Se non ora, quando?


 
Per Israele l’esodo è stato un laboratorio simbolico dove ha maturato la sua concezione di Dio e si è rafforzato come popolo. Si può dire che sia stato il luogo della sua crescita. Questo popolo prende coscienza di un Dio liberatore che ascolta il grido degli oppressi, di un Dio che non si definisce, ma che afferma la sua presenza. Mosè è un balbuziente non a caso, perché di Dio possiamo solo balbettare qualche parola. Egli aiuta il popolo a liberarsi dal faraone, uscendo dall’Egitto senza portare con sé degli idoli e il faraone nel cuore. Di fronte all’oppressione non c’è tempo da perdere e il pasto si mangia in piedi, si parte senza portare fardelli pesanti, perché Dio sfama il suo popolo che trova anche sorgenti di acqua viva, sperimentando così la gratuità. Lì si confronta come popolo e prende coscienza delle tentazioni che non sono altro che proposte diverse di esistenza. E qui avviene l’alleanza, che nasce dall’ascolto. Questo è il sunto dell’esodo e le parole chiavi sono: deserto, silenzio, ascolto, tentazioni, gratuità, essenzialità, alleanza. La chiesa è chiamata continuamente a ripercorrere e vivere l’esodo simbolico in quanto il suo maestro non ha fatto altro che ripercorrere quel cammino, dando un significato nuovo.
Essa, pur essendo legata alle folle, non può dimenticare il deserto: là Dio continua a chiamarla “per parlare al suo cuore, come a una sposa teneramente amata” (Os 2,16). “Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata” (Ger 2,2).
Nel momento della crisi di un popolo devastato dall’invasione, dall’esilio e dall’impoverimento sociale e morale i profeti propongono un ritorno al deserto, ripercorrendo all’inverso l’esperienza dell’esodo. Non è un percorso facile perché la tentazione è quella di riandare in Egitto e battere strade già conosciute, come un ritorno alle vecchie sicurezze per non voler prendere coscienza della situazione, con la strategia dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia.
Neppure la via del capro espiatorio è maturante, è troppo comodo sacrificarlo e mandarlo nel deserto, attribuendo così le colpe agli altri.
L’esodo si svolge nel deserto che è un luogo di silenzio: nel silenzio si percepisce la voce più profonda, si percepisce il mistero. E qui l’esperienza di Elia che fugge e incontra Dio non nella tempesta, non nel vento impetuoso, non nel fuoco che divora, ma in “una voce di silenzio sottile”.
Egli si copre il volto ed è cosciente di trovarsi di fronte ai mistero. Avendo costruito tutto il suo ministero nella contrapposizione, combattendo l’altro con le stesse armi, sì trova ora ad essere lui stesso il vendicatore e assassino. Una missione fondata sulla concorrenza conduce sempre ad una logica di persecuzione e di morte. Dio viene concepito come il vendicatore, il vittorioso. La stessa concezione l’abbiamo vissuta fino a pochi decenni or sono: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat, che alcuni, anzi, diversi, vorrebbero riesumare.
Non è abbattendo e distruggendo che si cambiano le cose. Accanto al vecchio albero si piantano virgulti giovani, che col tempo si rafforzeranno e il vecchio morirà da solo per mancanza di energia.
Fare silenzio per la chiesa significa mettersi in un atteggiamento di ricerca, per lasciarsi penetrare dallo Spirito che parla e si esprime in molti modi e in molte lingue. La verità non è data una volta per tutte essa si rivela lungo la storia senza esaurire il percorso di ricerca. Un detto arabo afferma che “la via che porta alla gloria passa dai palazzi, quella che porta alla felicità corre lungo i bazar; ma la via che conduce alla sapienza attraversa i deserti”.
Il deserto è luogo di ascolto. L’ascolto nasce dal silenzio. Tutta la tradizione biblica si fonda su “Ascolta Israele”. Il messaggio centrale dell’esodo sul Sinai inizia proprio con queste parole. Tutte le 10 parole, i cosiddetti comandamenti, sono dentro una cornice e se la si dimentica essi non hanno più senso. La cornice è “Ascolta Israele”.Questo è il tempo dell’ascolto, oggi più che mai la parola ha perso il suo significato. La nostra è la società del rumore e con il rumore ognuno alza la voce ma la parola che nasce dal rumore perde la sua forza. Troppi proclami, troppe parole, troppi documenti, troppi “botta e risposta” per riaffermare la propria posizione in un clima di contrapposizione. Si alza la voce ed ognuno cerca di soffocare l’altro gridando più forte. A questo proposito è molto attuale il messaggio di Etty Hillesum: “io detesto gli accumuli di parole. In fondo ce ne vogliono così poche per dire quelle quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò, e chissà poi che cosa?, mi piacerebbe dipingere poche parole su uno sfondo muto”.
Per ascoltare è necessaria una grande dose di umiltà. Nessuno di noi possiede la verità tutta intera. Ognuno fa la sua parte con impegno senza pensare di essere esclusivi, i migliori. Il monopolio ha sempre portato alla guerra. E’ questo il tempo dell’ascolto di chi non si sente a proprio agio nella chiesa, di chi si sente dentro la chiesa ma con fatica e sofferenza,
Il problema poi non è tanto quello di domandarsi se uno è nella chiesa o è fuori, ma quello dell’ascolto di quell’unica parola che può cambiare: il discorso della montagna. E l’ascolto non dà delle risposte, ma suscita degli interrogativi e delle domande.
Il deserto è il luogo della tentazione. Oggi possiamo dare un volto alle tentazioni che non sono altro che un guardare in faccia alla realtà per scegliere veramente quello che è maturante e quello che fa crescere. Mettere sotto torchio l’idolo che non è all’esterno ma che s’annida nella struttura.
Gesù va nel deserto prima di iniziare il suo esodo, il suo cammino evangelico e si confronta con diverse proposte scegliendo la via che non passa attraverso manifestazioni eclatanti e attraverso il potere, ma quella dell’umile ascolto della Parola: non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Non si inchina al potere per avere riconoscimenti: con l’idolo non bisogna venire a compromessi perché esso presenta sempre un conto da sborsare. La gratuità non è di casa per l’idolo. Mai come oggi la Chiesa è tentata dal compromesso per avere privilegi e difendere le sue posizioni a scapito della autenticità. Turarsi il naso e tacere di fronte all’idolo annacqua il messaggio.
Camminare nel deserto dell’esodo richiede un carico leggero. Possiamo dare un nome: essenzialità. Nelle chiese barocche non c’è spazio per il vuoto, le pareti sono cariche fino all’inverosimile. Esse dovevano manifestare il dogma attraverso statue, quadri, pitture, stucchi e ornamenti. Tutto era già scritto e definito, non c’era spazio per altro. Anche se non si costruiscono più le chiese di questo tipo la chiesa è rimasta barocca. Ora è il tempo di alleggerire, perché il vuoto possa lasciare spazio allo Spirito, che soffia come, quando e dove vuole anche con persone e vie insperate. Questo Spirito non si può imbrigliare e non ha bisogno di marchio DOC.
La chiesa non è un museo perché l’opera d’arte quando diventa fine a se stessa e non è l’espressione di un contesto, di un messaggio, di un popolo e di una comunità e di un esperienza significativa non ha più nulla da dire. Si passa davanti a queste opere d’arte solo con una curiosità senza sentire la commozione e un coinvolgimento interiore.
Camminare nell’esodo senza fardelli per esperimentare la gratuità: “non portate con voi due tuniche, né due paia di sandali, né bisaccia”, che possiamo tradurre:
non portatevi troppe certezze e quello che si fa sia soltanto perché è bello voler bene agli altri, senza altra finalità perché gratuitamente si è ricevuto e gratuitamente va dato.
La preoccupazione di chi vive nel deserto è quella di scoprire e stare vicino alle sorgenti, da esse viene la vita. E’ il tempo questo di riscoprire nuove sorgenti, le altre hanno fatto il loro tempo perché espressione di un contesto che ora non esiste più ed è totalmente cambiato. Esse si sono disseccate esaurendosi mentre altre si sono inquinate ed anche se continuano a erogare acqua queste contaminano chi la beve. Le sorgenti ci stanno perché lo Spirito non è morto e le fa sgorgare continuamente. Segni nuovi nelle comunità e nelle persone sono ovunque. Si tratta di scoprirle e non seppellirle. Se si seppellisce una sorgente in un luogo, essa trova altri percorsi nei sotterranei ed emerge. Alcune fonti sono ormai visibili, altre sono sotterranee ed altre dimenticate ma ancora funzionanti. Le fonti nuove sono esperienze significative vissute da singoli, gruppi e comunità che non hanno fatto altro che essere degli apripista che portano i frutti del nuovo albero, come i messaggeri di Mosè che portano l’uva come segno della nuova terra.
“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alla valle. Cambierò il deserto in un luogo d’acqua, la terra arida in sorgenti” (Is. 41,1 8ss, 43,19 ss).
La tentazione è quella di oscurare il nuovo, di coprirlo e di ignorarlo. Esso ha sempre fatto paura alle istituzioni. Ma allo Spirito le gabbie e gli oscuramenti non servono, egli passa attraverso le porte chiuse e i muri come il risorto e le sue vie non sono le nostre vie.
 

Mario Signorelli


 

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