I vent’anni della rivista


 
Al termine del convegno “Operare giustizia in un mondo ingiusto” avevo voluto lasciare un messaggio esplicito ai presenti e, tramite loro, ai pretioperai italiani: “Non mollate! Non stancatevi di farvi sentire! C’è bisogno di voi nella Chiesa! “.
Che significa in concreto questo appello?
Penso in particolare a tre “linee d’azione”, anche in riferimento alla rivista:
– prima di tutto raccontare la propria esperienza di vita e le riflessioni che da essa scaturiscono. Le dense storie dei pretioperai sono di per sé eloquenti, almeno per chi abbia voglia di interrogarsi, e costituiscono già tasselli di una “Chiesa povera, con i poveri e a servizio dei poveri” (con in più, nel loro caso, il bagaglio acquisito nella condivisione coi poveri “come soggetti organizzati”);
– al tempo stesso essere presenti nella Chiesa, anche locale, col proprio contributo, col proprio punto di vista specifico, con la propria sensibilità oggi assai rara. Dialogare senza chiedere permessi, visto che questo è un tempo in cui non si ottengono riconoscimenti, ma serpeggia una nostalgia di maggiore autenticità;
– infine rafforzare i rapporti, i legami e le azioni comuni con quei gruppi e realtà che in Italia cercano di vivere e lavorare per una “Chiesa altra”. Non sottovalutate, tra l’altro, l’autorevolezza che le vostre scelte, l’esservi giocati l’esistenza in prima persona, vi dà.
Quindi non credo si tratti di “fare cose nuove”, ma di continuare a fare quelle di sempre. Magari con la consapevolezza che l’impegno a essere più visibili (per esempio, facendo uno sforzo economico per inviare la rivista a tutti i vescovi e i seminari italiani) non necessariamente è espressione di esibizionismo, ma spesso è assunzione di responsabilità.
Nei confronti della comunità ecclesiale credo che due debbano essere soprattutto i temi su cui continuare a offrire una riflessione fondata sull’esperienza: il lavoro e il ministero. Che sono poi i due pilastri dell’identità dei pretioperai.
– Sul primo vale la pena ricordare come il IV Convegno ecclesiale nazionale, svoltosi a Verona nell’ottobre 2006, tra i non molti elementi innovativi (almeno potenzialmente) proposti abbia offerto quello dell’individuazione della vita quotidiana come “alfabeto” per comunicare il Vangelo e della declinazione della testimonianza della Chiesa secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza). Anche il lavoro, quindi. Tuttavia, nella comunità ecclesiale la percezione dei (prima ancora che la riflessione sui) problemi connessi al lavoro, specie quello operaio, o al precariato, è scarsissima. Non a caso, in tempi in cui “i temi della vita” appaiono al centro delle preoccupazioni del Magistero e delle gerarchie, praticamente assente (a memoria ricordo solo un recente intervento della Pastorale sociale della diocesi di Novara, ma la Nota pastorale della Cei dopo Verona neppure li cita, nel fiacco riferimento al lavoro contenuto al n. 12) è la denuncia degli “omicidi bianchi”, un silenzio sostanzialmente mantenuto (con l’eccezione doverosa delle omelie del card. Poletto) in occasione della recente strage della Thyssenkrupp, che pure è riuscita a guadagnarsi un po’ di spazio sui mass media grazie (!) al numero di lavoratori coinvolti e restare un po’ più a lungo sulle prime pagine per lo stillicidio dei decessi. D’altro canto come possono la gerarchia e il suo Magistero dire qualcosa di significativo su questa parte fondamentale della vita della gente, quando non la sperimentano ogni giorno nella propria carne?
– Sul secondo, poi, va detto che la necessità e l’urgenza di ripensare i ministeri, a cominciare da quello del presbitero, e quindi il modello di Chiesa, è questione che tiene banco, più o meno soffocata, dal Concilio Vaticano II, e riemerge continuamente in ogni parte del mondo, con pratiche e proposte non di rado poco “ortodosse”, ma tollerate o rilanciate perché ritenute rispondenti ai bisogni e alle culture delle comunità locali (dall’utilizzo dei preti sposati nelle diocesi di rito latino di paesi del Sud del mondo all’affidamento della presidenza dell’eucaristia a laici in zone dell’Europa particolarmente segnate dalla secolarizzazione).
Su tutto ciò sono convinto che i pretioperai, uomini eletti per il sacro che hanno scelto di condividere fino in fondo la realtà profana, abbiano molto da dire per il futuro.

Mauro Castagnaro


 

Share This