Editoriale


 
Hai guardato bene la copertina del fascicolo che hai tra le mani? C’è quella fitta barriera di bambù luminosi in primo piano, con l’ombra scura che avvolge la seconda fila. Poi buio impenetrabile che invade tutta la profondità. il titolo ci avverte che quello che si vede è solo la piccolissima parte di una “selva oscura”. E ci vuol comunicare che non siamo spettatori esterni, come a prima vista ci parrebbe, ma ne siamo parte. Ci siamo dentro: in essa siamo costretti a vagare. Non è una fiaba, anche se ne ha la parvenza e neppure un racconto dell’incubo. Qualche riferimento ci può aiutare ad inoltrarci su questo terreno per decodificare il messaggio simbolico racchiuso nella copertina.
Il primo è quello di Dante da cui proviene la metafora: “mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”. Sono le parole che danno inizio alla sua “Commedia” dove si parla della vita, della sua, ma anche della nostra, a partire dallo smarrimento che afferra quando si è perduta la strada del vivere rettamente.
Qualcuno potrà dire che Dante è troppo lontano: appartiene al medio evo, un altro mondo. Sentiamo allora Enzo Bianchi, una voce attuale:

Siamo disorientati. Questa è la sensazione di molti contemporanei: ci si sente disorientati come individui, come cittadini, come credenti. Abbiamo perso la bussola, non sappiamo dove andare, che strade prendere, che direzione seguire. Né sembrano sorgere persone capaci di indicare una via da percorrere. Senza una rotta, i nostri cammini sono abbandonati a se stessi. Sentiamo il peso schiacciante della crisi, ma non sappiamo come orientarci, ovvero come trovare l’oriente.., il luogo dove sorge la luce (Enzo Bianchi, Editoriale di Sapienti e sapienza, Parola Spirito e vita n. 48/2003, 3).

 

Nella notte

Parliamo di qualcosa che non appartiene alla cronaca sfuggente, ma di una caratteristica della nostra epoca che ci avvolge come l’oscurità della notte. È don Giuseppe Dossetti che, citando un testo inquietante di Isaia, interpreta il nostro tempo:

“Sentinella, quanto resta della notte? sentinella, quanto resta della notte?” La sentinella risponde: “Viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandate, domandate, convertitevi, venite” (Is 21,11-12). Giuseppe Dossetti in I valori della Costituzione, Ed. S. Lorenzo, Reggio Emilia 1995, 39-56.

Siamo nel 1994, ma non pensate che sia invecchiato. Anzi, più si rimane schiacciati nel presente, prigionieri della cronaca, meno si comprende quello che effettivamente accade. Allargare lo sguardo ad un orizzonte più ampio, è la condizione per poter percorrere le vie della comprensione.
L’animo richiesto è quello della sentinella, quella che veglia attendendo l’aurora, ma pienamente consapevole che si trova nel buio della notte. Dossetti sta tessendo il ricordo di Lazzati, a otto anni dalla morte, e di lui afferma: “si immergerebbe consapevolmente nella notte; direbbe con semplicità e forza che la notte è notte, ma sempre con l’animo della sentinella che … è tutta verso l’aurora”.
Tralasciando di parlare “di un disordine più generale che investe tutta l’Europa con riflessi anche su altri continenti”, Dossetti indica alcuni sintomi o segnali di “decadenza globale” che qui possiamo solo brevemente accennare: il tasso di natalità più basso d’Europa, con il matrimonio sempre più sganciato dal suo rapporto con la fecondità; disordini legati alla sfera della sessualità soggetta ad iperstimolazione, con conseguente infiacchimento delle sue potenzialità naturali. In particolare l’eccesso furibondo delle immagini mediatiche favorisce “l’ottundersi delle facoltà superiori dell’intelligenza, cioè la creatività, la contemplazione naturale, il discernimento, per una inabilità alla durata dell’attenzione e del confronto, e quindi dell’elementare capacità critica”.
La scuola, in particolare la superiore, che “è sempre più inadeguata a compensare questo vuoto desolante… Al vuoto ideale, e conseguentemente etico, si tenta dai più di compensare con la ricerca spasmodica di ricchezza: per molti al di là di ogni effettivo bisogno vitale, elevata a scopo a se stessa”.
Così alla inappetenza diffusa dei valori — che realmente possono liberare e pienificare l’uomo — corrispondono appetiti crescenti di cose — che sempre più lo materializzano e lo cosificano e lo rendono schiavo.
Questa è la notte, la notte delle persone: “la notte davvero impotente, uscita dai recessi dell’inferno impotente, nella quale la persona è custodita e rinchiusa in un carcere senza serrami (Sap 17,13-15). È la notte delle persone (ivi, 42-43).
Poi la sua descrizione va avanti e arriva a parlare de “la notte delle comunità”: ecco alcuni tratti della selva oscura nella quale tutti siamo immersi.  

In questa solitudine, che ciascuno regala a se stesso, si perde il senso del con- essere […] e la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (di qui la fatale progressione localistica) sino alla riduzione al singolo individuo.

In particolare Dossetti si riferisce alla dottrina propugnata dal prof. Miglio:

È appunto il singolo ciò su cui costruisce tutta la sua dottrina l’ideologo della Lega: i diritti sono solo degli individui, il diritto è solo individuale. E perciò rispetto agli altri non vi possono essere che contratti, in funzione dei rispettivi interessi e del reciproco scambio. «Noi stiamo entrando in un’età caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà» (E. Miglio) […]. Se tale è l’impianto di fondo non c’è da stupirsi di quanto possano essere vuoti e sterili i richiami (anche cattolici) a una mera solidarietà (ivi,44-45).

Dossetti fa propria la domanda che Cacciari rivolse a Miglio: “Che cosa differenzia un tale sistema da quello che regola gli accordi fra imprese industriali e commerciali?”. In questa impostazione, infatti, il politico è condannato a ridursi “a pura contrattazione economica, per dissolvere il sistema in un coacervo di accordi e di convenzioni” (ivi,44-45).
La selva oscura è lo sbriciolamento delle comunità che deriva dallo svuotamento del politico, con l’abbandono della polis al solo gioco degli interessi.
 

Solitudine nella moltitudine

In realtà questi discorsi hanno alle spalle oltre un decennio di dominio neo-liberista operato dalla svolta imposta dalla Ieadership Reagan-Teatcher. Sotto il profilo economico si accentuano le disuguaglianze tra ricchi e poveri, mentre “si riduce il ruolo di redistribuzione pubblica verso i più deboli”; vedi la relazione di Daniele Checchi pubblicata nel numero precedente di Pretioperai
(n.82-83, p. 24) e la ripresa del discorso in questo quaderno.
Ora ci interessa mettere in luce il pensiero “sociale” dell’allora premier inglese riportando due suoi slogan estremamente significativi:
“«Non esiste una cosa come la società» fu l’infelice dichiarazione con cui Margareth Thatcher riassunse il credo neoliberale. Esistono, disse, singoli uomini e singole donne, ed esistono le famiglie”.

Zygmunt Bauman: La solitudine del cittadino globale, Milano 2000, 37-38. “A dire il vero il citare la famiglia in questo contesto non ha senso.. .Dopo tutto, l’atto più importante e, in un certo senso, ‘fondativo’ del mercato — come sostiene Stuart Hall — è quello di ‘sciogliere i vincoli della socialità e della reciprocità. Esso mette in pericolo la natura stessa dell’obbligazione sociale… il principio costitutivo dell’individualismo dilagante che permea a fondo la ‘non società’ neoliberale non può non incidere sulla famiglia”. Pertanto “gli appelli neoliberali a serrare i ranghi delle famiglie suonano falsi, se non decisamente ipocriti”.
In Italia l’ipocrisia ha raggiunto il suo vertice nel family-day che vedeva in prima fila i leader del centro destra le cui posizioni familiari sono a tutti note, in un paese nel quale, nonostante tutte le predicazioni, da sempre manca una politica per la famiglia

L’altro slogan, correlato, suona così: “l’economia è il metodo, lo scopo è cambiare l’anima”. Su questo rimandiamo al contributo della Cooperativa di CuItura Popolare don Lorenzo Milani, dove si sottolinea con forza la modificazione antropologica nell’ambito della società globalizzata. Qui ci limitiamo a riportare un passaggio che troviamo rilevante per il discorso che stiamo conducendo:

La ‘moltitudine’ è la nuova forma antropologica della società globalizzata […] Essere moltitudine è la forma dell’essere sociale spaesato di fronte al mondo come luogo da percorrere; e i sentimenti che caratterizzano questa forma sociale, più che il senso di rivolta e conflitto, sono segnati da paura e angoscia. I linguaggi che caratterizzano la moltitudine sembrano essere gli idoli che altro non sono che il depotenziamento della ideologia. Tre idoli: l’idolo dell’indifferenza, l’idolo dell’individualismo proprietario, l’idolo della competitività.

Nei due ultimi numeri di Pretioperai ci siamo soffermati sul tema dell’idolatria, sottolineando che non si tratta tanto di una forma religiosa deviata, ma innanzitutto di un corrompimento a livello antropologico che tocca le forme e le modalità del vivere umano. Esso ha come esito inesorabile quello di attivare processi di disumanizzazione che sfigurano l’essere umano nella sua immagine e nelle sue relazioni sino alla perdita di umanità, come la nostra storia occidentale ampiamente ci documenta.
 

Invasione a domicilio

Ritornando alla selva oscura, ci si può riferire anche a quella che campeggia su tutti i tetti e terrazzi delle case dove pullulano antenne e paraboliche. Esse portano il mondo in casa. Ma quale mondo?
Un testo di McLuhan ci aiuta a sintetizzare in un attimo il problema:

Archimede disse una volta: «Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo». Oggi ci avrebbe indicato i nostri mezzi di comunicazione elettronici dicendo: «Mi appoggerò ai vostri occhi, alle vostre orecchie, ai vostri nervi e al vostro cervello, e il mondo si sposterà al ritmo e nella direzione che sceglierò io». Ma una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le nostre orecchie, i nervi e il cervello, il risultato sarà che non avremo più diritti (M. McLuhan, Gli strumenti di comunicazione sociale (1964) cit. in U. Galimberti, I miti del nostro tempo, 2009, 228).

Nel lontano 1974 P.P. Pasolini scriveva un articolo dal titolo molto significativo: Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia, ove parlava della modificazione culturale indotta da una «cultura di massa» legata al consumo e alle sue leggi denunciando amaramente che: «l’omologazione culturale che ne deriva riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari» (Pasolini, Scritti corsari, Milano 1990, 39-44).
Ciascuno riceve a casa sua il mondo portato dai media. Ma non è la realtà del mondo quella che entra in casa, non è l’esperienza della vita, ma solo la sua rappresentazione. Inoltre rispetto alla realtà rappresentata, non la vera, noi possiamo essere solo spettatori, cioè “subordinati e trasformati in minorenni senza diritto di parola.

Va da sé che possiamo impiegare la televisione allo scopo di prendere parte a un servizio divino. Ma, nel fare questo, ciò che ci «plasma» o ci «trasforma» altrettanto profondamente del servizio divino — che lo si voglia o meno — è proprio i1 fatto che non vi prendiamo parte, ma consumiamo soltanto la sua immagine (G Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Torino 2007, 98.

E occorre anche aggiungere che il mondo può diventare illeggibile per overdose di informazioni e l’uomo può perdere il bene più prezioso che è la capacità di fare esperienza (Galimberti, 234-235).
È soprattutto a domicilio che oggi si fabbrica l’uomo massa: “Non c’è bisogno della strategia di massa nello stile di Hitler: se si vuole ridurre l’uomo ad uno zero… non occorre più affogarlo in maree di massa …al giorno di oggi si procede a domicilio alla degradazione dell’individualità e al livellamento della razionalità (Anders, 101).
Vista la situazione che ci troviamo a vivere in Italia, mi sembrano molto importanti le osservazioni di Anders a proposito del divertimento. La sua importanza è legata al fatto che

la non serietà con cui si presenta fa sì che noi ci affidiamo ad esso senza precauzioni: ci disarma totalmente […].
Fra le potenze che oggi ci formano e deformano non ce n’è più neanche una la cui forza di formazione possa pareggiare con quella del divertimento […]. Se quest’ultimo, in tempi precedenti, era stato soltanto una tra le molte ‘forze di formazione’, e certo non una delle più notevoli, ora ha rapidamente conquistato una posizione di monopolio
.

Poi l’autore fornisce una immagine che in qualche modo si accosta alle fiere di cui parla il primo capitolo della Divina Commedia:

Bisogna aggiungere infine che questa industria (del divertimento) somiglia ad una bestia onnivora, a un animale che non solo ha un appetito indistinto per qualsiasi cosa, ma anche il talento di divorare qualsiasi contenuto, dalla pelle alle ossa, senza lasciare alcun residuo, e, dopo una rapidissima digestione, di restituirlo come un dolce escremento […]. Ne consegue, inevitabilmente, che ci trasformiamo in esseri che tutto inghiottono e tutto digeriscono […].
Coloro che sono decisi a sottometterci…si augurano che le loro future vittime siano prive di resistenza e disposte ad assorbire il più possibile […]. Allora questa élite maschera sotto forma di «divertimento» ogni contenuto che vuol far assimilare. Il «divertimento» è dunque l’arte di tendenza del potere”
(G Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Torino 2007, 124-126).

In conclusione ecco una sintesi provocatoria che troviamo in Galimberti (p.236):

L’homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti è, come dice Raffaele Simone, sul punto di essere soppiantato dall’homo videns che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente «impoverimento dei capire» dovuto, secondo Giovanni Sartori, all’incremento del consumo di televisione. Come è noto, una moltitudine che «non capisce» è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.

 

Potere illimitato

Dopo questi brevi accenni ci sembra urgente mettere al centro dell’attenzione le gravissime dichiarazioni del premier Berlusconi: “Sono pronto a modificare la Costituzione, anche da solo. E poi mi appellerò al popolo con un referendum”. (Nell’autunno scorso ad un incontro degli industriali della Brianza ebbe a dichiarare: “non mi fermerà nessuno, alla democrazia ghe pensi mi!”).
Naturalmente non si tratterebbe di un qualche ritocco con iniezioni di botulino per far scomparire le rughe di una signora stagionata o l’impianto di una batteria di capelli tipo quelli innestati o dipinti sul cranio del presidente. Il proposito sarebbe un intervento di altissima neurochirurgia, mai tentata prima. Occorre sostituire il cervello della costituzione per inserire al suo posto una entità donata del cervello del migliore presidente che l’Italia abbia mai avuto.
Leggi ad personam, lodi vari ad personam, libertà ad personam, tutto ad personam non sono più sufficienti: occorre anche la Costituzione ad personam: lui, al di sopra della legge, di qualsiasi legge, anche del patto sancito nella carta costituzionale, quale punto di consenso e di incontro dopo la terribile esperienza della guerra a cui ci ha condotti il fascismo e della terrificante lacerazione prodotta dalla guerra civile (vedi in questo numero l’intervento di mons. Bottoni: “Eutanasia della Repubblica democratica”).
In questo quaderno viene riportato uno scritto di Dossetti che risale a 16 anni fa, nel quale aveva chiaramente profetizzato, con la competenza che gli derivava dall’esser stato uno dei padri della Costituzione e con l’acume e la sapienza del monaco, quello che si stava preparando per l’Italia. È perfettamente attuale.
Il che vuol dire che siamo ancora fermi ad una eversione che consiste nella progressiva concentrazione di poteri nelle mani di uno. Nella concretezza italiana questo è il segnale più allarmante della notte e della selva oscura nella quale stiamo vagando:

A parte i tanti discorsi e spettacoli (televisivi) volti solo a esercitare una seduzione ingannatrice, il conflitto è conflitto tra realtà e mito: si potrebbe anche specificare tra una sana democrazia e i miti antidemocratici, alla fine idolatrici… cioè i miti della prepotenza, della arrogante occupazione del potere, della conservazione di esso ad ogni costo e contro ogni ragione ed interesse di patria, della palese prevalenza degli interessi privati di un’azienda sull’interesse pubblico della Nazione. Così la stessa sovranità popolare diventa sempre più una sovranità mitica: a cui in pubblico e nei discorsi seduttori si rende culto e la si sopraesalta, ma di fatto in sostanza la si viola: delegittimando le sue rappresentanze elettive (il Parlamento), tentando sempre più di comprimere l’indipendenza dell’ordine giudiziario, moltiplicando estrose e indebite pressioni sulla Corte Costituzionale, e finalmente cercando con ostinazione sistematica di ridurre sempre di più la libertà della suprema Magistratura della Repubblica.
Pressapoco come Mussolini aveva ridotto la libertà del Re, e Hitler aveva ridotto la grandezza mummificata di Hindemburg.

Quale è il significato di uno che osa dire “io sono pronto a modificare la costituzione anche da solo”? Uno solo, perché tutti gli altri o sono obbedienti ai suoi ordini e suoi dipendenti, oppure sono nemici, non certo rappresentanti dei cittadini. I cittadini sono ridotti al rango di spettatori, favorevoli o meno, di una commedia nella quale lui, e solo lui, è previsto quale attore unico e protagonista.

A proposito di cittadini e della situazione culturale in Italia, dopo decenni di TV, ci troviamo di fronte ad un panorama davvero desolante. Nell’articolo di Mario Signorelli, pubblicato in questo numero, si fa riferimento ad un testo di Tullio De Mauro nel quale si tocca il tema dell’analfabetismo in Italia e si afferma tra l’altro: “Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.

Nella storia dei popoli l’illimitato non ha mai concorso al loro bene. Spesso, troppo spesso, si è accompagnato a sventure che hanno coinvolto generazioni intere in sofferenze infinite. Il secolo scorso dovrebbe avercelo insegnato.
Tutto questo è scolpito in una sintesi meravigliosa che troviamo in Simone Weil:
“Quel che il potere ha di terribile è ciò che contiene di illimitato. È terribile per il tiranno che ne diventa pazzo. Ma è terribile anche per lo schiavo” (S. Weil, Quaderni, volume primo, Milano 1982, 126).
Nella letteratura e nei testi religiosi, per esprimere l’illimitato o l’oscurità del potere si è fatto ricorso alle immagini legate al mondo animale. Anche Dante le utilizza.
Tre fiere, che subentrano l’una all’altra, forse metamorfosi di un potere polimorfo, presidiano i confini della selva oscura per impedire la salita sul monte, quale fuoriuscita ed esodo dall’incubo di quel luogo “selvaggio” e che incute “paura”. La prima è la lonza, appariscente ed agile che rappresenta la forza della seduzione. L’altra è il leone che appare come un potere violento e famelico; infine la lupa, magra e insaziabile, “riassume in sé gli altri due e simboleggia i mali derivanti dalla cupidigia, in cui si risolve ogni ingiustizia” (Dante Alighieri, La divina commedia, Inferno, a cura di L. Pietrostefano, Torino 1953, 8).
Mi viene in mente l’homo homini Iupus di Hobbes, che certo ha avuto un grandissimo peso in Europa, nonostante le radici cristiane.
Vediamo qualche esempio dove la seduzione avviene sequestrando alcune parole con raffinata tecnica pubblicitaria: la parola libertà, con la forza evocativa che porta in sé a livello di immaginazione. Ma attenzione: non si tratta della libertà della Carta dei Diritti dell’uomo; neppure di quella che, correlata con l’uguaglianza, la Costituzione italiana vuole garantita ad ogni cittadino. Tanto meno è la libertà di cui parla il Vangelo o S. Paolo; ma è la libertà che intende il privilegio come un diritto, quella del forte che prevale sul debole, ecc. Per dirla con un’altra immagine, è la libertà della volpe in un pollaio: una libertà lupina.
Pensate alle parole amore, bene, vita, che vengono requisite per connotare il proprio campo, mentre si sforna una legge che trasuda ostilità contro gli immigrati, si condanna al silenzio totale e alla invisibilità gli operai che salgono sui tetti per difendere il posto di lavoro e all’indifferenza e irrilevanza l’aumento spaventoso di suicidi che avvengono nelle patrie prigioni.
Credo che all’attuale situazione italiana si possa ben applicare una frase di Agostino ripresentata dal papa attuale nell’enciclica Deus caritas est: “Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?“.
 

Responsabilità dei cattolici

Ascoltiamo ancora una parola di Dossetti, colta dal suo Sentinella quanto resta della notte? Si rivolge ai cattolici italiani, gerarchia compresa, credo. È un appello contenuto nel capitoletto che ha per titolo Convertitevi!, l’imperativo che troviamo al termine della citazione di lsaia:

Nel caso nostro dobbiamo anzitutto convincerci che tutti noi, cattolici italiani, abbiamo gravemente mancato specialmente negli ultimi due decenni, e che ci sono grandi colpe (non solo errori o mere insufficienze), grandi e veri e propri peccati collettivi che non abbiamo sino ad oggi incominciato ad ammettere a deplorare nella misura dovuta. C’è un peccato, una colpevolezza collettiva: non di singoli, sia pure rappresentativi e numerosi, ma di tutta la nostra cristianità, cioè sia di coloro che erano attivi in politica sia dei non attivi, per risultanza di partecipazione a certi vantaggi e comunque per consenso e solidarietà passiva (I valori della Costituzione, 51).

Sono passati altri 16 anni e sono convinto che ulteriori colpe si sono aggiunte, oltre ad essere ben lontani dall’auspicata convinzione delle nostre gravissime responsabilità.
Forse qualcuno si sorprenderà vedendo pubblicato in questo quaderno un testo del 1935. È preso dalle note che il futuro card. Tardini preparava per l’allora papa Pio XI. Oltre alla lucidissima analisi politica sul fascismo si parla anche della “divinizzazione del duce” e della tragica cecità dei preti e soprattutto dei vescovi, conseguente all’entusiasmo per la “conciliazione”. È una pagina di storia da meditare, non da rimuovere o nascondere. Ci può aiutare ad identificare correlazioni con quanto avviene oggi per poter assumere atteggiamenti critici e realistici secondo il Vangelo. Fissarsi sugli “interessi della chiesa” può indurre ad una vera apostasia, che infetta proprio coloro che si presentano come predicatori e interpreti della parola di Dio.
Noi crediamo che la convinzione di Dossetti non debba essere lasciata cadere nell’oblio, ma oggi si imponga con ancor più forza e urgenza e doverosità.
 

Convegno di Bergamo

Lo scorso anno ci siamo ritrovati a Bergamo in convegno sul tema dell’idolatria, in piena crisi economica e sociale: “L’idolo è nudo: metamorfosi del capitalismo”. Erano presenti numerosi amici e persone che si sono sentiti interessati al tema. Ci è stato chiesto di continuare con questa iniziativa.
Ci ritroveremo di nuovo in uno spazio aperto a tutti, il 1° maggio prossimo nel contesto dell’incontro annuale dei pretioperai ed amici che inizierà il pomeriggio del 29 aprile.
Il titolo in prima approssimazione è il seguente: “Sulle strade dell’Esodo”. Una anticipazione è offerta su questo numero dalla riflessione di Angelo Reginato. Come attraversare da sentinelle vigili la notte? Come affrontare la selva oscura nella quale stiamo vagando? Ogni generazione è chiamata all’esodo, cioè a contrastare ed abbandonare le potenze idolatriche che distruggono l’umano negli altri e in noi. Quali cammini dobbiamo intraprendere?
Nel prossimo numero, che uscirà entro aprile, daremo informazioni più precise. Possiamo anticipare che nel contesto dell’Esodo si dedicherà particolare attenzione a quanto sta avvenendo nel mondo del lavoro nel nostro paese e alla riflessione sulla chiesa in Italia.
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In terza e quarta di copertina della rivista trovate una icona che rappresenta il falegname di Nazareth con l’iscrizione Filius Dei Faber. È accompagnata da un’ampia spiegazione dell’autore con lo studio preliminare in terza e dalla presentazione di don Gianpietro Zago in occasione del 25° anniversario della ordinazione presbiterale. Credo di poter affermare che la nostra vita di preti al lavoro ha trovato la sua ispirazione di fondo proprio nella figura di Gesù che ha trascorso il 90% della sua vita a Nazareth.
È presente con la sua parola anche don Dino Fabiani che ci ha donato le preghiere che ha composto nel ricordo dei suoi 60 anni di prete, dei quali tanta parte vissuti da operaio. Ci annuncia che… il sogno continua.
 

Roberto Fiorini

 


 

Il nuovo regime

 

Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a Emilio Fede. L’abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l’archetipo di questa giullaresca fauna, con l’aggravante del gaudio. Spesso i leccapiedi, dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po’ dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività…
Oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione. (…) il risultato è scontato: il sudario di conformismo e di menzogne che, senza bisogno di ricorso a leggi speciali, calerà su questo Paese riducendolo sempre più a una telenovela di borgatari e avviandolo a un risveglio in cui siamo ben contenti di sapere che non faremo in tempo a trovarci coinvolti.

Indro Montanelli
 

La Voce, 26 novembre 1994


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