Antologia di scritti di Don Cesare Sommariva
La maggior parte degli scritti di don Cesare hanno a che fare con l’intervento culturale realizzato “in” cooperativa. Quali scegliere “per dare l’idea” di un lavoro vitale di cinquant’anni?
Non ancora pronti ad affrontare un compito del genere, abbiamo deciso di attingere a due documenti soltanto: dal primo – A volte le cime arrossiscono, che contiene la teoria generale dell’intervento culturale, consegnata da Cesare agli animatori nel 2001 – abbiamo preso tre brani di sintesi; dal secondo – L’umano educatore, che contiene la teoria dell’intervento nel settore di autogoverno dell’educazione – abbiamo preso la pagina finale, che ben si accorda con la circostanza attuale, di ricordare un fratello con cui abbiamo vissuto, nel senso più vitale del termine…
I.
A volte le cime arrossiscono
Non è stato facile scegliere il titolo di questo quaderno che vorrebbe consegnare il meglio di questa storia di 45 anni dell’intervento culturale in diversi quartieri “popolari”. Un’infinità di passaggi, per arrivare a raccontare l’intervento culturale con una sola linea. Tanti passaggi, una fatica immensa, non vista, per tracciare nella storia un’unica linea. Pulita, dolcissima, un segno che è una visione del mondo in evoluzione.
L’a monte, l’essenza, i vari rivestimenti teorici: come è possibile riassumere tutto un quaderno con un titolo? In tre, in venti, in 200, ci abbiamo tentato. È solo il “punto cui siamo arrivati”.
… a volte le cime arrossiscono…
È la sintesi di tutta una storia dell’intervento culturale, che avevamo chiamato: come in fabbrica cosí in quartiere. Il testo di Teilhard de Chardin, da cui ho tolto quel titolo, è il seguente:
Se, sull’albero della vita, i mammiferi costituiscono una branca principale, la branca principale, i primati, e cioè i cerebromanuali, rappresentano dal canto loro la freccia stessa di questa branca, e se gli antropoidi sono la gemma stessa situata al termine di questa freccia.
Aggiungeremmo allora (…): è facile decidere in quale punto della biosfera debbano fermarsi i nostri occhi, in attesa di ciò che deve accadere. Noi sapevamo già che, alla cima, tutte le stirpi filetiche attive si riscaldano di coscienza. Ma in una regione ben determinata, al centro dei mammiferi, ove si formano i più potenti cervelli sinora costruiti dalla natura, le cime arrossiscono. E già si accende, nel cuore stesso della zona, un punto d’incandescenza.
Non perdiamo di vista questa linea imporporata di aurora.
Da migliaia di anni, una fiamma sta salendo sotto l’orizzonte: ora, in un punto strettamente localizzato, essa sta per divampare.
Ecco il Pensiero!
Il complesso o la totalità dell’intervento lo abbiamo nominato in tantissimi modi. L’ultimo è stato: la trasformazione delle strutture di linguaggio e delle strutture di pensiero attraverso l’assunzione di un territorio determinato da parte della società civile dei sei settori di autogoverno.
Però la totalità completa è quella del fenomeno umano. O almeno è la totalità quasi completa. Quella del fenomeno umano è una parte della totalità che noi abbiamo assunto, o meglio, che io ho assunto come punto di riferimento.
La scelta del titolo A volte le cime arrossiscono è dovuta a tre fattori: alla gioia che ogni animatore prova quando vede persone che iniziano a “pensare” e ad esprimere il proprio pensiero; al voler inserire questo evento nella storia della evoluzione totale; al profondo sentimento che sorge nel sentirsi in questo più umani con altri umani, nella lotta per “costruire” una nuova umanità.
Potrei mettere alcuni sottotitoli. Ne scelgo quattro: sono frasi che ci hanno a volte utilmente accompagnato.
• Non esiste il quartiere, esiste la quartierogenesi.
• La terre des ombres enfanterá une lumière. Era questa la sfida e il desiderio per noi che, nel 1970, iniziavamo a Sesto 6. Il paese delle tenebre figlierà una luce.
• Noi prenderemo la città con lo stupore. Con questo esprimevamo il desiderio della novità radicale che volevamo mostrare.
• Come in fabbrica cosí in quartiere. In fabbrica abbiamo imparato che l’omogeneità delle condizioni da sola non rende omogeneo un gruppo di operai, rispetto allo scontro. È necessaria l’omogeneità delle convinzioni.
Non l’omogeneità delle condizioni di lavoro definisce il gruppo omogeneo, ma l’omogeneità delle convinzioni. Eludere il problema della lotta interna è il primo passo per negare la necessità della lotta esterna. L’intervento culturale si pone innanzitutto a questo livello.
Potremmo aggiungere decine di altri sottotitoli: dare la parola; dire la tua parola; passaggio da oggetto a soggetto: da oggetto che subisce passivamente a oggetto che subisce attivamente; passaggio da coscienza intransitiva a coscienza transitiva ingenua e poi a coscienza transitiva critica… eccetera eccetera. Ma ci sembra che non sia per ora utile aggiungere altro.
Ai titoli aggiungo una breve nota di lettura e l’indice degli incontri.
1. All’inizio c’erano… “i gruppi di controllo di base”. Poi sono venuti i gruppi P.A.B. (partecipazione/animazione di base). Poi, quando nelle assemblee che eravamo riusciti ad organizzare su alcuni problemi del quartiere (edilizia scolastica, speculazione edilizia, piano regolatore, …) avevamo visto che la “gente” non riusciva ad esprimersi e si lasciava ingannare dalle belle parole dell’“autorità di turno”, siamo passati al dare la parola.
Da qui la scuola popolare, nelle più svariate forme, con la materia di base che era la famosa osservazione scientifica, e con i memorabili scontri per gli esami, per ottenere le commissioni “proprie”…
Fino alle famose 150 ore… che – assieme alle giunte di sinistra – riuscirono a “integrare” questi piccoli movimenti di base istituzionalizzandoli, eccetera.
2. Poi vennero i “secondi livelli” (cioè il tentativo di proseguire dopo la scuola popolare). Da qui venne il “metodo dei nove punti”, l’alfabetizzazione sanitaria… e poi il “prescuola” ed il dopolascuola… e poi… bello sarebbe fare la storia e narrare i bivi che abbiamo affrontato… Questo era stato un proposito.
Poi abbiamo guardato la lista degli animatori, delle varie generazioni di animatori, e ci siamo resi conto della necessità di offrire a tutti un alfabeto di base per avere un minimo di linguaggio comune.
Ed è così che siamo arrivati a inventare questo corso di otto incontri.
3. In questo corso cercheremo di offrire un argine (solo un argine), fatto di categorie e di concetti, che serva a comprendere un poco ciò che in questi anni abbiamo scoperto nella nostra ricerca/azione.
Cioè, se si legge solamente, senza far sorgere la domanda, senza far scoprire qualcosa di nuovo da ogni paragrafo, allora è meglio non far nulla. Però, se l’insegnante e gli “arbitri” sanno animare un poco, si preparano bene, scoprendo essi stessi qualcosa di nuovo, allora questo corso può davvero essere la base […].
(dall’introduzione di “A volte le cime arrossiscono”)
II.
Chi siamo e da dove veniamo
Il titolo potrebbe essere: nessuno si confonda. Nessuno ci confonda.
1. Le nostre origini sono certamente nel grande filone del movimento operaio italiano, che ha avuto una storia unica nel mondo. Alcuni fatti emblematici li ricordate tutti: il biennio rosso, Gramsci, la resistenza e la lotta partigiana, le lotte operaie a sostegno della democrazia fondata sulla costituzione, il grande Pci, la grande Cgil.
2. Negli anni ’50 arrivò fino a noi la grande corrente del cattolicesimo francese: Umanesimo integrale di J. Maritain, gli studi del gruppo di Economíe et humanisme di Lione, la Joc di allora (quelli di Pero ricordano il libro: Pescatori di uomini), i preti operai francesi… Quest’aria arrivò fino a noi. Don Milani è frutto anche di questa corrente. Se non si capisce questo, non si comprende uno dei perché abbiamo chiamato la cooperativa con questo nome. Questa corrente ha avuto anche buona parte nel tentativo di fondare un nuovo sindacato incominciando con gli inizi degli anni ’60: la Fim (che poi fece una magra fine) in cui alcuni di noi avevano messo tante energie.
3. Negli anni ’60 avvennero alcuni fatti, che molti ricordano per sentito dire, ma che non riescono a cogliere nel loro influsso che ebbero in Italia. Questi fatti furono le lotte di liberazione dei popoli. Faccio alcuni nomi che ricorrono nei nostri documenti. VietNam, Cuba, Mao, Mozambico (chi ricorda le regole del maestro popolare del Frelimo, fronte di liberazione del Mozambico,?)… fino al Nica… Tre erano i punti principali di riferimento nelle teorie e nella vitalità della lotta di qui tempi: VietNam, Mao, ed il “Che”. Le lotte operaie e studentesche di quei tempi non avrebbero avuto quel grande nuovo impulso degli anni ’60 ed inizi anni ’70, se non ci fossero stati quegli impulsi nuovi, che a volte portavano ad uno scontro con le vecchie dirigenze, che avevano altri punti di riferimento.
4. Non sto a ricordare tutto. Però non vorrei che si dimenticassero queste nostre origini. Lotte operaie, umanesimo integrale, lotte di liberazione dei popoli, sono strettamente collegate fra loro nelle nostre origini. Non si capirebbe la vicenda salvadoregna senza collocarla con il vero dialogo interculturale che è avvenuto in quegli anni.
Tutti ricordate il volto del Che nella prima pagina di copertina del libretto El niño que no estudia no es buen (r)evolucionario, scritto nel 1967. E nell’ultima pagina di copertina la foto dei guerriglieri argentini uccisi, con la frase morir por el pueblo.
È la testimonianza di quel gran dialogo interculturale, di cui oggi molti parlano a vanvera, ma che in quel tempo era avvenuto, compenetrando il meglio delle lotte in ciascun militante. Chi non ricorda la lettera del Che ai figli? Più che comprendere quelle lotte, ci entusiasmavano i loro ideali di una vita per la liberazione, per la creazione non solo di strutture nuove ma anche dell’uomo nuovo.
5. Forse alcune di queste cose non fanno parte dell’essenza del nostro intervento bensì fanno parte di quello che nel libretto verde abbiamo chiamato “a monte”. Comunque è utile per noi ricordarle perché a volte – a forza di mediazioni – rischiamo di confonderci con le brave persone che fanno un po’ di bene.
Che nessuno ci confonda o si confonda. A noi interessa la salute, l’educazione, il territorio, gli operai, l’istruzione di base. Certo. Come alla san Roque interessa il flauto ai bambini. Noi però non siamo suonatori di flauto, maestri di doposcuola, formatori di giovani, misuratori di pressione, insegnanti volontari, regolatori di traffico… Siamo questo ed anche ben altro. Ci interessiamo del piccolo territorio, ma il nostro territorio è il mondo. Ci interessa cambiare alcune cose, ma vogliamo cambiare tutto.
Nel nostro cammino siamo passati in mezzo a tante scelte e rinunce, perdendo anche amici e compagni. Questo “ben altro” non lo vogliamo perdere, in nessun modo. Se lo si perderà, la cooperativa chiuderà prima.
III.
Que mas?
Que mas? Cosa c’è di più da capire? In tanti modi possiamo sintetizzare quello che in questi tanti anni abbiamo scoperto. Oggi riassumerei tutto in 3 punti: a) una teoria per riconoscere; b) una ipotesi per decidere che fare; c) un argine da costruire per camminare e fare.
a. Una teoria per riconoscere e dare il nome
Io posso percepire un mucchio di cose, ma se non scelgo la teoria per ri-conoscerle e dar un nome, posso capire tutto il contrario. È la vecchia storia del sole che gira… dirò tre cose: nonostante tutto il polverone che fanno, appare sempre più chiaro che tutto gira attorno allo sfruttamento della forza lavoro. Quello che conta è il tempo di lavoro espropriato. Tutto il resto son storielle dei vari maghi.
b. Una ipotesi per agire, per decidere che fare, chi può fare…
È la questione dei soggetti storici per una trasformazione ominizzante e planetizzante. Sempre rimbombano, in modo ogni giorno più scuotente, le parole di Arturo Paoli: voi non potete fare niente. Voi non potete neppure essere persone umane vere, se i poveri non vi accolgono. Voi non avete le chiavi della vita. Queste chiavi le hanno gli impoveriti.
c. Un argine da costruire, da offrire, così che lo accolgano riconoscendosi, facendolo proprio, perché soggettivizzante. Questa è la terza cosa, che risponde alla domanda: che cosa offro perché lo accolgano? È qui che si collocano tutte le cose del nostro intervento. Ascoltare le esigenze, trasformarle in argine di cammino, riportarle in modo che si riconoscano, le facciano proprie e agiscano per costruire la nuova umanità…, la “mia” umanità. Ed è qui che si collocano i tre elementi: progettare a lungo periodo; camminare per cammini sconosciuti; facendo azioni concrete che diano informazioni, valori, comportamenti, adottabili nel breve periodo e nel quotidiano…
Que mas…? Cosa c’è di più da capire? Siamo qui e siamo uno specchio. Non siamo la realtà, ma appena un riflesso. Non siamo la luce, ma solo un barlume.
Non siamo il cammino, ma solo alcuni passi.
Non siamo la guida, ma solo uno dei sentieri che portano al domani.
IV.
Le tre leggi dell’umano educatore
A conclusione di tutto, possiamo porre le tre leggi dell’umano educatore. Prima legge: non aver paura. Seconda legge: non far paura. Terza legge: liberare dalla paura.
Dicesi umano educatore colui che sa stabilire una relazione tra umani, senza paura, senza far paura, liberando dalla paura.
Il contenuto della relazione non conta. Quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa aver a che fare con la paura. In un mondo in cui i poveri sono oppressi, i prepotenti trionfano, i miti sono disprezzati, occorre realizzare relazioni pulite e dolci, non sporche di premi, castighi, obblighi, non seduttive né sdolcinate, ma relazioni in cui ci siano nuovi incontri, nuovi riti, nuovi ritmi.
Per questo noi non saremo mai istituzione,
perché ogni istituzione chiede i suoi servi, perché ogni istituzione include ed esclude, e per far questo usa il premio, il castigo ed il sapere.
Tutte cose che provocano la paura di non essere premiato, di essere castigato, di non sapere.
Noi non costruiremo una organizzazione,
noi siamo e saremo solo un investimento di desideri
di liberazione dalla paura.
Il costo di tutto ciò è il pensare, lavorare, muoversi da minoranza,
con tutto quello che ciò significa di impotenza e di libertà.
Di noi non deve rimanere nulla,
al di fuori del ricordo di aver un tempo e per un tempo camminato assieme ricercando libertà e liberazione.
Questo patto fra uomini e donne che si riuniscono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo.
Nessuno educa nessuno.
Gli uomini si educano fra loro
nella costruzione di un mondo di libertà.
Questo è il punto a cui siamo arrivati.
E lo abbiamo scritto per averlo ben chiaro nel cuore e nella testa.
(dall’ultima pagina de “L’umano educatore“)