Sguardi dalla stiva (5)



Abbiamo chiesto a due sindacalisti metalmeccanici della CGIL
di raccontarci brevemente che cosa vedono dal loro angolo di visuale

 

I. Roberto Zanotto

La giornata di un sindacalista
raccontata in 13 punti di diario

 

1. Sono le 7, mi alzo. Sono già esausto, fisicamente e moralmente.
Da due ore penso a come affrontare insieme ai 180 dipendenti le comunicazioni che hanno ricevuto la sera prima dalla loro Direzione.
FIAT non pagherà il lavoro consegnato l’anno scorso, Volkswagen e Peugeot vorrebbero portare via il lavoro per farlo nelle proprie aziende. Sono stati sospesi gli ordini relativi ai nuovi modelli di autovetture che andranno in produzione l’anno prossimo; di conseguenza a settembre finirà tutta l’attività di progettazione e costruzione stampi per la carrozzeria; se mai vi sarà del lavoro da fare, verrà fatto innanzitutto dalle attrezzerie tedesche e francesi perché prima si proteggerà il lavoro e il reddito nei paesi in cui ha sede la casa automobilistica. Anche perché riceveranno finanziamenti dai loro Governi per questo.
A settembre non ci sarà più nulla da lavorare; e però da qui a luglio la Direzione chiede di lavorare 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Se non si accetta questa imposizione, si finisce sicuramente ad aprile perché Volkswagen porterà via gli stampi.
Dovremo inventarci qualcosa.

2. In ufficio mi aspettano 45 dipendenti (sugli 80 occupati) di un’azienda che produce e ricerca, con pochi concorrenti al mondo, particolari strumenti di misura.
Da novembre non ricevono lo stipendio, non hanno versato i contributi per la pensione da più di un anno, i fornitori non consegnano il materiale per lavorare perché non sono pagate le fatture.
L’azienda ha molti ordini nel cassetto ma le banche hanno chiuso tutte le linee di credito. Le banche dicono che oggi non c’è da fidarsi di nessuno: i soldi serviranno a loro per affrontare la crisi di liquidità che si presenterà tra poco.
Non è efficace neanche lo sciopero perché non lavorano, essendo senza materiale. I nostri strumenti usuali non sono più sufficienti.
Dovremo inventarci qualcosa.

3. Intanto arrivano 8 richieste di Cassa Integrazione Ordinaria: 4 aziende con meno di 6 dipendenti e 52 in tutto nelle altre 4. Non sappiamo dove collocare le assemblee e gli incontri: le settimane sono già piene, purtroppo dovremo decidere chi seguire e chi no, se l’urgenza dell’intervento non consentisse di spostarlo nel tempo.

4. Dopo le assemblee, incontro 10 lavoratori e una lavoratrice licenziati in tronco per cessata attività di un’altra azienda. Per molti di loro il rapporto con l’azienda dura da oltre 30 anni; nonostante questo il titolare dell’azienda non li ha preavvisati della sua decisione di chiudere; glielo comunica adesso, con la lettera di licenziamento alle 10 del mattino, invitandoli a lasciare l’azienda prima della pausa mensa.
I lavoratori non se la sentono di attuare nessuna iniziativa di protesta, tanto era forte il legame col titolare, e radicata l’abitudine a sopportare. Licenziati in tronco il 14 del mese per non pagare i ratei di ferie e tredicesima! Sono a casa senza lavoro; prenderanno la liquidazione e per un po’ l’indennità di disoccupazione. Poi basta!

5. Penso alle proposte generali presentate dalla Fiom-Cgil per affrontare la crisi, sorrido a pensare alle difficoltà che incontro nell’immaginare le azioni concrete immediate che devo inventare quotidianamente. Su tutte le casse Integrazioni decidiamo di chiedere tre cose alle aziende, per incrementare almeno in parte il reddito di chi resterà a casa con 700 o 820 euro mensili: chiediamo che vengano riconosciute le ferie e la tredicesima anche quando si è in cassa; chiediamo che ci sia una reale e controllabile rotazione così che non ci sia chi resta a casa ininterrottamente; e chiediamo che le aziende integrino una quota loro a quella anticipata per conto dell’INPS.
È poco, ma già ottenere questo è una gran fatica.

6. Il riconoscimento dell’organizzazione sindacale si è esteso moltissimo. Dipendenti che non avevano mai preso in considerazione l’iscrizione al sindacato rivalutano questa opportunità. In assemblea spesso affrontiamo la rabbia di chi si sentiva privilegiato, protetto dal rapporto personale col principale… e all’improvviso privilegi e protezioni sono scomparsi.

7. Scrivo la convocazione dell’attivo delle delegate e dei delegati delle aziende della zona per confrontarci sulla crisi e i suoi effetti e per costruire degli interventi o degli atteggiamenti di difesa. Mi sarebbe piaciuto convocare i delegati all’interno di un’azienda nella quale i 60 dipendenti iniziano oggi il quarto mese di lotta a difesa del loro posto di lavoro: sarebbe stato simbolicamente importante. Però la proprietà ci impedisce di entrare. Questa azienda, di proprietà americana, ha deciso di spostare la produzione in Friuli: là intende applicare solo il contratto nazionale senza i fronzoli delle conquiste aziendali.

8. Un’altra azienda, di proprietà italiana, il rimasuglio di un enorme gruppo statale degli anni ’70 forte nel settore dell’energia, ci fa sapere che, anziché spostare le attività nel nord est (sull’Adriatico) potrebbe mantenerne una parte qua, a condizione che vengano ridimensionati gli accordi aziendali, lo stipendio, le normative che alleggeriscono l’orario di lavoro; gli attuali 150 operai vorrebbe però sostituirli con altri che acconsentano di lavorare a uno stipendio più basso.
Piano piano proviamo a resistere, a inventarci qualcosa.

9. Arriva il delegato di un’officina meccanica. Il lavoro che prima svolgevano in una settimana è tutto quello che hanno da fare fino a giugno. Ci sarà la cassa integrazione per tutti e 22 i dipendenti.

10. A gennaio nelle assemblee dicevo che tutti i nostri settori metalmeccanici erano in crisi ad eccezione delle telecomunicazioni, dell’energia, di chi lavora per il petrolio e in parte di chi costruisce impianti per l’industria alimentare.
A febbraio, dopo i 20.000 licenziamenti comunicati da NEC, le difficoltà di Alcatel Lucent, la riduzione dei laboratori italiani di Nokia Siemens, dicevo che erano due i settori per ora salvaguardati.
A marzo molte aziende che intervengono nella progettazione e costruzione di impianti per la produzione e distribuzione dell’energia comunicano una riduzione di attività dal 20% al 40%, altre aprono la cassa integrazione.
Resta solo il petrolio e, per ora, le macchine che lavorano il cibo.

11. Domani avrò l’incontro con la Direzione di una trafileria. Richiede la Cassa Integrazione per tutti e 25 i dipendenti. Dice che può ancora integrare la quota dell’INPS perché ha un grande magazzino di materie prime e può evitare di comprarle per fare la poca produzione che resta. Però i clienti hanno già minacciato che tra qualche mese non avranno più risorse per pagare quanto consegnato.
Le aziende che ci preannunciano problemi economici a partire da metà 2009, legati al mancato pagamento dei clienti, sono tante; ai dipendenti resta la cassa integrazione a 700 euro mensili.

12. Domani pomeriggio abbiamo l’incontro con un’azienda che lavora per l’industria dell’auto: chiede la cassa integrazione per tutti gli impiegati della progettazione perchè non si sviluppano modelli nuovi. Più in là la cassa toccherà tutti gli altri 100 dipendenti.
La Direzione ci ha già dichiarato cinicamente che, lavorando in un mercato senza regole, non capisce perché lei debba rispettare le leggi e le norme che regolamentano il rapporto di lavoro. Lo dice e lo ripete con una tranquillità sorprendenti, come se non fosse vergognoso solo pensarlo, come se fosse normale, come se si aspettasse il nostro consenso. Fortunatamente per noi continua ad essere vergognoso e inaccettabile.

13. Intanto in ufficio arrivano 3 nuove richieste di cassa integrazione: un’azienda di 4 dipendenti, un mollificio di 14 e un’officina di 18; arriva anche l’avvio di una procedura di mobilità per 16 persone in un’azienda di 81 dipendenti che produce caldaie.
Si ricomincia.

Roberto Zanotto

Sesto San Giovanni (Milano), 6 marzo 2009


 

II. Antonio Amoruso

Ritagli da un intervento di un sindacalista Fiom-Cgil

Nella città della moda in costruzione, aspettando l’EXPO del 2015, c’è una parte della realtà che sta emergendo con tutte le sue connotazioni numeriche; su questa si stanno esercitando esperti del mercato del lavoro, economisti, politici, associazioni di datori di lavoro ecc. per annunciare al popolo che “mai abbiamo conosciuto una crisi del sistema finanziario ed economico di questa portata e natura”.
[…] 
Il capitalismo senza limiti, che ha impregnato le scelte dei paesi cosiddetti civilizzati ed invaso anche le coscienze dei cittadini e dei lavoratori nell’ultimo quarto di secolo, è apparentemente alle corde, come appare dalla crisi finanziaria che ci giunge dalla patria del capitalismo finanziario: l’America.
[…]
Nelle cifre che ormai riempiono i media di questo periodo e che indicano nel 550% l’aumento di ricorso alla Cassa integrazione a zero ore rispetto all’anno precedente, è necessario considerare che le piccole e medie fabbriche manifatturiere metalmeccaniche, che sono la stragrande maggioranza del sistema produttivo Italia e della realtà milanese, spesso lavorano con strumenti finanziari endogeni alle aziende (accantonamento TFR o altre cose simili) e a volte con esposizioni verso le banche anche rilevanti. Ricordo che nella cintura industriale milanese la media di addetti per impresa sta sotto i 30-40 dipendenti.
[…]
Nella Milano, motore dello sviluppo capitalistico, gli ordini e le commesse nel settore metalmeccanico sono calate mediamente di circa il 30-40 %. Nei due mesi di gennaio e febbraio sono state 313 le fabbriche che hanno fatto richiesta di cassa integrazione (CIGO) e mobilità. I lavoratori messi in Cassa Integrazione sono 7250.



I dati pubblicati dall’Inps confermano la gravità della crisi nei settori metalmeccanici: con 23 milioni di ore di cassa integrazione nel mese di febbraio 2009 e un incremento del 430% sullo stesso periodo dello scorso anno rappresentano più del 60% di tutta la cassa integrazione nell’industria pari all’assenza dal lavoro per l’intero mese di 150.000 lavoratori.
In realtà i metalmeccanici interessati dalla Cig superano le duecentomila unità in quanto la sospensione è in molte aziende a rotazione, e mediamente riguarda un periodo di due o tre settimane.
Se si guarda alla sola cassa integrazione ordinaria, che è il vero indicatore della violentissima crisi che interessa ormai tutti i principali comparti del settore metalmeccanico (Auto, Siderurgia, Elettrodomestici), si registra un aumento vertiginoso di oltre il 1048% rispetto a febbraio 2008, confermando l’andamento preoccupante di dicembre 2008, che aveva avuto solo una lieve attenuazione nel mese di gennaio 2009.
Le regioni più colpite sono il Piemonte e la Lombardia, che da sole rappresentano oltre il 60% di tutta la cassa ordinaria del settore e il 53% della totalità della cassa nei metalmeccanici.

FIOM-CGIL nazionale


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