“Carico leggero e pesanti fardelli: l’Evangelo in Italia”
Incontro nazionale PO 2008 (19)


 
Provo a dire qualcosa anch’io. Trovo la leggerezza tutte le volte che si approfondisce e si trovano dei valori così grandi che poi non sono stati mai assolutamente capiti.
Una delle cose che mi ha più impressionato è che la Bibbia parla di giudizio. Ma il giudizio di Dio non è come l’abbiamo inteso noi, nel senso del giudice, del giudicare, di una imputazione. Il giudizio di Dio è l’incontro che chiarisce, discerne, mette in chiaro le cose.
Il giudizio di Dio è l’incontro con Dio.
Me l’ha fatto capire quel discorso evangelico in cui si dice che “il Padre non giudica il mondo e il giudizio l’ha rimesso al Figlio”, perché lui è il figlio dell’uomo, è lui l’incontro. E questo mi sembra importante: accogliere Dio significa accogliere il suo dono di Presenza.
Noi abbiamo sempre letto le cose dal punto di vista del diritto romano, quindi l’accusatore del pubblico ministero ed il bisogno di mettere degli avvocati difensori, cioè l’intercessione dei santi, perdendo così di vista un altro tema che mi è stato caro studiare.
L’intercessione è lo spazio che intercorre tra la situazione di gloria e la situazione di vita.
Cosma e Damiano erano ricordati perché medici, anarguoi, cioè senza soldi, senza argento: donavano il loro sapere costituendo un beneficio per gli altri. I due diventano degli avvocati difensori dei medici. Non vale niente che conducano una professione in modo da colmare lo spazio tra la situazione della vita e la situazione di gloria nei cieli.
Dietro all’idea del tribunale della giustizia c’è l’idea dell’applicazione della legge e tutta l’impostazione della morale, dove si è perso assolutamente il senso del peccato per costruire un senso di colpa.
La gente normalmente non ha il senso del peccato, quindi il senso di un discernimento della situazione, di una lettura, di un collocarsi da una parte, un’attenzione verso le cose che vive, che potrebbero essere il peccato.
Una semplice indicazione: quando vado in macchina io non guardo perché ci sono davanti dei bambini, vecchi o invalidi, guardo solo perché il cartello mi indica 50. Sul cartello c’è il limite di 50 e se vado a 55 ho un senso di colpa. Il senso del peccato invece mi indica una responsabilità, un’attenzione, un discernimento della realtà, mentre la sicurezza del limite, della legge, è solo quella che ti dà il senso di essere dentro o fuori. E tutto questo è molto pesante, porta avanti una visione che poi diventa sempre più un esercizio di potere.
Io credo che scoprire il senso del peccato anche dal punto di vista teologico, biblico, ti fa scoprire molte cose, rimettendole nella loro collocazione. E questo ci fa uscire da quella schiavitù cerimoniale, rituale, da tanti modi di fare e di collocarci ed anche di vedere la chiesa e l’autorità.
Tutte queste figure viste in una situazione, deformata da una visione di fondo.
Parlando di me, devo dire che il contatto con la vita, con il lavoro, con una certa competenza dal punto di vista professionale mi ha aiutato molto a ricollocarmi anche dal punto di vista del credere e anche un certo modo di fare il parroco. C’è un modo liberante, c’è un modo castrante. Presentando le stesse cose, ci sono strade diverse di cui una è più leggera ed una più pesante. Guarda caso la più pesante è quella più immediata, più diretta ed anche la più facile. I santi sono gli intercessori, ci difendono e ci aiutano.
Questi modi ci richiamano al mondo dell’idolatria. D’altra parte mi accorgo che predicare contro queste cose non porta da nessuna parte, ed è anche ridicolo perché questo è un compito arduo e che è impossibile cambiare la situazione: il bisogno di avere delle cose da toccare è grande. D’altra parte se uno vede i gruppi che nascono, gruppi di preghiera, si accorge che c’è del fanatismo, che non è leggerezza, un incontro con la luce, con la Parola. In fin dei conti tutti i temi dell’incontro con Dio, della Luce, della Parola, diventano estremamente importanti, quindi il compito di rivalorizzare questi punti nella catechesi del Battesimo, con un’attenzione che porta non a lavorare contro, ma a lavorare altrove.
Per me è importante perché se si vive in sacrestia, si muore in sacrestia, con tutto quell’odore di incensi, che caratterizza proprio quell’ambiente. Bisogna respirare un’altra aria, scoprire che si respira meglio fuori, imparando a portare fuori un po’ di sacrestia, invece che viceversa.

Beppe Giordano


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