Interventi
Rossana è venuta a Bergamo per raccontarci dal vivo la lotta sostenuta alla Fiege Borruso di Brembio: ne abbiamo già parlato nel quaderno di Pretioperai del dicembre scorso.
Rossana è figlia d’arte. Figlia di un grande lottatore insieme al quale io ho avuto la fortuna di vivere le ultime vicende della ex-grande Breda di Sesto San Giovanni. A lei abbiamo chiesto di mettere per iscritto quella lotta vissuta all’interno della Fiege, a cui lei ha partecipato nonostante fosse stata licenziata da pochi giorni da quella ditta.
Luigi Consonni
Io abito a Brembio, un piccolo paese della provincia di Lodi e nel dicembre scorso sono stata testimone della lotta alla Fiege Borruso, nella quale il fattore mediatico (di cui questa mattina si parlava) è entrato in campo a nostro favore (finalmente!).
La Fiege, azienda tedesca molto importante nel settore della logistica di smistamento, rifornisce tutti i maggiori supermercati. A Brembio arrivano camion che scaricano bancali interi di scatolame vario, che vengono smistati e mandati ai diversi supermercati. Si lavora anche 20 ore al giorno, e praticamente tutti gli operai sono immigrati, quindi – ovviamente! – più ricattabili, oltre che sottopagati.
A fine dicembre 2009 terminava l’appalto una cooperativa a cui doveva subentrarne un’altra (in casi come questi si parla infatti di una cooperativa “uscente” e di un’altra “entrante”). La nuova cooperativa (italiana, molto conosciuta anche perché notoriamente infiltrata dalla camorra) rimetteva completamente in discussione il precedente contratto lavorativo.
Il 30 dicembre 2009 a conclusione di una trattativa si decideva che il giorno dopo tutti quelli che non avessero accettato le nuove condizioni della coop. entrante – che ovviamente abbassava di molto le condizioni lavorative, le retribuzioni, tagliava permessi e ferie… – sarebbero stati licenziati in tronco a partire dal primo gennaio.
Metà dei lavoratori hanno accettato, qualcuno soltanto perché non capiva bene l’italiano e le nuove condizioni non gli erano state spiegate bene (tante e differenti le nazionalità : africani, romeni, albanesi, sudamericani): in 35 hanno accettato le nuove condizioni imposte, davvero vergognose; mentre gli altri 33 non hanno accettato, decidendo di bloccare i camion in uscita, dato che dopo due giorni avrebbero perso il posto di lavoro, e di conseguenza anche il permesso di soggiorno.
Io ero lì dal mattino perché alcuni lavoratori mi avevano chiamato, e mi sono trovata in mezzo a una situazione incredibile: i 33 lavoratori seduti davanti ai cancelli, un camion in uscita bloccato; in pochi secondi si sono materializzati polizia, Digos e carabinieri, che – prima con toni bruschi, poi con minacce verbali sempre più esplicite – cercavano di far alzare la gente dal sit-in spontaneo. I lavoratori invece continuavano a stare tranquilli, seduti, inermi e irremovibili.
In seguito a una telefonata, polizia e carabinieri sono entrati all’interno dell’azienda, tornando poi in tenuta antisommossa, con elmetti, manganelli e pistole. Si è scatenato il putiferio: la polizia ha caricato senza nessun motivo e molto violentemente la gente a terra, trascinandola e picchiandola forte e ripetutamente.
Per un fortuito caso avevo con me una macchina fotografica digitale e ho ripreso tutta la fase delle minacce verbali fino all’inizio degli scontri; quelle immagini le abbiamo divulgate su Internet (su Youtube basta digitare “Brembio” o “Borruso”) e sono poi state mandate dal TG3 nazionale la mattina dopo, 31 dicembre: in questi brevi filmati si sentono questi signori della Digos che minacciano gli operai: “chi non ha il permesso di soggiorno e non si alza verrà espulso” (come se non bastasse perdere il posto di lavoro…). E siccome nessuno si è alzato, polizia e carabinieri hanno cominciato a usare i manganelli: tanta violenza gratuita, favorita dal fatto che la Fiege si trova in una zona di campi lontana dall’abitato di Brembio, al riparo da sguardi indiscreti. Io non ho ripreso il momento delle botte perché già ci avevano ritirato i documenti e un operatore della Digos ci aveva filmati tutti, compresa me con la macchina fotografica.
Il punto focale di tutta la storia è che tutti insieme uniti, nessuno si è alzato, nessuno si è ribellato, nessuno ha ridato indietro le botte che ha preso… ci sono stati 7 contusi, donne picchiate, trascinate e incatenate ai cancelli, quattro ambulanze intervenute, fino all’arresto di un italiano (il sindacalista dello Slai-Cobas) e di un albanese (un operaio della cooperativa) nel tentativo di sedare la protesta.
Dopo aver inviato il filmato su Youtube, ho contattato un operatore di Rai3, che è accorso la sera stessa e ha intervistato tutti i partecipanti alla lotta; sono poi arrivati altri compagni di comitati e centri sociali, qualche abitante di Brembio (ma il sindaco e i sindacalisti della Cgil si sono fatti vivi soltanto a giochi fatti per festeggiare la vittoria…).
La solidarietà è stata forte, come pure la determinazione degli operai, che non hanno mai fatto un passo indietro, tantomeno dopo le botte.
Sono stati dieci giorni di lotta (tanto freddo, e in più il gelo e la neve…); però la vicenda ha avuto molto risalto: le immagini finite su Internet hanno fatto il giro d’Europa e sono state viste anche dalla direzione in Germania, che ha chiamato a rapporto i responsabili della sede di Brembio.
Contro gli arrestati è partita subito una denuncia con processo per direttissima. L’accusa: aggressione a pubblico ufficiale; anche il giornale locale ”Il cittadino” ha scritto che gli operai avevano “picchiato selvaggiamente” due poliziotti, ferendoli seriamente, come dimostravano i referti medici opportunamente (!) rilasciati dall’ospedale di Lodi. Ma i filmati su Youtube dimostrano appunto che la gente, inerme, era rimasta seduta a terra mentre i manganelli distribuivano a raffica le botte. Nei giorni successivi “Il cittadino” non ha più potuto parlare dei due “poveri” poliziotti, mentre ha dovuto riferire dei sette lavoratori contusi trasportati all’ospedale da quattro ambulanze e delle donne incatenate ai cancelli dalla polizia. Una conferma si è subito avuta alla prima udienza del processo: la polizia non si è neppure presentata. (Ci tengo comunque a sottolineare che “Il cittadino” si è impegnato giorno per giorno in una vergognosa campagna denigratoria della lotta alla Fiege, dall’inizio alla fine).
Comunque dopo 10 giorni di freddo e di incertezze, nonostante gli arresti e le minacce di espulsione (e non è escluso che ci possano arrivare ancora delle denunce per occupazione del suolo pubblico o per sequestro di persona…) abbiamo visto che lavoratori di nazionalità, lingue, religioni e culture diverse, uniti insieme dalla lotta, hanno ricevuto la solidarietà di tanti, anche di gente di altri paesi che avevano letto o sentito. Tutti insieme siamo poi andati davanti al tribunale di Lodi per i due arrestati… e dopo dieci giorni di lotta, finalmente l’azienda è stata costretta a riaprire la trattativa, di fronte all’unione di questi operai che non si sono fatti piegare dalle botte (e dovevate vedere le donne che coraggio!).
Il risultato finale? I 78 lavoratori sono rimasti impiegati tutti nella ditta, con un contratto ragionevole, con condizioni di lavoro umane, con i buoni mensa, paga oraria da 8 euro (la nuova coop. voleva ridurla a 5 euro all’ora!), permessi riconosciuti… Insomma, non sempre il punto di vista mediatico fa danni, se riesce ad essere utilizzato da parte di quelli che stanno lottando… permettendo di mostrare cosa succede dietro le quinte, dove ci sono muti testimoni che quasi mai vengono ascoltati e sostenuti.
A Brembio la lotta non solo è stata sostenuta, ma è stata combattuta su nuovi fronti, grazie alla visibilità e alla tenacia di chi era là e ha messo in campo non solo il proprio corpo ma soprattutto il cervello per rivendicare ciò che gli spetta di diritto: un posto di lavoro e una vita dignitosa. Brembio ci ha confermato che la lotta paga, ancora una volta!
Rossana Michelino