Sguardi dalla stiva
Nei pressi di Brembio, un paese a circa 10 km a sud di Lodi, collocato in mezzo alle autostrade del Sole, Brescia-Torino, alla via Emilia (statale 9) e alla ferrovia Bo-Mi, è stato inaugurato nel 2002 uno dei tanti centri della multinazionale tedesca Fiege per l’immagazzinamento e la collocazione merci di ogni tipo. L’anno di nascita di Fiege è il 1873. Nel frattempo ha messo piede soprattutto nel centro-Europa ma anche in Cina. Fiege-Italia (dal 1995 ha assorbito la società Borruso) oggi conta su 14 ‘centri logistici’, in cui lavorano a “tempo pieno” 1100 persone. Il sito di Brembio vanta
“32.000 mq di superficie coperta con una potenzialità di espansione sino a 80.000 mq.; opera al 100% con radio frequenza. È dotato di Impianto Sprinider ed ha la possibilità di utilizzare il raccordo ferroviario. La piattaforma logistica di Brembio movimenta ogni giorno in uscita oltre 1000 tonnellate di merci, le consegne avvengono direttamente o tramite TP in tutta Italia… è una delle unità operative più attive nell’esecuzione di attività a valore aggiunto (VAS), come: co-packing, fardellature, etichettature, blisterature, caricamento espositori. Tutte le operazioni VAS vengono svolte su appositi soppalchi separati dal resto del magazzino per rendere ancor più efficienti e sicure le operazioni di ri-lavorazione”.
Il fattore scatenante è sorto dalla decisione della proprietà di accrescere o non perdere i profitti, cioè, di appaltare lo sfruttamento della forza-lavoro (a “movimentare le merci” qui lavorano 68 operai-e, di cui 15 donne, originari di diversi paesi) ad una nuova cooperativa, la Ucsa, le cui redini sono nelle mani di predoni perfettamente in linea con Fiege.
Ucsa, subentrata formalmente il 15 dicembre alla cooperativa RSZ New Project, ha messo davanti alla forza-lavoro un contratto assolutamente peggiorativo, ossia, il “contratto multiservizi” (pulizie) in luogo di quello dei trasporti (commercio). Con questa vigliaccata i salari verrebbero ridotti dagli attuali 7 euro (netti) l’ora a 5, l’orario settimanale portato da 40 a 24 ore (così si allarga il lavoro in nero, pagato come quello “bianco” o “trasferta Italia” come la chiamano le aziende), venti persone verrebbero mandate via e altrettante assunte. Tutte le operaie e gli operai, 68 persone, il 15 e il 16 dicembre scioperano uniti contro questi propositi.
Mercoledì 30 dicembre 2009, la “trimurti” Cgil-Cisl-Uil, dopo aver firmato le proposte dell’azienda, convoca in assemblea operaie e operai. L’assemblea, dietro le minacce-ricatti di Fiege e Ucsa e le paure distribuite a piene mani dalla trimurti, si spacca a metà:
una parte rifiuta di porre la propria firma, l’altra invece accetta.
Le operaie e gli operai che rifiutano l’accordo capestro, 35 persone, compiono un’azione formidabile. Decidono da sé e subito di scioperare. L’obiettivo è chiaro: lavoro alle condizioni precedenti, nessun peggioramento normativo e salariale, nessun licenziamento o trasferimento per mascherarlo…
Saranno le 14, quando, lasciata l’assemblea, escono sul piazzale, bloccano l’entrata e l’uscita dei camion. I dirigenti dell’azienda chiamano immediatamente polizia e carabinieri, che, raggiunto in forze il “sito”, prendono a minacciare, a ricattare operaie e operai, urlando loro che avrebbero perso il posto di lavoro e quindi il permesso di soggiorno, intimando a tutte e tutti la consegna dei documenti. La decisione operaia non muta: continuazione del blocco ulteriormente rafforzato dal coordinatore locale dello Slai Cobas, Fulvio, che raggiunto il picchetto si unisce ad esso.
Vista l’inutilità delle minacce, polizia e carabinieri, in numero superiore a 40, decidono l’attacco. Si lanciano su operaie e operai a colpi di manganello, cercano di trascinarli lontano. Il risultato di tale violenza è: due operaie e cinque operai feriti, di cui quattro devono ricorrere al pronto soccorso.
Operai e operaie comunque riescono a tenere in mano la situazione e a riportarsi sul cancello. Poco dopo, la sbirraglia ormai chiaramente accecata torna a caricare, giunge persino ad ammanettare ai cancelli due operaie ed infine ad arrestare l’operaio Miri e il sindacalista Fulvio. Numerosi compagni e compagne alla notizia del pestaggio e degli arresti accorrono dalle città e paesi vicini. Insieme agli operai e alle operaie, sono circa le 21, si portano davanti alla questura di Lodi per esigere il rilascio degli arrestati. Alla notizia che i due compagni sarebbero stati processati per direttissima l’indomani, scatta l’appuntamento per il mattino successivo alle ore 6.00 davanti al “megacenter” Fiege.
Giovedì 31: all’ora fissata sono presenti, assieme a operai e operaie in lotta oltre 40 compagne e compagni provenienti dalle città vicine e da Milano. Il picchetto è deciso a non far entrare i camion, che restano nei parcheggi. Vengono appesi degli striscioni “Alla crisi dei padroni rispondiamo con la lotta”. L’accesso al deposito è chiuso ma deserto, polizia e carabinieri passano e vanno. Alcuni operai che hanno firmato l’accordo, qualche impiegata e il capo Fiege vengono lasciati entrare. Il picchetto chiama tutti loro ad unirsi allo sciopero, alla solidarietà contro il contratto infame, gli arresti e i pestaggi della sera precedente.
Alle 11 il presidio accresciuto di numero e di entusiasmo raggiunge il tribunale, vi penetra dentro nonostante la polizia. “Fulvio libero, Miri libero” questo è il grido che echeggia in quel postaccio. Dopo la convalida dell’arresto i compagni vengono liberati. il processo si terrà il 23 gennaio 2010. Sullo slancio della scarcerazione nasce un corteo spontaneo che si porta in prefettura dove è previsto un incontro fra padroni e sindacati — Slai e delegazione operaia Fiege compresa. Il corteo attraversa diverse vie, comunicando quanto è accaduto, urlando parole d’ordine a sostegno della lotta e della solidarietà di classe. Verso le 14 Miri e Fulvio raggiungono il presidio; Fulvio può unirsi alla delegazione. La giornata si conclude così con una chiara affermazione della lotta. L’incontro in prefettura, in conclusione, è utilizzato dagli organi dello stato per cercare di mettere ogni responsabilità nelle mani dell’azienda, per tentare di scrollarsi di dosso il discredito che li circonda.
Lunedì 4 gennaio 2010: il blocco delle merci in entrata e in uscita inizia alle 5,30, mezz’ora prima dell’ingresso del turno di lavoro; assieme alle operaie e agli operai sono presenti oltre 100 compagne-i dei paesi e delle città vicine, di Milano, Torino, Parma, Brescia… Gli organi dello stato praticamente sono inesistenti; l’azienda con la decisione della serrata si allinea a loro. Per estendere la solidarietà verso la lotta, a metà mattina una grossa parte del presidio si sposta a Lodi, dove viene dato vita ad un corteo che percorre le vie dal tribunale fino alla prefettura. Qui sosta per circa un’ora, il tempo di comunicare a chi passa l’andamento della lotta. Le televisioni, i giornali locali e anche no si fanno vivi sul piazzale antistante la Fiege, intervistano, riprendono. Nel pomeriggio il presidio davanti alla Fiege torna ad irrobustirsi. Certo, c’è la serrata, ma – pur se non numerosi – i camion carichi e scarichi non smettono di arrivare. I camionisti ascoltano le ragioni della lotta, solidarizzano, donano al presidio panettoni, bottiglie di vino, alcuni si avvicinano ai fuochi, bevono il tè, si mischiano al presidio. Dai paesi vicini arrivano persone anziane, giovani compagni, portando anche cassette da ardere. Prima dell’arrivo del buio l’assemblea di tutti e tutte coloro che sono lì decide il proseguimento del blocco “almeno fino alle 23”; l’appuntamento è per il mattino successivo alla stessa ora. Mentre vengono prese queste decisioni, l’avvocato della cooperativa Ucsa chiama, via cellulare, per sapere se c’è volontà di trattare, subito, alla condizione del rientro di ogni misura del contratto capestro. Non sono ancora le 18: se cade il blocco – questo il ragionamento del padrone – è ancora possibile, con una chiamata degli operai più intimiditi, “movimentare” una discreta quantità di colli.
La risposta delle operaie e degli operai è univoca, immediata: noi siamo qui e ci restiamo fino alla vittoria. La sensazione di aver piegato il padrone è negli occhi, nelle espressioni di tutte le persone presenti. Nel volgere di breve tempo i capi Fiege e Ucsa sono sul posto. La delegazione operaia, i coordinatori dello Slai, raggiungono con loro gli uffici dell’azienda. Ne escono circa un’ora dopo con in mano una dichiarazione in cui di chiaro c’è che non ci sarà alcun allontanamento. L’intero discorso verrà ripreso nel pomeriggio di domani. Ma a che ora? Prima alle 19, poi alle 17 infine alle 15: i padroni vogliono chiudere, stanno perdendo tanti quattrini, la fretta li assale.
Martedì 5, all’ora data il presidio riprende. Pur se la presenza è meno numerosa, la determinazione è quella dei giorni precedenti, anzi. I camion arrivano e ripartono così come sono. Polizia e carabinieri si comportano come ieri, il presidio si infoltisce. Operaie e operai che hanno firmato l’accordo capestro si fanno sentire con i loro e le loro colleghe. Attorno alle 17 arrivano i padroni, la Cgil, la Cisl, accolti dall’inevitabile “Vergogna!”; a loro si unisce la delegazione operaia assieme ai coordinatori Slai. Nel piazzale la trattativa è seguita con il lancio di slogan: “Se non cederà il presidio proseguirà”, “Se ci sono i disoccupati la colpa è dei padroni e non degli immigrati”… e con il suono dei clacson delle auto e dei camion.
La riunione si conclude nemmeno un’ora dopo: il contratto capestro è completamente cancellato. Tutto, e per tutte e tutti, ritorna alla situazione precedente il 15 dicembre, anzi, diversamente da allora, a partire da oggi, ma con riferimento al momento dell’assunzione, è riconosciuto in maniera inequivocabile il contratto nazionale trasporti.
Nei 7 anni di attività del “megacenter”, Fiege e cooperative nel non attenersi alle regole del contratto nazionale, oltre ad aver commesso un’illegalità, hanno sottratto a operaie e operai circa 3 euro l’ora… A chi lavora da diversi anni in quelle condizioni ora dovrà essere restituito il maltolto, cioè, svariate migliaia di euro.
È una vittoria della dignità, della determinazione della coscienza e dell’unità di classe; una prassi concreta a cui oggi far riferimento nella lotta contro lo sfruttamento e ogni differenziazione, a cominciare dalle emigrazioni forzate e dalla lotta alla guerra imperialista.