Racconti di chi ha incontrato Cesare (2)
Cesare è arrivato a Sesto S.G. da Pero nel gennaio del 1970, insieme ad un altro sacerdote con la missione di dare vita a una nuova comunità parrocchiale in un quartiere periferico completamente proletario.
Per i primi tempi abitò nella casa cosiddetta “dei preti”, sotto la chiesa cattedrale di santo Stefano e lì fece i suoi primi incontri con alcuni giovani del quartiere dove sarebbe dovuta sorgere la nuova parrocchia.
Fu subito chiaro con noi: non aveva bisogno di gente che facesse l’elemosina ai poveri, agli operai. Aveva bisogno di giovani che si impegnassero ad acquisire strumenti culturali per cambiare la loro condizione da “oggetti a soggetti”.
L’anno prima i consigli di fabbrica avevano sostituito le vecchie commissioni interne nelle fabbriche di Sesto e di tutta la provincia di Milano. Questa nuova organizzazione operaia avrebbe dovuto dare agli operai la possibilità di partecipare alla formazione delle decisioni e di dire la propria. In realtà ci si rese conto, dopo il primo entusiasmo iniziale, che se gli operai non avessero avuto gli strumenti minimi per esprimere un pensiero compiuto, sarebbero stati comunque ingannati da chi sapeva molte più parole di loro.
Ai giovani Cesare insegnava che il mondo poteva essere diverso, che si poteva sognare di cambiare una situazione sempre più classista.
Insieme a lui studiavamo; usava come libro di testo una raccolta di scritti suoi, che aveva intitolato El niño che no estudia, no es buen (r)evolucionario, con cui riusciva a svelarci la menzogna della società capitalista.
Vorremmo sottolineare il verbo “studiare”. Per Cesare era molto importante lo studio: non si era mai finito di imparare e quando poi uno sapeva, doveva insegnare a chi non sapeva. Tutti avevamo qualcosa da insegnare: bastava imparare ad esprimersi.
Verso la fine del 1970 Cesare con l’altro sacerdote si trasferisce dal centro di Sesto al villaggio Ceca della Parpagliona. Il loro arrivo destò stupore negli abitanti del villaggio e del quartiere almeno per due motivi: non si erano mai visti prima di allora preti che abitavano in una casa di operai con gli operai; non si erano mai visti preti senza chiesa. Nella mentalità comune della gente c’era l’idea che, se arrivavano dei preti, si sarebbe poi costruita la chiesa con l’oratorio e la casa parrocchiale. Perché là dove c’erano gli operai cresceva il comunismo!
La scommessa di Cesare fu questa: restare in quartiere e formare una comunità di adulti; la struttura della chiesa sarebbe venuta dopo.
Lo slogan che cercò di portare fu: “come in fabbrica, così in quartiere”. Nacquero così: i corsi di scuola popolare, per permettere agli operai di acquisire gli strumenti del leggere, dello scrivere, del far di conto, che davano poi ad alcuni di loro la possibilità di acquisire il diploma di terza media; i corsi per analfabeti, per dare strumenti del leggere e dello scrivere a chi non li aveva; i gruppi di giovani e di adulti, che intervenivano sull’urbanistica e sulla salute degli abitanti del quartiere; i gruppi di giovani e di adulti che interveniva sulla scuola a partire dalle strutture scolastiche; alcuni giovani che cominciarono ad inserirsi nelle strutture politiche di governo del quartiere.
Le persone per Cesare erano molto importanti, soprattutto le più povere, le più oppresse. Per questo ha sempre preteso che qualsiasi intervento fosse preparato con cura e intelligenza. L’improvvisazione, il parlare “a braccio” non erano nel suo stile ed esigeva che chi voleva lavorare con lui seguisse questa pratica.
Cesare se ne andò da Sesto nel giugno del 1974 per seguire la sua vocazione. Voleva diventare prete operaio per condividere la vita degli operai; essendo prete voleva farlo però non di nascosto, ma con il permesso del Vescovo. C’era però una condizione: se avesse accettato di diventare prete operaio della diocesi di Milano, avrebbe dovuto lasciare la comunità parrocchiale e il quartiere.
Ad ogni modo era riuscito a trasformare il nostro quartiere dormitorio in un posto vivo, dove la gente usciva per partecipare alle assemblee e alle decisioni da prendere.
Raffaella Ferrari e Gigi Trezzi