la n° 1 potrebbe apparire con estrema rapidità, quando meno te l’aspetti. Questa è la grossa differenza con la staticità del mondo contadino che ci siamo lasciati alle spalle. Si sono rotte in 50 anni relazioni secolari ed altre ne sono sorte e continuano a sorgere. La caratteristica dell’uomo economico mondiale è l’estrema interdipendenza (anche se magari personalmente si cerca il contrario e ci si illude…) e l’estrema vulnerabilità , frutto di una instabilità mai vista.
Se questa è la povertà di oggi è vero che abbiamo bisogno gli uni degli altri… ma per combattere questa povertà. Ci sono molti modi di farlo, molti punti di contraddizione.
Per il mondo a cui appartengo, a quello operaio, credo che si vada verso l’emergere dell’operaio-globale, dell’operaio-sociale. Non sono uscite per ora in questi anni nuove soggettività rivoluzionarie oltre a questa di tradizione social-comunista, che sta a sua volta cambiando, e non poco! Un operaio cosciente non potrà più pensare entro i limiti della sua fabbrica (qui sono stati ormai abortiti i miti fordisti pansindacalista) o del suo paese (idem per i miti dei socialismi nazionali ).Si gira pagina, il tempo è scaduto. I nuovi orizzonti che si aprono sono la filiera, le dimensioni per lo meno continentali dell’associazionismo operaio, i confronti multirazziali e multiculturali, i problemi del territorio, l’ambiente. Tutte cose da assumere in prima persona.
Sembra un compito impossibile, perché a volte si fa fatica sulle questioni quotidiane … figurarsi.
Ma l’errore che commettiamo è di credere che tutto sia scontato. Guardate cosa ha scatenato in Francia la questione della precarietà, come in autunno quella dell’emarginazione.
Forse la mancanza di senso è un’altra grande povertà moderna, e noi ce la dimentichiamo.

In tutto questo vi chiedete, dov’è la chiesa dei poveri. Parlo molto da “esterno”, quindi abbiate pazienza. Secondo me, riconoscersi “culturalmente poveri“ (Dossetti) vuol dire non lasciare, ad esempio, il mondo del lavoro agli apparati, agli specialisti, a ciò che è “istituzionalmente preposto”.
Perché questi, più che riprodurre “mondanità, logica dell’opulenza e modelli consolidati (Fiorini) non fanno! Non nego ovviamente l’importanza delle competenze; il problema è che esse non diventino potere: l’avere cioè sempre l’ultima parola, quella definitiva, sulla vita degli altri, fossero anche i loro “ rappresentati“.
Lo stesso vale per la politica, dove più che mai urge una dimensione profetica …il gusto della sfida, di misurarsi con i problemi inediti del nostro tempo non tanto “per“ questo o quello, ma “in“ cioè dentro la storia.
Oggi da noi c’è un serio problema derivato dall’appiattimento, dalla prostrazione a come va il mondo… si litiga su chi è più bravo a far andare questa macchina scassata!
Nelle aziende regna il vitello d’oro delle leggi di mercato. Vi ricordo che “l’europeista“ Siemens ci ha venduti ed ha portato la produzione in Slovacchia per qualche punto in più di profitto… oltre che alle solite questioni delle tasse e compagnia bella.
Ma questo vitello lo buttiamo giù, come ha fatto Mosè, o ci limitiamo a supplicare il popolo di non esagerare con l’idolatria? Su quanto detto e su temi come la guerra, gli armamenti… la chiesa è “allineata”. La rivoluzione cristiana non passa ancora per la strada della non-obbedienza. Mancano parole forti e chiare sul fatto che in Iraq sono morti dei militari italiani in missione di guerra e non di pace! È guerra e non pace uno stillicidio quotidiano di morti ammazzati. Come è guerra l’ecatombe di morti per sfruttamento che non interessano a nessuno.
Mancano parole e gesti forti e chiari, la Chiesa del Concilio Vaticano II si è persa per strada.
È “ l’andare verso“ che oggi vedo bloccato, fatta eccezione per esperienze come la vostra e come quella di uomini come Luisito Bianchi.
C’è sete di parole profetiche, di gesti profetici, di vite profetiche. E questa storia credo sia appena agli inizi.

 

Graziano Giusti


 

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