L’IDOLO È NUDO: METAMORFOSI DEL CAPITALISMO
Interventi e riflessioni
Essendo da sempre portato a simpatizzare per le eresie e ritenendomi io stesso un eretico verso “dottrine” o “scuole di pensiero” alle quali mi sono ispirato nel corso della mia vita, è logico che in questo ambiente, nel vostro ambiente, mi senta a mio agio.
Ho molte difficoltà nell’addentrarmi nelle simbologie e nei segni delle Scritture, ma credo di poter ugualmente apprezzare la profondità con cui padre Felice ci ha introdotto nelle sue riflessioni. E vi dico subito che ho una certa invidia per come voi riuscite a discutere sul “guardarvi dagli idoli “.
È un compito arduo, che può portare dei frutti dentro una visione di fede, a condizione che in essa prevalga l’affiato profetico-spirituale-relazionale e non l’imperativo dogmatico-istituzionale-autoreferenziale.
Temo invece che gli ambienti che tuttora frequento, quelli di sinistra, quella “vera”, abbiano molte difficoltà in merito. Ed è un peccato, perché da qui s’irradiano ancora considerevoli cariche di passioni e di energie disinteressate, diffuse nella “base”, cioè nel compagno che condivide i pesi ed i rischi della lotta magari non per i “cieli”, ma certamente per una “terra nuova”.
Non sono mancati “cambiamenti” a sinistra: anche troppi a volte, e spesso fatti a capocchia, gettando via, come si dice, il bambino con l’acqua sporca. Ma esami seriamente anti-idolatrici pochini… e striminziti… e male impostati.
E non è questione tanto della, pur vergognosa, “corruzione parlamentare” dei nostri “eroi”, eletti per fare una cosa che diventa poi l’esatto suo contrario. È invece più che altro il sentirsi investiti di missioni storicistiche che vanno affermate ad ogni costo, usando pure le anticaglie borghesi se è il caso, e facendo precipitare nel baratro i tuoi stessi compagni di cordata se ritieni che in fondo essi ti siano d’ostacolo. La tua classe di riferimento è alla fine ridotta a puro materiale d’esercitazione storica, mai considerandola come soggetto protagonista. Non voglio essere frainteso per “catto-comunista”, anche perché quel “comunismo” d’epoca fortunatamente non c’è più. Eppure, recentemente, l’arcivescovo di Milano, per il solo fatto di raccogliere dei fondi pro-disoccupati, si è visto gettare addosso questo “epiteto” da gente che è proprio stupida… Non lo fa apposta: lo è sul serio… ed occupa pure cariche pubbliche.
Una di queste domeniche sentivo leggere da Mario, su all’Eremo di S. Paolo d’Argon, quel brano degli Atti degli Apostoli dove si dice che si metteva tutto in comune e ognuno prendeva ciò di cui aveva bisogno. Ho detto subito a Mario che questa lettura, soprattutto in periodi come l’attuale, andrebbe citata ogni domenica in tutte le chiese e che per me questa dovrebbe essere la vera “dottrina sociale” della chiesa. Essa non ci dice come arrivare diffusamente a quella comunanza e condivisione, ma ci dice che il Regno di Dio in terra è così fatto. E non è solo un problema di “cose”, lo capiamo tutti benissimo: è la relazione-amore di cui padre Felice parlava.
Io questo rapporto di umanità lo chiamo comunismo. Se la parola può dar fastidio la si chiami altrimenti, non è importante. E come me, e molto meglio di me, in altra epoca, quando nacque la cosiddetta “questione sociale” dei moderni salariati del capitalismo, molti precursori del comunismo diedero tutto di sé, lasciandoci spesso la vita, per non abbandonare a marcire masse di sfruttati di ogni età tra gli ingranaggi dei telai ed i veleni delle miniere, oppure nelle topaie degli slums inglesi. Non solo: si provarono anche ad indicare loro vie concrete d’emancipazione. Parlo dei Babeuf, Owen, Saint-Simon, Fourier… e dei Cartisti: il primo partito operaio.
Siamo alla metà del XIX secolo: nel 1848 Marx ed Engels scrivono il “Manifesto del partito comunista”, dove si cerca di dimostrare l’ascesa e la caduta del capitalismo come conseguenza delle leggi sociali obbiettive e, contemporaneamente, dell’intervento cosciente di una classe, quella operaia, che “ha un mondo da guadagnare”. Molti hanno attribuito all’origine ebraica di Marx questa ed altre profezie. Nel 1891, cioè 43 anni dopo, appare la “Rerum Novarum” di Leone XIII, che inaugura le moderne Encicliche sociali della Chiesa romana. Partendo da essa e nei decenni a seguire, fino all’età giovannea, gli operai saranno sempre considerati “naturalmente” sottoposti al capitalismo, il cui compito consisteva perlopiù di mostrarsi “caritatevole” verso i poveri. Ma il “grido di dolore” delle plebi veniva ignorato dalle istituzioni ecclesiali e relegato in uno “spiritualismo intimista” proteso nella consolazione dell’Aldilà.
Per non parlare poi della chiesa come proprietaria fondiaria e finanziaria, nemica acerrima di tutto ciò che si avvicinasse al “Diritto Civile”, oltreché Sociale. Oltre al suo plurisecolare schierarsi dalla parte delle “guerre giuste”, che, guarda caso, erano sempre quelle condotte dalle classi dominanti.
Non possiamo dimenticare, quando si parla delle “aberrazioni del comunismo ateo”, che in tutti i paesi, ma in particolar modo nelle due nazioni-simbolo delle rivoluzioni proletarie del XX secolo, la Russia e la Spagna, la chiesa ortodossa e quella cattolica erano organiche al potere secolare delle rispettive classi dominanti. Per chi voleva lottare per liberare l’umanità dalle sue catene divenne dunque assai scontato praticare quello che prese il nome di “ateismo militante”.
Il quale divenne poi anch’esso certamente un idolo perché,”ignorando la pienezza dell’uomo” (p. Felice), dovette non solo appoggiarsi per necessità “contingenti” agli dèi-sostituzione della borghesia, ma addirittura esaltarli al massimo grado in nome della “futura umanità”. Parlo dello Stato factotum, del produttivismo, dei miti della violenza e del partito, del verticismo, del cinismo…
Tutto ciò depresse e deviò quasi subito il marxismo nella versione vincente del leninismo (le socialdemocrazie con il loro appoggio alla prima guerra mondiale erano già state arruolate dal capitalismo), per poi rivoltarsi nel nazionalismo stalinista, soggetto di una nuova spartizione del mondo. Stalin usava dire: “Net chielovieka, net problem” (=se non c’è l’uomo, non ci sono neanche i problemi). Più che la mancata rivoluzione mondiale pesò, ai danni della rivoluzione russa, il dover ricorrere al Dio-sostituzione del nemico: illudendosi che bastasse adottare gli stessi metodi invertendone il segno. Così l’idolo soffocò quelli che, unici, non si erano rassegnati ai 25 milioni di morti della guerra ‘14-’18.
Tutto il resto fu solo consequenziale: il partito con la “P” maiuscola, il capo con la “C” maiuscola… segni di pochezza. Tant’è che oggi siamo ancora qui a dire che bisogna “reinventare” una politica che fa vergogna, e sappiamo che stiamo parlando di noi.
Dove sono gli operai? Che cosa siamo in grado di trasmettere loro e di recepire da loro? E allora ripartiamo, o almeno proviamoci, con l’autorganizzazione dei lavoratori, gli schiacciati della terra. Una montagna da scalare, ma il resto sono idoli d’argilla, come la statua di Nabucodonosor del libro di Daniele:
La statua aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo; le sue gambe erano di ferro e i suoi piedi erano parte di ferro e parte d’argilla. Tu stavi guardando quando si staccò dalla montagna una pietra… Allora s’infransero in un istante ferro, argilla, bronzo, argento e oro e diventarono come pula nelle aie durante l’estate… (Dan 2, 32-35)
In questo il vostro messaggio come PO è fecondo. Dite che non avete figli: avrete nipoti… o figliastri (sono belle le mescolanze nella Bibbia, ricordatevi di Rut). La vostra connotazione è la stiva. Ora c’è l’occasione storica che molti, anche nella chiesa, senza attendere il “via!” di alcuno, mettano sul tavolo con forza i segni dei tempi. Per un nuovo modo di vivere-produrre.., oziare.
L’elogio dell’ozio è di Paul Lafargue, genero di Marx. Diretto non a disperati e disoccupati, ma ad una comunità di liberi ed uguali-in-armonia con le bellezze del creato. La vera “futura umanità”… dove non c’è l’idolo. Esso è l’anti-uomo, prima ancora che l’anti-Dio.
Graziano Giusti