Nella crisi della Galileo (1)


 

La dimensione sociale della lotta. Il mondo cattolico

Quando esplode la crisi della Galileo – la seconda grande fabbrica metalmeccanica a Firenze dopo la Pignone – Angelo Roncalli era papa da pochi giorni. Nell’ambiente fiorentino in particolare, si nota un fermento di idee e di posizioni che proprio durante la vicenda dei licenziamenti alla Galileo porteranno alla luce un dibattito piuttosto vivace sui temi del lavoro e dell’impegno sociale della Chiesa. È bene chiarire che tranne alcune posizioni molto particolari, (quelle di La Pira o di alcuni parroci particolarmente attivi, e tra loro specialmente Bruno Borghi, definiti da un giornale conservatore “marxisti chiercuti”) il travaglio del mondo cattolico non significa crisi dell’unità politica dei cattolici. Tuttavia le divergenze tra le ACLI e la CISL e tra le ACLI e la parte più conservatrice della società italiana, che pure si professa cattolica, emergono con forza e con ogni probabilità questa attesa dialettica ha origine nell’atteggiamento e nella riflessione di molti militanti “di base”.
È un confronto che è alimentato anche dalle posizioni avanzate della gerarchia ecclesiastica fiorentina: in particolare l’intervento del Cardinale Elia Dalla Costa (con la famosa notificazione ai fedeli egli non poteva che “…scegliere la parte di coloro che sono nell’incertezza per il loro avvenire”), provoca non poche polemiche e varca i confini del nostro paese con un’eco di particolare importanza in Francia, dove l’Arcivescovo di Lille, Cardinale Liénart, prende posizione in favore dei lavoratori in un’analoga situazione che si era presentata in alcune fabbriche tessili della città.
Bruno Borghi, allora giovane sacerdote, in una testimonianza raccolta per questa ricerca colloca l’intervento nella giusta dimensione, ritenendolo dettato dalla preoccupazione per il disagio e la povertà che potevano colpire quasi mille famiglie e non da un’adesione del Cardinale alla lotta sindacale; però sappiamo anche che quell’intervento fu sollecitato e preparato da un gruppo di sacerdoti che da anni erano attenti ai temi della vita e della condizione operaia, nei quali evidentemente il Cardinale riponeva la sua fiducia: alcuni di loro avevano la responsabilità delle parrocchie del quartiere di Rifredi e dell’Opera della Madonnina del Grappa con la quale le Officine Galileo avevano stretti legami. A questo loro impegno non era certo estranea l’esperienza dei pretioperai francesi e della JOC (Jeunesse Ouvrière Catholique) che fin dal secondo dopoguerra avevano condotto un’importante esperienza – alla quale proprio il 1° marzo 1954 il Sant’Uffizio aveva deciso di porre fine – di condivisione di vita nelle fabbriche, entrando nelle officine e lavorando fianco a fianco con gli operai.
Fu forse anche per questo motivo che il coinvolgimento delle parrocchie fu totale, insieme con quello dei numerosi circoli e case del popolo, in un convergente sforzo di solidarietà. I momenti di preghiera aperti a tutti divennero occasioni per una riflessione collettiva sull’importanza del lavoro come valore fondante della vita umana e sulla sacralità del luogo di lavoro come momento d’incontro di una comunità di persone, occasioni di elaborazione e di richiesta di una nuova legislazione sociale e di tutela del lavoro.

La vertenza della Galileo e la Curia di Firenze
Il cardinale Dalla Costa e il Vescovo Florit

Questa impostazione è ripresa dall’Arcivescovo Coadiutore di Elia Dalla Costa, Ermenegildo Florit, il quale richiede esplicitamente la “tutela giuridica del lavoro, come si ha per la proprietà”: scelta argomentata non solo con la volontà di arginare le lotte dei lavoratori (soprattutto quando la dimensione sociale dello scontro diveniva particolarmente aspra e “pericolosa” per il ruolo che vi svolgevano i partiti e i sindacati della sinistra), ma anche quella di sollecitare un più incisivo intervento riformatore da parte della Democrazia Cristiana che fino allora era apparsa ad una parte del mondo cattolico troppo debole.

La vertenza della Galileo e Giorgio La Pira

Più mirato e potenzialmente più ricco di implicazioni ideologiche fu l’intervento di La Pira il quale, come per la Pignone, si adoperò in prima persona per cercare una soluzione dignitosa alla crisi della Galileo. L’idea del primato del lavoro, e quindi del salario, sul profitto pervade tutta la sua azione al punto di arrivare a dire che avrebbe voluto vedere “chi licenzia al posto dei licenziati”, scatenando le ire di quella parte della società legata sia agli interessi del padronato italiano, sia agli ambienti politici di destra. Che l’operato di La Pira fosse inviso a molti ne è prova la denuncia che un avvocato di Perugia, Marcello Gramignani, presentò nel marzo del 1959 proprio in seguito al suo intervento nei fatti della Galileo (ed in, particolare per il suo interessamento per gli operai durante l’occupazione della fabbrica). L’accusa fu di “incitazione a commettere i reati di occupazione della fabbrica e di resistenza agli ordini dell’autorità”.

 La vertenza della Galileo e Don Bruno Borghi

Quella di Bruno Borghi, allora parroco di Quintole, una piccola frazione del comune d’Impruneta, fu invece una vera scelta di campo. Egli prese apertamente posizione in favore degli operai e dei licenziati della-Galileo tanto da scrivere una lettera nella quale li invitava e non temere le conseguenze dovute all’occupazione della fabbrica: lettera che gli costò la denuncia e il processo. E quando l’occupazione iniziò veramente egli si recò ogni giorno in fabbrica per partecipare alle riunioni che vi si svolgevano, per avere notizie sulle trattative, per portare la solidarietà dei suoi parrocchiani.
In un’intervista egli ricorda i legami d’affetto con Gianfranco Bartolini (allora segretario della Commissione Interna della Galileo) e con un gruppo di giovani operai delle ACLI, dei quali era stato precedentemente assistente. La sua personalità e quella di altri suoi amici (Don Milani, Don Rosadoni, i famosi “marxisti chiercuti”) influenzarono probabilmente la formazione e gli orientamenti di questi giovani, alcuni dei quali erano operai della Galileo.
Non a caso nella vicenda fu particolarmente attivo il circolo ACLI di Rifredi la cui principale attività era quella di “studio e formazione sociale”, mentre molto più limitata era quella ricreativa. L’assemblea del circolo prese più volte posizione in favore delle maestranze della Galileo e si oppose sempre con forza ai licenziamenti; promosse numerose riunioni e pubblici dibattiti durante tutta la vertenza, partecipò all’azione del comitato rionale in cui erano rappresentati tutti i partiti, i sindacati, le associazioni di Rifredi.
Di questo circolo facevano probabilmente parte alcuni operai della Galileo che, contrariamente alla posizione tenuta dalla CISL, parteciparono all’occupazione della fabbrica, convinti che solo l’azione unitaria dei lavoratori avrebbe potuto contrastare efficacemente le decisioni della SADE. Una posizione che da qualche tempo era maturata all’interno delle ACLI e che con ogni probabilità era stata tema di dibattito anche nel circolo di Rifredi; in particolare la rivista delle ACLI milanesi “Incontro” si era pronunciata a favore dell’unità d’azione dei lavoratori sul piano sindacale, unità “da ricercare di volta in volta su problemi e rivendicazioni concrete”. Lo ribadisce Marcello Gori Savellini, operaio della Galileo iscritto alle ACLI, mentre partecipa all’occupazione della fabbrica: “Noi operai della Galileo [….] ci sentiamo parte di una comunità e siamo impegnati a difendere la fabbrica e la città. Chi è rimasto nella fabbrica è rimasto per difendere un diritto di tutti”.

 

a cura di RENZO FANFANI


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